
“LE NOZZE DI MEDIOBANCA CON MPS NON PORTERANNO BUONI RISULTATI” – GIORGIO LA MALFA STRONCA L’ASSALTO DELL’ARMATA “CALTA-MELONI” A PIAZZETTA CUCCIA: “COME SI PUÒ PENSARE DI METTERE UN GRANDE ISTITUTO INTERNAZIONALE NELLE MANI DI UNA BANCA LOCALE APPENA USCITA DAL COMA?” – “LE GENERALI FINIRANNO IN MANO A CALTAGIRONE E A MILLERI. MI CHIEDO QUALI COMPETENZE IN MATERIA DI ASSICURAZIONI POSSANO AVERE UN COSTRUTTORE E UN MANAGER CHE GESTISCE L'EREDITÀ DI DEL VECCHIO” – “LA POLITICA NON È IN GRADO DI GESTIRE BENE UNA BANCA PERCHÉ IN FINANZA BISOGNA ESSERE CAPACI DI DIRE DEI NO. E LA POLITICA NON SA DIRE DI NO, PERCHÉ È SOTTO IL RICATTO DEI CONSENSI…”
Estratto dell’articolo di Luca Fornovo per “La Stampa”
«Le nozze di Mediobanca con Monte dei Paschi non porteranno buoni risultati. Come si può pensare di mettere un grande istituto internazionale, specializzato in operazioni finanziarie complesse, nelle mani di una banca locale appena uscita dal coma?».
Giorgio La Malfa, politico di lungo corso nelle file del Partito repubblicano (ministro, eurodeputato) e memoria storica di Mediobanca, teme che la banca creata da Enrico Cuccia possa «perdere la sua indipendenza».
«Quando la politica pensa di poter gestire industrie e banche fa disastri» avverte La Malfa, che in questi anni è stato direttore scientifico dell'archivio storico di Mediobanca.
C'è una frase di Cuccia che mi pare molto attuale "se è caduto l'Impero romano, perché non dovrebbe cadere Mediobanca?".
«Cuccia è stato profetico: fin dagli anni Cinquanta aveva compreso che gli appetiti della politica verso Mediobanca e verso le assicurazioni Generali erano enormi.
FRANCESCO GAETANO CALTAGIRONE GIORGIA MELONI
Dal 1955 Mediobanca aveva iniziato ad accumulare azioni delle Generali per tutelarne l'indipendenza.
Il desiderio dei palazzi romani di mettere le mani sul potere economico era palese fin da allora. Le ricordo che nel 1972 la Dc pretese dall'Iri la nomina di un suo uomo al vertice della Comit.
Fu fatto fuori senza complimenti Raffaele Mattioli, che aveva preso la guida della Comit nel 1934, l'aveva risanata e riportata a una condizione di grande solidità e al suo posto venne messo Gaetano Stammati, un democristiano che poi si scoprì membro della loggia massonica P2 di Licio Gelli».
E Mediobanca riuscì a resistere?
«Sì, perché fu protetta dall'eccellenza dei risultati che Cuccia portava e da una parte del mondo politico che la sosteneva.
Ma all'inizio del Duemila con l'operazione Capitalia-Unicredit Cesare Geronzi, un banchiere appoggiato soprattutto da Andreotti, riuscì a diventare prima presidente di Mediobanca e poi di Generali».
Cuccia era riuscito a creare un salotto buono dell'industria e della finanza, attraendo soci di peso del capitalismo italiano. Ultimamente banchieri come Massimo Doris e grandi imprese, come Ferrero, si stanno sfilando. È la fine del salotto buono?
«Sono scelte molto significative perché dicono quale è il giudizio che il mercato dà dell'operazione Mps-Mediobanca. Se questi imprenditori la giudicassero una buona operazione resterebbero.
FRANCESCO GAETANO CALTAGIRONE MILLERI
Se ne vanno perché prevedono che non darà buoni frutti. Il governo si sta comportando come un medico che per curare un malato gli affida uno sano.
E' il mondo al contrario: quando il Banco di Napoli entrò in crisi fu Intesa Sanpaolo ad acquisirlo. Ora si fa l'opposto. Tenga presente che nessuno ha spiegato quali vantaggi deriveranno dall'affidare una banca come Mediobanca a Mps: si tratta di una operazione politica. Inoltre è evidente che da anni Caltagirone e Milleri, soci forti di Mps e Mediobanca, fanno sempre esattamente le stesse cose. Capisco che la magistratura stia indagando».
E le Generali che fine fanno?
«Se si dà Mediobanca in pasto a Mps, le Generali finiranno in mano a Caltagirone e a Milleri. Mi chiedo quali competenze in materia di assicurazioni possano avere un costruttore e un manager che gestisce l'eredità di Del Vecchio».
La partecipazione del Tesoro in grandi imprese come Eni, Enel e Terna, non ha portato a disastri. Perché pensa invece che una banca in mano in pubblica comporti dei rischi seri?
«Perché finora in quelle società le inframettenze politiche sono state poche: qui il caso è diverso: l'attacco a Mediobanca ha una base politica evidente. Si ricorda quel politico del centrosinistra che, parlando della scalata di Unipol alla Bnl, disse "allora siamo padroni di una banca?".
La politica non è in grado di gestire bene una banca perché in finanza bisogna essere capaci di dire dei no. E la politica non sa dire di no, perché è sotto il ricatto dei consensi. Mi ha stupito molto il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti: lo credevo più serio e distaccato e invece si è dimostrato molto attivo e politicizzato nelle partite del risiko bancario».
giorgia meloni e giancarlo giorgetti - question time alla camera
Lei ha scritto il saggio "Cuccia e il segreto di Mediobanca". Quali sono stati i no più famosi del "banchiere silenzioso"?
«Sicuramente quello a Sindona che fermò insieme a mio padre, Ugo la Malfa. A inizio degli anni Cinquanta le relazioni di Cuccia con Sindona erano positive ma cambiarono in fretta quando il banchiere di Mediobanca si accorse […] che Sindona aveva prodotto bilanci falsi. Sindona venne poi fermato da Cuccia nella scalata alla finanziaria Bastogi».
Un altro no famoso è quello di Cuccia all'amico banchiere Mattioli
Lovaglio, Nagel, Caltagirone, Milleri
«È un caso molto diverso che però illustra la severità di Cuccia banchiere. Mattioli nel 1961 chiese a Cuccia di fare un finanziamento alla Einaudi. […] Cuccia […] rispose […] che non vi era le condizioni per quel finanziamento: del resto aveva ragione: pochi anni dopo l'Einaudi fallì. Cuccia nel giudicare le imprese aveva un gran fiuto.
Nel 1987 quando succedetti a Spadolini come segretario del Pri, un celebre imprenditore a capo di un grande gruppo alimentare chiese di conoscermi. Chiesi consiglio a Cuccia se incontrarmi con questo imprenditore, Cuccia mi rispose: "Non avvicinarti a lui nemmeno con una pertica, tra qualche anno farà un botto come non se n'è mai visti". L'imprenditore era Calisto Tanzi, patron della Parmalat, che fallirà nel 2003».
Che rapporti aveva Cuccia con la politica?
«Credo vi fosse un'antipatia reciproca con Andreotti. Per il resto non aveva grandi amicizie con i politici. Con mio padre era un po' diverso: si erano conosciuti negli anni Trenta, lavorando insieme alla Comit di Mattioli».
Poi la morte di Cuccia nel 2000 crea un vuoto in Mediobanca
«Il suo delfino, Vincenzo Maranghi subì da subito vari attacchi. Maranghi che era un banchiere di valore, nel 2003 dovette piegarsi e rassegnare le dimissioni. Ma prima di andare via ottenne che la banca venisse gestita da due manager cresciuti in Mediobanca, Alberto Nagel e Renato Pagliaro che organizzarono la riscossa fino a quest'anno».
Con Nagel però Mediobanca cambia pelle: da banca d'affari diviene sempre più banca diversa da quello che era
«Direi che aggiunge alle sue attività precedenti la specializzazione nella gestione del risparmio dei privati. L'idea di Nagel di unire Mediobanca a Banca Generali nasce proprio nell'ottica di creare uno dei più importanti poli del risparmio a livello europeo».
Già ma i soci hanno bocciato la fusione con Banca Generali. E ora che futuro vede per Mediobanca? […]
«Nulla impedisce di sperare, ma non vedo come farsi illusioni: con una banca reduce da un salvataggio pubblico come Mps, i forti appetiti della politica e il sottobosco che si inerpica attorno ai palazzi romani siamo parecchio distanti dai tempi di Cuccia, di Mattioli e dell'Italia del miracolo economico».
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luigi lovaglio il gordon gekko dei riccarelli
Raffaele Mattioli
PAGLIARO NAGEL
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enrico cuccia x