
DAGOREPORT - MEDIOSBANCA! I GIOCHI ANCORA NON SONO FATTI. E LE PREMESSE PER UN FUTURO DISASTRO SONO GIÀ TUTTE SUL TAVOLO - AL DI LÀ DELLE DECISIONI CHE PRENDERÀ LA PROCURA DI MILANO SUL PRESUNTO “CONCERTO” DEL QUARTETTO CALTA-GIORGETTI-LOVAGLIO-MILLERI NELLA PRIVATIZZAZIONE DEL 15% DI MPS, IL PROGETTO TANTO AUSPICATO DA GIORGIA MELONI DI DARE VITA A UN TERZO POLO BANCARIO, INTEGRANDO MPS, BPM E MEDIOBANCA, SI È INCAGLIATO DI BRUTTO: LO VUOLE SOLO FRATELLI D’ITALIA MENTRE FORZA ITALIA SE NE FREGA E LA LEGA E' CONTRO, SAPENDO BENISSIMO CHE L’OBIETTIVO VERO DEL RISIKONE BANCARIO È QUEL 13% DI GENERALI, IN PANCIA A MEDIOBANCA, NECESSARIO PER LA CONQUISTA CALTAGIRONESCA DEL LEONE DI TRIESTE - AL GELO SCESO DA TEMPO TRA CALTA E CASTAGNA (BPM) SI AGGIUNGE IL CONFLITTO DI CALTA CON LOVAGLIO (MPS) CHE RISCHIA DI ESSERE FATTO FUORI PER ‘’INSUBORDINAZIONE’’ - ANCHE LA ROSA DEI PAPABILI PER I NUOVI VERTICI DI MEDIOBANCA PERDE PETALI: MICILLO HA RIFIUTATO E VITTORIO GRILLI NON È INTERESSATO - LA BOCCIATURA DELL’OPERAZIONE DI FITCH, CHE VALUTA MPS CON UN RATING PIÙ BASSO RISPETTO A MEDIOBANCA - LAST BUT NOT LEAST: È SENZA FINE LO SCONTRO TRA GLI 8 EREDI DEL VECCHIO E IL CEO MILLERI, PARTNER DEVOTO DI CALTARICCONE…
DAGOREPORT
francesco gaetano caltagirone giorgia meloni
Lunedì 8 settembre la premiata ditta CaltaMeloni & Co. sbancherà Mediobanca, di cui importa loro un fico secco, essendo il loro conclamato obiettivo quello di incamerare la quota del 13% di Generali in pancia all’istituto fondato da Enrico Cuccia, per espugnare nel 2026, alla prima assemblea, il “forziere d’Italia” (800 miliardi) di Assicurazioni Generali.
Un esito scontato che però deve fare i conti con l’inchiesta della Procura di Milano sul presunto “concerto” nella privatizzazione del 15% di Mps, che il ministero di Giorgetti, attraverso il suo direttore generale Marcello Sala, ha spartito tra Caltagirone, Milleri, Banco Bpm di Castagna e Anima sgr, con l’inedita “mediazione” di Banca Akros, partecipata dalla stessa Bpm.
Le cene post-vacanziere della Milano degli affari sono rallegrate dalla seguente domandina: cosa succederà se i Pm milanesi dovessero recapitare qualche avviso di garanzia ai protagonisti dell'insostenibile vendita del 15% di Mps che ha permesso la scalata di Mediobanca e la futura conquista di Generali?
Ma oltre all’indagine della Procura diretta da Marcello Viola, in barba alla cecità delle pagine economiche dei nostri media, le premesse per un disastro sono già tutte sul tavolo. A partire dal gelo sceso da tempo nei rapporti tra l’82enne Caltariccone e il 70enne Ceo di Siena Luigi Lovaglio.
Quando, con imperdonabile ritardo, Alberto Nagel ha tentato di sottrarre a CaltaMeloni il bottino agognato per espugnare Generali rifilandolo al Leone di Trieste in cambio di Banca Generali, l’ingenuo Lovaglio applaudì l’operazione di creare uno dei più importanti poli del risparmio a livello europeo.
Non l’avesse mai fatto: è stato costretto subito a rimangiarsi la dichiarazione da una vibrante incazzatura dell’imprenditore romano.
IL PROCURATORE DI MILANO MARCELLO VIOLA
Lovaglio, del caratterino decisionista (eufemismo) di Caltagirone, ne ebbe una prova nel dicembre 2024, quando ricevette il perentorio invito dell'editore del "Messaggero" di acquisire un 10% di titoli dell’istituto di Nagel e il Ceo di Mps lo disattese, lanciando un mese dopo, gennaio 2025, l’Opas (un'Offerta Pubblica di Acquisto e Scambio in cui si acquistano azioni offrendo sia denaro che altri titoli finanziari) su Mediobanca.
Un conflitto che mette in pericolo il rinnovo della poltrona di Lovaglio quando, ad aprile 2026, scadrà il suo mandato a Siena. Il baffuto banchiere lo sa bene e ora vuole garanzie per la sua riconferma mettendo sul piatto il potere di scegliere chi vuole per sostituire Nagel e il presidente Pagliaro, fottendosene dei suggerimenti di Fabio Corsico, tuttofare di Calta.
luigi lovaglio il gordon gekko dei riccarelli
Anche le voci sulla rosa dei papabili per i nuovi vertici di Mediobanca, fanno acqua da tutte le parti. Mauro Micillo ha rifiutato: per l’attuale responsabile della divisione Imi di Intesa Sanpaolo è una diminutio traslocare a piazzetta Cuccia agli ordini di Lovaglio (una offerta che, tra l’altro, avrebbe fatto incazzare il gran visir di Intesa, Carlo Messina).
Un altro “grazie, preferirei di no” sarebbe giunto da Marco Morelli, attuale presidente di Axa Im e già Ceo di Mps). Nel toto-nomi figurano anche di Flavio Valeri, presidente di Lazard Italia; Victor Massiah, ex ad di Ubi Banca; e Luciano Cirinà, ex responsabile Generali per Austria, Europa centrale e orientale, già in lizza per Caltagirone per la guida (fallita) di Generali nel 2022.
Per il ruolo di presidente, oggi di Renato Pagliaro, ha fatto sogghignare Piazza Affari il nome di Vittorio Grilli. Nessuno scommette sul francescanesimo dell’ex ministro del Tesoro, che dovrebbe rinunciare al dovizioso compenso milionario, che intasca come presidente europeo della grande banca americana J.P. Morgan, per accontentarsi della miseria di poco più di 700mila euro all’anno della presidenza di Mediobanca.
In alternativa a Grilli, potrebbe entrare in gioco Luigi De Vecchi, già chairman per l’Europa nella divisione Corporate & Investment Banking di Citi.
Ma tale girandola di nomi serve solo a gettare fumo negli occhi: il progetto tanto auspicato dall’Armata BrancaMeloni di dare vita a un Terzo Polo bancario, alle spalle di Intesa e Unicredit, integrando i capitali e le sinergie di Mps, Bpm e Mediobanca, si è incagliato di brutto, per ora.
Non ci pensa minimamente il boss di Bpm, Giuseppe Castagna, sempre più in amorosi sensi con l’azionista Credit Agricole, forte del 20%, di sciogliere la banca lombarda cara alla Lega (ne sa qualcosa l’Unicredit di Orcel quando ha provato a papparsela) e gettarla nel mischione del Terzo Polo, agli ordini di Lovaglio e Caltagirone.
Giuseppe Castagna - PRIMA DELLA SCALA 2024
Il rischio di finire impacchettato come Lovaglio, Castagna non lo corre perché, in fondo, ‘sto Terzo Polo, un’operazione che ci vogliono anni, lo vuole solo Fratelli d’Italia mentre Forza Italia e logicamente il Carroccio fanno spallucce, sapendo benissimo che l’obiettivo vero del risikone bancario è quel 13% di Generali, in pancia a Mediobanca, necessario per la conquista caltagironesca del Leone di Trieste.
Che si tratti di un’operazione politica targata Calta-Meloni che se fotte del Mercato e destinata al fallimento, lo testimonia la vendita delle partecipazioni in Mediobanca di banchieri come Massimo Doris e di grandi imprese, come Ferrero e Lucchini, e la conseguente sonora bocciatura in Borsa dei titoli di Mps e Mediobanca.
“Sono scelte molto significative perché dicono quale è il giudizio che il mercato dà sulla razionalità dell'operazione Mps-Mediobanca. Se questi imprenditori la giudicassero una buona operazione resterebbero”, ha sottolineato Giorgio La Malfa.
Ed ha aggiunto: “Come si può pensare di mettere un grande istituto internazionale, specializzato in operazioni finanziarie complesse, nelle mani di una banca locale reduce da un salvataggio pubblico, appena uscita dal coma?’’.
FRANCESCO GAETANO CALTAGIRONE MILLERI
E ieri la bocciatura da parte dell’agenzia di rating Fitch, che ha portato a negativo il rating BBB di Mediobanca, dà pienamente ragione all’analisi di La Malfa: ‘’La decisione è motivata con il no dei soci all'offerta su Banca Generali e riflette i rischi della combinazione con Monte dei Paschi di Siena, valutata dall'agenzia con livelli di rating più bassi (BBB-) rispetto a Piazzetta Cuccia”, riporta l’Ansa.
“L'integrazione delle attività più sofisticate e a rischio elevato di Mediobanca richiederebbe una supervisione attenta", prosegue Fitch, "poiché Mps potrebbe essere percepita come meno specializzata e più debole. Inoltre, differenze culturali potrebbero causare perdite di personale e di clienti”.
A tale bel quadretto, occorre aggiungere un’ultima nota: gli interminabili mal di pancia tra gli otto eredi Del Vecchio nei confronti del supremo manager della loro holding Delfin, Francesco Milleri, partner devoto di Caltagirone.
Come mai ha consegnato il 18 agosto, prima dell'assemblea del 21, gran parte di azioni Mediobanca in mano a Delfin, la finanziaria della famiglia Del Vecchio, rimettendoci pure qualche soldino, al senese Lovaglio?
Si vocifera che la mossa sarebbe stata architettata per anticipare disinnescandola la nota contrarietà da parte di quattro eredi-azionisti (su otto) all'investimento in Mps e la possibile crescita in Generali, e l'avevano manifestato con una lettera a Milleri.
All’indomani della tribolata approvazione del bilancio della Delfin, passata solo grazie all’intervento della vedova di Del Vecchio, Nicoletta Zampillo, al fine di disinnescare la ribellione del quartetto famigliare che, da tre anni tiene ferma a colpi di cause legali anche la successione del patriarca di Agordo, avrebbe proposto loro una distribuzione pro quota del 20% di titoli Mediobanca, ora traslocati in Mps.
Quindi in un prossimo futuro un 10% potrebbe finire sul mercato ma con ricavi nettamente inferiori rispetto a un mese fa. Ieri, riportava l’Ansa, “il titolo del Monte, alla cui offerta su Piazzetta Cuccia ha aderito il 38,5% del capitale, ha ceduto il 2,3% a 7,31 euro mentre Mediobanca ha lasciato sul terreno l'1,9% a 19,34 euro. Per le due banche si tratta della seduta in rosso consecutiva dopo il rilancio di 0,9 euro ad azione annunciato da Mps martedì mattina”.
LEONARDO DEL VECCHIO MOGLIE NICOLETTA ZAMPILLO
Oggi 5 settembre, alla chiusura delle contrattazioni a Piazza Affari, Mps si attesta a +0,29% e Mediobanca +0,23%. Quindi, al di là delle decisioni che prenderà la Procura di Milano, i giochi ancora non sono fatti…
Lovaglio, Nagel, Caltagirone, Milleri
FRANCESCO GAETANO CALTAGIRONE GIORGIA MELONI
MEDIOBANCA
mediobanca nagel
FRANCESCO MILLERI