UNO SQUALO PER L’ARTE - LA STORIA DI LARRY GAGOSIAN, UNO DEI GALLERISTI Più RICCHI E INFLUENTI AL MONDO, Già VENDITORE DI POSTER, CHE TRATTA IL MERCATO DELL’ARTE CON IL CINISMO TIPICO DEI BROKER - è FAMOSO PER FAR LIEVITARE A DISMISURA IL PREZZO DELLE OPERE, SFRUTTANDO I RICCHI-SCEMI A CACCIA DI STATUS E I CAPRICCI DI UN MERCATO SCIOCCO CHE LUI DOMINA…

Vincenzo Trione per "la Lettura - Corriere della Sera"

Questa è l'avventura di Larry Gagosian, dilettante di talento. Per tutti, è «lo squalo». Tra le figure più influenti nel sistema dell'arte contemporanea. L'unico gallerista davvero globale, immerso nella filosofia del mainstream. Agisce come il proprietario di una multinazionale. La sua galleria ha tredici sedi, distribuite in nove città: New York, Los Angeles, Londra, Roma, Atene, Ginevra, Hong Kong, Parigi, Rio de Janeiro. Vi lavorano 150 dipendenti.

Il prezzo totale per l'affitto dei diversi locali arriverebbe a circa 9 milioni di euro. Le vendite annuali ammonterebbero a 884 milioni di euro (pari a 16 milioni di euro a settimana). Gli artisti della scuderia Gagosian sono 108 (77 sono direttamente «controllati»): e vanno da Picasso a de Kooning, da Bacon a Warhol, da Baselitz a West, fino a Hirst e Koons.
Dietro questo impero, si nasconde una storia tipicamente americana. Una vicenda da self-made man.

Che ha molto di cinematografico: quasi il soggetto di un film di formazione. Siamo al cospetto di un personaggio che somiglia al John Wayne de La grande conquista, al Michael Douglas di Wall Street e al Tony Curtis di Piombo rovente. Figlio di armeni immigrati negli Usa (il padre era un ragioniere, la madre un'attrice diventata poi casalinga), Gagosian nasce a Los Angeles nel 1945.

Nel 1969 si laurea in letteratura inglese presso la Ucla. Ancora studente, in cinque minuti di cerimonia, a Las Vegas sposa Ellen Gwyn Garside, da cui si separa dopo 16 giorni. Proprio davanti al campus dell'università della California inizia a vendere manifesti: li acquista per due dollari, li incornicia in profili di alluminio, e li rivende per 15. Secondo alcune leggende - sempre smentite - avrebbe trattato anche poster erotici.

Nel 1976, si trasferisce in un ex ristorante nel complesso di Broxton, dove «propone» stampe di Diane Arbus e di Lee Friedländer. Nel 1978, apre la sua prima galleria, in West Hollywood, in cui presenta giovani californiani (Clemins, Burder) e nuove voci della scena newyorkese (Fischl, Sherman, Basquiat).

Nello stesso anno, compra un loft a New York, sulla West Broadway, non lontano dalla prestigiosa galleria di Leo Castelli. Per conto di facoltosi collezionisti, comincia a frequentare le aste e diventa famoso come «Go-Go», giocando sempre al rialzo. Dalla metà degli anni Ottanta, apre a Manhattan, sulla West 23rd Street, uno spazio espositivo. Da allora in poi, è un'escalation segnata da successi.

E da imbrogli: nel 2003, dovrà pagare 4 milioni di dollari per evasione fiscale.
La vita privata dello «squalo» è avvolta nel mistero. Tante dicerie, poche certezze, nessuna biografia ufficiale. Ha pochi amici. Tende a non rivelarsi: non rilascia interviste; non si reca quasi mai alle inaugurazioni delle sue mostre; non va alle fiere. Con abilità, ha alimentato tante illazioni, suscitando reazioni contrastanti: rifiuto e ammirazione. Alcuni lo giudicano geniale. Altri, calcolatore. Altri ancora, anaffettivo e asessuato. Secondo il magnate Eli Broad, «è una persona incredibile, ha grande energia e un occhio infallibile».

Una dealer ha affermato: «È un commerciante unico, prodigioso nell'assimilare informazioni, ma non sa neanche prepararsi da solo una tazza di caffè». E una sua ex fidanzata: «Per lui, non c'è niente al di fuori del lavoro. Considera il suo mestiere qualcosa di religioso».

Determinante, per Gagosian, è stata la frequentazione di Leo Castelli, triestino trapiantato a New York, mitico gallerista, appassionato sostenitore della Pop Art. Non un mero mercante, ma un compagno di strada per gli artisti, che ha saputo cogliere le tendenze del presente, senza inseguire una rigida coerenza. È riuscito a saldare pragmatismo imprenditoriale e curiosità per ciò che non è ancora strutturato.

«Il suo talento si può riassumere in due parole: intuizione e sensibilità», ha scritto Gillo Dorfles. Gagosian si è formato accanto a Castelli, che gli ha fatto conoscere Charles Saatchi e Samuel Irving Newhouse. Ma il suo approccio è radicalmente diverso. Ha poco in comune con i galleristi europei «classici»: da Kahnweiler ad Amelio, passando proprio per Castelli.

E non si ispira neanche a mecenati statunitensi come Paul Getty e Peggy Guggenheim. Piuttosto, ha affinità con neo-potenti come Charles Saatchi, François Pinault e Bernard Arnault, a proposito dei quali il critico del «New York Magazine», Jerry Saltz, ha scritto: «Sono i domatori del mondo dell'arte, showmen che fanno parte dello spettacolo», artefici di assurde follie finanziarie.

Le principali qualità di Gagosian: fiuto, cinismo, disinvoltura. Un giocatore di poker e, insieme, un tycoon. Che non mira a coniugare interesse per i maestri e ricerca del nuovo. Ma tende a concentrarsi sul già-visto, sulle celebrities. La sua strategia potrebbe essere accostata a quella di Florentino Pérez, il presidente del Real Madrid, impegnato ad acquistare sin dagli anni Ottanta i migliori calciatori in giro, in modo da dar vita a un dream team. Anche Gagosian «ingaggia» soprattutto autori consolidati. E ne gonfia le quotazioni. Ha una rara capacità nel «dilatare» al massimo il valore delle opere: ha la consuetudine di ricaricare di circa il 50% i prezzi fissati da un artista, nel momento in cui accetta di rappresentarlo.

Potrebbe trattare con la medesima furbizia un quadro di Picasso, una scultura di Hirst o una collezione di moda. L'arte, per lui, è solo una questione di business. Un gioco di affari, un fatto finanziario: un modo per speculare sul narcisismo dei neo-ricchi. Del resto, Gagosian non ha dubbi: «Contrariamente a quanto si dice, nel mondo ci sono ancora molti soldi che circolano».

Per lui, contano poco le visite negli atelier e il dialogo sulle questioni relative alla qualità dei quadri e delle sculture. Nella maggior parte dei casi, gli artisti vengono seguiti da una squadra di direttori attivi nelle varie filiali della galleria, che curano scelte e contrattazioni. Alcuni hanno sostenuto che Gagosian spingerebbe le «sue» star a produrre in maniera industriale, per soddisfare richieste pressanti. La replica è stata netta: «Non posso immaginare che una galleria seria chieda a un artista di realizzare più opere per coprirne i costi. Noi non lo facciamo. La nostra redditività è andata di pari passo con la nostra espansione».

In queste parole, è il ritratto del più spietato e arrogante protagonista del mercato dell'arte contemporanea. Il mercato che va inteso come una complessa miscela di consumismo, spettacolarità e vanità. Territorio abitato da stupidità e cupidigia, competenza e insicurezza, feticismo e ignoranza. Regno frequentato da «devoti» che tendono ad anteporre il giudizio collettivo alla riflessione individuale: e attribuiscono maggiore importanza alle quotazioni delle opere che al giudizio critico.

Il mercato, potremmo dire ancora con Saltz, è come «un vortice di sogni a uso e consumo di privati, una droga (...) la cui assuefazione rasenta la tossicodipendenza (...), una tempesta programmata fatta di promozioni e speculazioni, un misto tra una tratta di schiavi, un'agenzia di borsa, una discoteca, un teatro e un bordello». Un organismo autoreplicante: «Appena si rende conto che il lavoro di un artista vende, corre a chiedergliene di più». È «come una macchina fotografica che crede a tutto quello che le si para davanti».

Come pochi, Gagosian conosce le regole di questo sistema nel quale confluiscono calcolo e imprevedibilità, e ne sa orientare opzioni e parabole. È il guru di un'intera classe di collezionisti iper-ricchi. Al punto che l'art adviser Lisa Schiff ha detto di lui: «È la persona che sta condizionando il cambiamento in atto. Nell'arte, la sua influenza è pari a quella di Internet».

È davvero così? Forse, sarebbe meglio abbandonare questa enfasi, per interpretare il percorso di Gagosian come la prosecuzione di una tradizione fino in fondo statunitense. È l'erede dei padri fondatori dei musei americani. Macellai autodidatti e baroni delle ferrovie, i quali, guidati da esperti consiglieri, forti di importanti patrimoni, nel XIX secolo, costruirono dal niente le prime strutture espositive museali statunitensi.

Come loro, Gagosian, pur privo di finezza culturale, è dotato di uno straordinario fiuto da broker. E, tuttavia, è animato anche da un desiderio segreto. Concepisce le diverse sedi della sua galleria come le stanze di una pinacoteca liquida, estesa in tre continenti (America, Europa, Asia), senza confini geografici. Una pinacoteca dilatata, che si sviluppa, nel suo insieme, per circa 14.200 metri quadrati: più ampia addirittura della Tate Modern di Londra (13.500).

Gagosian sembra comportarsi come un direttore di museo, che, in una fase di crisi economica, sceglie di investire sontuosi budget per organizzare serie retrospettive dedicate a maestri del Novecento: si pensi alle mostre newyorkesi su Picasso e su Fontana (rispettivamente curate da John Richardson e Germano Celant). Il suo desiderio proibito: acquistare Les demoiselles d'Avignon di Picasso. La sua ambizione: dar vita a un «MoMasian». Il MoMa di Larry Gagosian, dilettante di talento.

 

LARRY GAGOSIAN LARRY GAGOSIAN GIANCARLO GIAMMETTI LARRY GAGOSIAN VALENTINA CASTELLANI LARRY GAGOSIAN - Copyright PizziLARRY GAGOSIAN - Copyright PizziLarry Gagosian - Copyright PizziLARRY GAGOSIAN - Copyright PizziLARRY GAGOSIAN - copyright pizziACHILLE BONITO OLIVA LARRY GAGOSIAN - Copyright PizziLarry GagosianPABLO PICASSOIl pittore Francis BaconANDY WARHOLFlorentino Perez

Ultimi Dagoreport

francesco milleri andrea orcel carlo messina nagel donnet generali caltagirone

DAGOREPORT - COSA FRULLA NELLA TESTA DI FRANCESCO MILLERI, GRAN TIMONIERE DEGLI AFFARI DELLA LITIGIOSA DINASTIA DEL VECCHIO? RISPETTO ALLO SPARTITO CHE LO VEDE DA ANNI AL GUINZAGLIO DI UN CALTAGIRONE SEMPRE PIÙ POSSEDUTO DAL SOGNO ALLUCINATORIO DI CONQUISTARE GENERALI, IL CEO DI DELFIN HA CAMBIATO PAROLE E MUSICA - INTERPELLATO SULL’OPS LANCIATA DA MEDIOBANCA SU BANCA GENERALI, MILLERI HA SORPRESO TUTTI RILASCIANDO ESPLICITI SEGNALI DI APERTURA AL “NEMICO” ALBERTO NAGEL: “ALCUNE COSE LE HA FATTE… LUI STA CERCANDO DI CAMBIARE IL RUOLO DI MEDIOBANCA, C’È DA APPREZZARLO… SE QUESTA È UN’OPERAZIONE CHE PORTA VALORE, ALLORA CI VEDRÀ SICURAMENTE A FAVORE” – UN SEGNALE DI DISPONIBILITÀ, QUELLO DI MILLERI, CHE SI AGGIUNGE AGLI APPLAUSI DELL’ALTRO ALLEATO DI CALTARICCONE, IL CEO DI MPS, FRANCESCO LOVAGLIO - AL PARI DELLA DIVERSITÀ DI INTERESSI BANCARI CHE DIVIDE LEGA E FRATELLI D’ITALIA (SI VEDA L’OPS DI UNICREDIT SU BPM), UNA DIFFORMITÀ DI OBIETTIVI ECONOMICI POTREBBE BENISSIMO STARCI ANCHE TRA GLI EREDI DELLA FAMIGLIA DEL VECCHIO RISPETTO AL PIANO DEI “CALTAGIRONESI’’ DEI PALAZZI ROMANI…

sergio mattarella quirinale

DAGOREPORT - DIRE CHE SERGIO MATTARELLA SIA IRRITATO, È UN EUFEMISMO. E QUESTA VOLTA NON È IMBUFALITO PER I ‘’COLPI DI FEZ’’ DEL GOVERNO MELONI. A FAR SOBBALZARE LA PRESSIONE ARTERIOSA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA SONO STATI I SUOI CONSIGLIERI QUIRINALIZI - QUANDO HA LETTO SUI GIORNALI IL SUO INTERVENTO A LATINA IN OCCASIONE DEL PRIMO MAGGIO, CON LA SEGUENTE FRASE: “TANTE FAMIGLIE NON REGGONO L'AUMENTO DEL COSTO DELLA VITA. SALARI INSUFFICIENTI SONO UNA GRANDE QUESTIONE PER L'ITALIA”, A SERGIONE È PARTITO L’EMBOLO, NON AVENDOLE MAI PRONUNCIATE – PER EVITARE L’ENNESIMO SCONTRO CON IL GOVERNO DUCIONI, MATTARELLA AVEVA SOSTITUITO AL VOLO ALCUNI PASSI. PECCATO CHE IL TESTO DELL’INTERVENTO DIFFUSO ALLA STAMPA NON FOSSE STATO CORRETTO DALLO STAFF DEL COLLE, COMPOSTO DA CONSIGLIERI TUTTI DI AREA DEM CHE NON RICORDANO PIU’ L’IRA DI MATTARELLA PER LA LINEA POLITICA DI ELLY SCHLEIN… - VIDEO

andrea orcel gaetano caltagirone carlo messina francesco milleri philippe 
donnet nagel generali

DAGOREPORT - BUM! ECCO LA RISPOSTA DI CALTAGIRONE ALLA MOSSA DI NAGEL CHE GLI HA DISINNESCATO LA CONQUISTA DI GENERALI - L’EX PALAZZINARO STA STUDIANDO UNA CONTROMOSSA LEGALE APPELLANDOSI AL CONFLITTO DI INTERESSI: È LEGITTIMO CHE SIA IL CDA DI GENERALI, APPENA RINNOVATO CON DIECI CONSIGLIERI (SU TREDICI) IN QUOTA MEDIOBANCA, A DECIDERE SULLA CESSIONE, PROPRIO A PIAZZETTA CUCCIA, DI BANCA GENERALI? - LA PROVA CHE IL SANGUE DI CALTARICCONE SI SIA TRASFORMATO IN BILE È NELL’EDITORIALE SUL “GIORNALE” DEL SUO EX DIPENDENTE AL “MESSAGGERO”, OSVALDO DE PAOLINI – ECCO PERCHÉ ORCEL HA VOTATO A FAVORE DI CALTARICCONE: DONNET L’HA INFINOCCHIATO SU BANCA GENERALI. QUANDO I FONDI AZIONISTI DI GENERALI SI SONO SCHIERATI A FAVORE DEL FRANCESE (DETESTANDO IL DECRETO CAPITALI DI CUI CALTA È STATO GRANDE ISPIRATORE CON FAZZOLARI), NON HA AVUTO PIU' BISOGNO DEL CEO DI UNICREDIT – LA BRUCIANTE SCONFITTA DI ASSOGESTIONI: E' SCESO IL GELO TRA I GRANDI FONDI DI INVESTIMENTO E INTESA SANPAOLO? (MAGARI NON SI SENTONO PIÙ TUTELATI DALLA “BANCA DI SISTEMA” CHE NON SI SCHIERERÀ MAI CONTRO IL GOVERNO MELONI)

giorgia meloni intervista corriere della sera

DAGOREPORT - GRAN PARTE DEL GIORNALISMO ITALICO SI PUÒ RIASSUMERE BENE CON L’IMMORTALE FRASE DELL’IMMAGINIFICO GIGI MARZULLO: “SI FACCIA UNA DOMANDA E SI DIA UNA RISPOSTA” -L’INTERVISTA SUL “CORRIERE DELLA SERA” DI OGGI A GIORGIA MELONI, FIRMATA DA PAOLA DI CARO, ENTRA IMPERIOSAMENTE NELLA TOP PARADE DELLE PIU' IMMAGINIFICHE MARZULLATE - PICCATISSIMA DI ESSERE STATA IGNORATA DAI MEDIA ALL’INDOMANI DELLE ESEQUIE PAPALINE, L’EGO ESPANSO DELL’UNDERDOG DELLA GARBATELLA, DIPLOMATA ALL’ISTITUTO PROFESSIONALE AMERIGO VESPUCCI, È ESPLOSO E HA RICHIESTO AL PRIMO QUOTIDIANO ITALIANO DUE PAGINE DI ‘’RIPARAZIONE’’ DOVE SE LA SUONA E SE LA CANTA - IL SUO EGO ESPANSO NON HA PIÙ PARETI QUANDO SI AUTOINCORONA “MEDIATRICE” TRA TRUMP E L'EUROPA: “QUESTO SÌ ME LO CONCEDO: QUALCHE MERITO PENSO DI POTER DIRE CHE LO AVRÒ AVUTO COMUNQUE...” (CIAO CORE!)

alessandro giuli bruno vespa andrea carandini

DAGOREPORT – CHI MEGLIO DI ANDREA CARANDINI E BRUNO VESPA, GLI INOSSIDABILI DELL’ARCHEOLOGIA E DEL GIORNALISMO, UNA ARCHEOLOGIA LORO STESSI, POTEVANO PRESENTARE UN LIBRO SULL’ANTICO SCRITTO DAL MINISTRO GIULI? – “BRU-NEO” PORTA CON SÉ L’IDEA DI AMOVIBILITÀ DELL’ANTICO MENTRE CARANDINI L’ANTICO L’HA DAVVERO STUDIATO E CERCA ANCORA DI METTERLO A FRUTTO – CON LA SUA PROSTRAZIONE “BACIAPANTOFOLA”, VESPA NELLA PUNTATA DI IERI DI “5 MINUTI” HA INANELLATO DOMANDE FICCANTI COME: “E’ DIFFICILE PER UN UOMO DI DESTRA FARE IL MINISTRO DELLA CULTURA? GIOCA FUORI CASA?”. SIC TRANSIT GLORIA MUNDI – VIDEO