L’AYATOLLAH DI DENARI - ECCO IL PERCHÉ DELLA DISTENSIONE TRA IRAN E USA: LA FINE DELLE SANZIONI FAVORIREBBE GLI AFFARI DELLE AZIENDE IN MANO A KHAMENEI, UN IMPERO CHE VALE 95 MLD $

Maurizio Molinari per "la Stampa"

Ammonta a circa 95 miliardi di dollari l'impero economico che fa capo al Leader Supremo della rivoluzione iraniana, Ali Khamenei, e potrebbe essere il maggiore beneficiario della riduzione delle sanzioni internazionali in caso di accordo a Ginevra sul nucleare.

La stima del valore della «Setad» - acronimo persiano per «Quartier generale per l'esecuzione dell'ordine dell'imam» - è frutto di un'inchiesta di «Reuters» sull'organizzazione che venne creata dall'ayatollah Khomeini poco prima della sua morte nel 1989 a fini di beneficenza per i poveri, i veterani e le vittime delle guerra Iran-Iraq, sfruttando le proprietà abbandonate dopo la rivoluzione del 1979.

Ma anziché essere dissolta dopo 24 mesi, come era stato previsto da Khomeini, è arrivata quasi al traguardo di un quarto di secolo diventando la base economica del potere politico-militare di Ali Khamenei.

Sono i documenti della «Setad» depositati presso la Banca Centrale di Teheran e le indagini condotte dal ministero del Tesoro americano a descrivere le caratteristiche di questo imponente complesso economico-finanziario: investimenti per 52 miliardi di dollari nel settore immobiliare, in 37 aziende colpite da sanzioni Usa inclusa una dal valore di 40 miliardi di dollari, in una ventina di imprese pubbliche per 3,4 miliardi di dollari e in 24 società di beneficenza.

Dal petrolio agli anticoncezionali, dalla coltivazione delle ostriche alla finanza «Setad» è presente in maniera significativa. Lo scorso giugno il ministero del Tesoro Usa ha esteso a tutte le attività della «Setad» le sanzioni considerandola un «network massiccio composto da aziende che celano proprietà per conto della leadership iraniana».

La dinamica che ha portato Khamenei ad accumulare una tale fortuna è, secondo l'indagine di «Reuters», basata soprattutto sulla requisizione di proprietà appartenenti a cittadini espatriati, oppositori, minoranze discriminate - come i Baha'i - che vengono inserite negli elenchi della «Setad» e poi messe all'asta fruttando decine di milioni di dollari.

Nello scorso maggio circa 300 immobili sono stati venduti all'asta in questa maniera, portando ad entrate per oltre 88 milioni di dollari. «Ciò che distingue questo impero economico è l'assenza di supervisione sulle decisioni gestionali da parte del Leader Supremo», afferma Naghi Mahmudi, giurista iraniano espatriato in Germania nel 2010, ma Hamid Vaezi, portavoce di «Setad» a Teheran, smentisce numeri, entità e interpretazione dei dati diffusi, parlando di «descrizione scorretta, lontano dalla realtà».

Colpisce il fatto che 95 miliardi di dollari è una cifra superiore del 40 per cento all'export annuale di greggio dall'Iran - 67,4 miliardi di dollari - e assai maggiore alle fortune che vennero attribuite nel 1979 al deposto Shah di Persia, stimate in 3 miliardi di dollari attuali.

Né il governo Usa né l'inchiesta «Reuters» accusano però Khamenei di essersi personalmente arricchito, indicando nella «Setad» soprattutto uno strumento di consolidamento del potere, che somma gli aspetti religiosi al controllo delle Guardie rivoluzionarie incaricate di sviluppare e proteggere il programma nucleare.

Proprio alla «Setad» è dedicato uno studio della «Foundation for Defense of Democracies» (Fdd) di Washington, secondo cui sarebbe «il principale beneficiario dell'alleggerimento delle sanzioni» perché «le entità riconducibili a Khamenei e alle Guardie rivoluzionarie controllano i settori auto, aerei ed energia» destinati a essere premiati da un'intesa a Ginevra.

A redigere lo studio della «Fdd» è Emanuele Ottolenghi, l'analista che in primavera ha rivelato la presenza in Germania di una fabbrica di serbatoi per veicoli ibridi controllata proprio dalla «Setad». «Il network di Khamenei va dalla distribuzione auto all'immobiliare, dalle telecomunicazioni alle miniere - conclude Ottolenghi - per un totale di almeno 36 imprese quotate alla Borsa di Teheran».

 

 

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