PER MARPIONNE LA FIAT HA UN SOLO PROBLEMA: QUELLO DI ESISTERE - FRIGNA DI AVERE AIUTI PUBBLICI MA NON VENDE AUTO PERCHE’ FANNO SCHIFO E SE LA PRENDE COI COSTI DEGLI OPERAI - TELESE: L'AVVOCATO MORIRÀ DAVVERO SOLO OGGI, PER EFFETTO DI UN PARADOSSO BEFFARDO: QUELLO DI ESSERE UCCISO DA UN INCONTRO BILATERALE DOPO ESSERE SOPRAVVISSUTO AD UN DECESSO…

1- FRIGNA DI AVERE AIUTI PUBBLICI MA NON VENDE AUTO PERCHE' NON PIACCIONO
Bankomat per Dagospia

Non sarà' sfuggito che l'aiutano le imprese che investono con finanziamenti ed incentivi vari. Questa in sostanza la replica del Dr Marchionne all'elegante tentativo di ieri del Ministro Passera, in visita in Brasile, di ricordare che se in Brasile la Fiat funziona meglio bisogna chiedersi cosa non funziona per avere successo anche in Italia ed in Europa.
Elegante si fa per dire. Sembrava un rimbrotto ma oggi scopriamo che era un assist.

Marchionne, con inusitata arguzia, sorvola costantemente sull'unico tema manageriale ed industriale vero. Un'azienda compete meglio di un concorrente se progetta produce e vende meglio di altri. Vi risulta che le Fiat o le Lancia si vendano meno perche' costano troppo in quanto prodotte in Italia. Palle. Sono o meno convincenti o peggio distribuite dei prodotti della concorrenza, o entrambe le cose.

Per progettare e vendere bene occorre management all'altezza, servono si' quattrini ma anche capacita' di pianificare progetti ed investimenti. Ma soprattutto servono uomini.
Nessuno osa dire, ma tutta la business community lo sa da anni, che manager scappano letteralmente dall'entourage di Marchionne. Nessuno lo sopporta a lungo.

Non che Romiti fosse Madre Teresa, ne' l'Avvocato un vero capitano d'industria, ma i manager (tranne Ghidella) a modo loro li fidelizzavano. Vittorio Ghidella sapeva in realta' anche di automobili e quindi sarebbe stato pericoloso persino per Marchionne.

Chissa' se Monti Passera e Fornero sapranno discutere anche di queste cose, o come al solito parleranno solo di soldi. I nostri.

2- L'AVVOCATO MORIRÀ DAVVERO SOLO OGGI...
Luca Telese per Pubblico

Forse l'avvocato Gianni Agnelli morirà davvero solo oggi, per effetto di un paradosso beffardo: quello di essere ucciso da un incontro bilaterale dopo essere sopravvissuto ad un decesso. Ammazzando la storia della Fiat in Italia - infatti - si celebra un delitto contro di lui. Non era bastato un tumore per oscurare la sua immagine, nel 2000. Anzi: il suo mito e la sua opera, come accade per tutti i grandi, erano proseguiti ben oltre la sua fine biologica.

Forse l'avvocato Agnelli morirà davvero solo oggi, a Palazzo Chigi, dopo l'incontro tra il governo e la Fiat, dopo l'ultimo minuetto fra Sergio Marchionne e Mario Monti, soprattutto se al manager italo-canadese, oltre alle dichiarazioni di rito e di facciata dovesse di nuovo essere concesso - come già sei mesi fa - uno spensierato salvacondotto allo smantellamento della più importante azienda italiana.

Agnelli muore se si tradisce la missione a cui aveva consacrato una vita, l'idea che la Fiat dovesse essere una grande industria nazionale, italiana, cosmopolita (e nessuna di questa cose senza l'altra). Lo spirito di Agnelli muore se si perpetua il silenzio assordante dei suoi pallidi eredi, i ragazzoni Elkann, così taciturni, svagati e distanti, da non averci ancora fatto pervenire nemmeno uno sparuto oracolo per capire dove e come immaginano l'azienda, la loro azienda.

Perché il senso dell'operazione Detroit è chiaro: siamo il primo paese al mondo in cui la produzione viene delocalizzata da un paese meno sviluppato, verso uno più sviluppato. L'unico caso di acquisizione in cui il compratore perde il controllo, cedendo i suoi brevetti e le sue tecnologie, decapitando il suo centro di comando a vantaggio di una diramazione periferica.

Ci sono stati interi decenni in cui l'Avvocato ha difeso con tanta passione il proprio marchio e la sua italianitá al punto di diventare egli stesso un marchio dell'italianità, e certo nessuno avrebbe mai potuto immaginare un cataclisma come quello che stiamo vivendo senza una dichiarazione di Agnelli, senza che un Agnelli ci mettesse la faccia. Se non altro perché l'Avvocato era così attento allo stile da diventare lui stesso un centro Stile, un modello, un logo.

Certo, Agnelli era anche un uomo capace di inalberare conflitti di classe: ma la sua devozione all'idea che la Fiat doveva essere una eccellenza italiana non era mai stata in discussione. Gianni e Umberto pensarono lo sbarco in Brasile per conquistare il mercato del Brasile, non avrebbero mai nemmeno ipotizzato lo sbarco in Italia di ben sei modelli sugli ultimi sette lanciati (Freemont, Nuova Thema, Flavia, Ypsilon, 500, e 500xl) costruiti fuori dal nostro paese, ma addobbati con le insegne dell'identitá nazionale.

Se non altro perché era stato proprio lui a edificare il mito del principe popolare che lo accompagnava ovunque. A questo mito non resisteva nemmeno la classe operaia che malgrado gli storici anatemi da corteo anni settanta (come il celeberrimo slogan "Agnelli Pirelli-ladri gemelli") lo aveva assunto come idolo clandestino. Erano soprattutto operai le centinaia di migliaia di persone che incolonnati a serpentine celebrarono la sua camera ardente aziendale sul tetto del Lingotto.

Ed erano, moltissimi di loro, operai comunisti. Agnelli aveva iniziato a lavorare alla propria mitografia negli anni Cinquanta, il giorno in cui aveva fatto capolino in uno degli Incontri di Indro Montanelli. Allora il gioco di Indro era stato quello di inscenare un colloquio casuale con un signore in treno, che dopo aver discettato sulla convenienza economica del pranzo al sacco (!) rivelava all'ultima riga di essere l'Avvocato. E c'era senza dubbio in questa sublime menzogna propagandistica una filosofia, quella mutuata dalla dinastia Windsor del principe umile, del principe moderno, popolare e nazionale.

Agnelli diceva, con auto-ironia: «L'importante é da dove si comincia, ed io, modestamente, ho cominciato dalla fine». L'Avvocato era imprenditore, mecenate, capitano di industria, primo tifoso della Juve e primo lettore della «Stampa». Un semidio, un mito sincretico capace di abbattere le barriere della lotta di classe. Era l'amico personale del comunista riformista Luciano Lama. Sergio Garavini, primo segretario di Rifondazione, per spiegare questa capacitá di consenso degli industriali sabaudi, raccontava la sua storia.

Diseredato dal padre per la sua scelta di iscriversi al Pci, era rimasto stupito di ritrovare la cellula del partito - con la bandiera rossa! - dietro al feretro del suo genitore il giorno del funerale. «Perché siete qui?», aveva chiesto. «Perché tuo padre era un buon padrone », gli aveva risposto il segretario della sezione aziendale delle carrozzerie Garavini. Il mito del padrone che si combatte ma si ama era una contraddizione in seno al popolo che Agnelli ereditava dalla tradizione del padronato sabaudo, e si fondava su un patto tra produttori, che era asimmetrico, ma che nessuno aveva, fino a ieri, messo in discussione.

Adesso tutto si dissolve nella strategia diversiva messa in campo da Marchionne, nei trucchi, nei licenziamenti politici, nel lungo inganno durato tre anni, il tempo, cioè, in cui il solenne impegno di Fabbrica Italia, celebrato dalla promessa di investire 20 miliardi, e dalla voce seducente e flautata con cui Ricky Tognazzi spiegava ad un neonato griffato con un logo tricolore: «Non piangere: potrai comprare una macchina italiana» (povera creatura, fidandosi aveva smesso).

Il mito del padrone buono si é dissolto simbolicamente nella notte del referendum sul contratto Mirafiori, quando i vecchi Anziani Fiat si erano dati appuntamento davanti alla porta due per sostenere la battaglia per il No della Fiom. Da quel giorno, sulle loro bocche, così come su quelle di tutti i torinesi, la frase che rimbalzava era la più feroce che si potesse immaginare per gli Elkann: «L'Avvocato non lo avrebbe fatto».

D'altra parte Lapo era già noto per il festino erotico con uno dei trans più brutti d'Italia, ma non ancora celebrato da prove memorabili come il blocco di un passaggio a livello a mezzo Suv e la disavventura del rimanere senza benzina in autostrada. Mentre John si proteggeva con l'assenza, rilasciando un'unica vera intervista (ad Aldo Cazzullo del «Corriere della sera») in cui si lasciava sfuggire quale per lui era stato l'episodio chiave del suo romanzo di formazione: «Mio nonno sulla neve ci faceva correre con il bob a testa in giù».

Formati da simili prove, e titanicamente impegnati a combattere con la sintassi italiana, è ovvio che Yaki e Lapo si difendano dal silenzio, molto simili anche fisicamente all'immagine crepuscolare di Hanno Buddenbrock, l'erede esangue che chiude il più importante romanzo di formazione europeo dell'Ottocento. Per questo Marchionne agisce come il killer di una dinastia, uccide l'avvocato mentre medita di chiudere Cassino o Mirafiori. L'unico modo per fermarlo, è dirgli di no. Se solo ci fosse un governo a Roma.

 

IL QUOTIDIANO TEDESCO #HANDELSBLAT# CHE CITA MARCHIONNE COME IL #PINOCCHIO DEL GIORNO#marchionne monti MARCHIONNE ALLA FIAT IN SERBIAdella-valle-marchionneMARCHIONNE FIAT MARCHIONNE THE NEW AMERICAN DREAM GIANNI AGNELLI NUDOgianni e susanna agnelli asp img GIANNI AGNELLIDISEGNO DI FABIO SIRONI - CESARE ROMITI GIANNI AGNELLI ENRICO CUCCIA E DE BENEDETTIL AVVOCATO GIANNI AGNELLI GIANNI AGNELLI CARLO DE BENEDETTIGIANNI AGNELLI E MARIO MONTI

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