FIAT IN FUGA - CON L’UNIONE TRA I GAGLIARDI TRATTORI DI CNH E I MOSCI CAMION IVECO, UN ALTRO PEZZO D’ITALIA SE NE VA: LA SOCIETÀ LASCERÀ LA BORSA DI MILANO (PER WALL ST.) E SPOSTERÀ LA SEDE IN OLANDA, DOVE LE TASSE SONO MINIME (LA FAMOSA EURO-ZONA) - SI TRATTA DI UN’ANTEPRIMA: CHRYSLER STA SURCLASSANDO FIAT, ZAVORRATA DA UN’EUROPA IN DECLINO, E QUANDO CI SARÀ LA FUSIONE, ADDIO TORINO, IL FUTURO È A DETROIT - FIOM: VENDIAMO MIRAFIORI ALLA VOLKSWAGEN…

1- MEZZA FIAT IN OLANDA
Vittorio Malagutti per il "Fatto quotidiano"

Fiat industrial addio. Sergio Marchionne porta a Wall Street camion e trattori. A poco più di un anno dalla scissione varata a gennaio 2011 (auto da una parte veicoli pesanti dall'altra) il gruppo del Lingotto fa un'altra capriola. Fiat industrial si fonde con la controllata americana Cnh ed entrambe vengono assorbite da una nuova holding con base in Olanda. Questo, in estrema sintesi, è il piano annunciato ieri da Marchionne, che ha spiegato le sue mosse in una lettera ai dipendenti piena di rassicurazioni sulle prospettive future dell'azienda.

Di fatto non cambia niente. Il gruppo del Lingotto non vende né compra nulla. In casi come questi però l'immagine è sostanza. Sì, perchè il gruppo che nascerà dalla fusione non si chiamerà più Fiat e le sue azioni saranno trattate negli Stati Uniti, a Wall Street, e in un'altra Borsa europea che però, come ieri ha precisato lo stesso Marchionne, non sarà quella di Milano.

Questione di pochi mesi, il tempo di completare il riassetto societario. Poi Fiat industrial verrà cancellata dal listino di Piazza Affari. E anche il Fisco italiano sarà costretto a fare a meno delle tasse pagate dal gruppo emigrato in Olanda, un Paese che garantisce imposte ai minimi termini per le holding. Sembrano le prove generali per la fusione di Fiat in Chrysler, hanno subito pensato gli analisti. La capogruppo con base in Italia, cioè Fiat Industrial, va a nozze con la sua controllata americana, che vanta bilanci ben più floridi e migliori prospettive di mercato.

"Non cominciamo con le congetture", ha tagliato corto ieri Marchionne nell'incontro con gli analisti. "Non è il momento di replicare con Fiat e Chrysler questo stesso schema", ha aggiunto il manager, senza però smentire l'ipotesi di un riassetto simile anche nell'auto. Di sicuro a giochi fatti Fiat sarà un po' meno italiana di prima. E il cambio di bandiera serve a migliorare l'immagine del gruppo sui mercati finanziari. É la stessa Fiat ad ammetterlo in una nota diffusa ieri in cui si spiega che "grazie al riassetto aumenterebbe la capacità attrattiva nei confronti degli investitori internazionali, migliorerebbe il profilo di credito di entrambe le società". Insomma le banche gradiscono. E i mercati pure.

Del resto già adesso l'americana Cnh, che produce trattori e macchine per le costruzioni, viaggia a velocità tripla rispetto ai camion dell'Iveco. Non per niente l'azienda americana da sola vale in Borsa quasi quanto l'intero gruppo Fiat industrial: 8 miliardi di euro contro 9,6 miliardi. E le somiglianze con il settore auto non si fermano qui.

La Chrysler cavalca l'onda della ripresa americana e ormai da un paio di anni fa segnare risultati migliori rispetto alla casa madre del Lingotto, impiombata dal crollo del mercato automobilistico europeo. Anche la Cnh, con i suoi trattori, le mietitrebbiatrici e i grandi escavatori, nel primo trimestre dell'anno ha visto crescere i ricavi del 25 per cento rispetto allo stesso periodo del 2012. Anche la redditività è cresciuta. L'utile della gestione ordinaria sfiora ormai il 10 per cento dei ricavi.

I camion dell'Iveco hanno invece scontato la calma piatta dell'Europa, che resta il mercato principale. Ecco, allora, che tra gennaio e marzo il fatturato della divisione camion è diminuito del 10 per cento rispetto ai primi tre mesi del 2011. Giù anche gli utili, scesi da 71 a 64 milioni. Nell'immediato futuro la musica non dovrebbe cambiare. Le prospettive di mercato nel Vecchio Continente restano ben poco brillanti, mentre la situazione si presenta migliore dall'altra parte dell'Atlantico. In altre parole la bilancia pende sempre di più verso l'America. E i numeri di bilancio finiscono per dar ragione a Marchionne che non vede l'ora di fare le valigie verso gli Stati Uniti. La fusione annunciata ieri è un passo importante in questa direzione. Il passo successivo, con la fusione tra Fiat e Chrysler, ormai sembra davvero solo questione di mesi.


2- FIAT: AIRAUDO (FIOM), VENDIAMO MIRAFIORI ALLA VOLKSWAGEN

(ANSA) - Vendere Mirafiori alla Volkswagen? "Magari. Se servisse a saturare gli impianti, sarebbe una buona idea, ed eviterebbe che i tedeschi vengano in Italia a fare shopping tra i marchi dell'auto senza garantire il lavoro agli stabilimenti italiani". Così Giorgio Airaudo, responsabile Fiom per il settore auto, che in un'intervista a Repubblica bolla come "un altro passo verso la deitalianizzazione" il trasferimento della sede legale di Fiat Industrial.

"Quando si fondono le società, come nel caso di Industrial e Cnh o in quello di Fiat e Chrysler, si dividono gli investimenti. E quando le fusioni vengono fatte con società che operano in mercati più redditizi, come quello americano, il rischio è che gli investimenti maggiori vengano fatti in quei mercati", avverte Airaudo. Per evitarlo, si devono "contrattare i prodotti al livello dei singoli Stati", spiega l'esponente sindacale. "Con Marchionne lo hanno fatto tutti, da Obama ai serbi. L'unico governo che non lo ha fatto è stato quello italiano".

Per Airaudo, Marchionne "ha un piano preciso, concordato con la proprietà, per spostare in America il baricentro della Fiat". Fabbrica Italia, dice, "non esiste più. Di 20 miliardi ne abbiamo visti forse 3". In questo quadro, prosegue Airaudo, "quel che bisogna fare da subito è chiedere un intervento del governo per salvaguardare l'interesse nazionale. Che significa proporre ad altri costruttori condizioni tali da attirare qui gli investimenti".

 

JOHN ELKANN E SERGIO MARCHIONNE jpegSERGIO MARCHIONNE A SIXTY MINUTESchrysler FIATivecogiorgio airaudo fiom

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