1- MONTI O MERKEL? NESSUNO DEI DUE: IL VERO EURO-VINCITORE SI CHIAMA BARACK OBAMA. SE TRACOLLA L’EURO SA BENISSIMO CHE LA SUE RIELEZIONE VA A FARSI BENEDIRE 2- A FIANCO DI MONTI, UN HOLLANDE CONSAPEVOLE CHE DOPO L’ITALIA TOCCA ALLA FRANCIA 3- IL COMBINATO FRANCO-AMERICANO HA USATO COME ARIETE IL PROFESSORE DI VARESE 4- FIAT ADDIO: CHI CHIUDE TRA MIRAFIORI, MELFI, CASSINO E POMIGLIANO? MELFI E CASSINO 5- IN QUESTO SCENARIO LA SACRA FAMIGLIA DEGLI AGNELLI SI È CONCESSA IERI UN LAUTO DIVIDENDO CHE SEMBRA UNO SCHERZO DI FRONTE AL CROLLO DELLE VENDITE FIAT 6- TRISTE SOLITARIO Y FINAL: ANCHE PRODI PENSA CHE LA STRADA DEL COLLE È SBARRATA 4- DE BENEDETTI NON MOLLA: CHIEDE CONSIGLIO A GABETTI E COGITA UNA CORDATA PER LA7

1- MONTI O MERKEL? NESSUNO DEI DUE: IL VERO VINCITORE DEL VERTICE DI BRUXELLES SI CHIAMA OBAMA
La massaia di Berlino Angela Merkel, la donna di 58 anni che fa ballare i mercati al ritmo dello spread, arriva a Roma per incontrare Mario Monti, il Professore "tedesco" che al vertice di Bruxelles ha messo sul tavolo attributi insospettati.

Dall'incontro di oggi non si attendono novità clamorose, ma per mettere le mani avanti il premier italiano ha concesso una lunga intervista al quotidiano tedesco "Frankfurter Allgmeine" in cui dice che l'Italia non chiede niente "né il salvataggio, né gli eurobond".

Questa premessa dovrebbe creare un clima disteso tra i due personaggi che nel Summit di giovedì scorso hanno cercato di dominare il confronto.

La stampa dei due Paesi si è sforzata di appoggiare sulle loro teste la corona del vincitore, ma oggi guardandosi negli occhi entrambi dovranno ammettere che nelle stanze di Palazzo Berlaymont, dove si è svolta la tenzone, la palma del protagonista è andata a un leader che in quel momento si trovava a migliaia di chilometri. Stiamo parlando di presidente americano Obama che dietro le quinte ha fatto un pressing fortissimo per evitare che il tavolo saltasse trascinandosi dietro l'euro e una crisi devastante anche per il suo Paese. E soprattutto per la sua rielezione.

Eppure nelle settimane che hanno preceduto il vertice di Bruxelles Obama aveva manifestato profonda irritazione nei confronti dei leader europei. Al vertice messicano del G20 la tensione tra le due sponde dell'Atlantico aveva raggiunto un picco preoccupante fino al punto di far saltare l'incontro tra il presidente Usa e i leader europei previsto nella serata del 18 giugno.

A eccitare i nervi del primo leader mondiale erano state le dichiarazioni di Barroso e di Monti, due personaggi considerati "cagnolini" proni ai diktat d'Oltreatlantico, che avevano attribuito le cause della crisi e degli squilibri all'America. In un rigurgito di coraggio davvero sorprendente per chi conosce la sua modestia, Barroso aveva detto: "Questa crisi è stata originata in Nord America e molti dei nostri istituti finanziari sono stati contaminati a causa delle pratiche non ortodosse delle strutture finanziarie Usa. Non siamo venuti qui al G20 a prendere lezioni da nessuno".

Quella di Barroso e di Monti era la risposta ai ripetuti attacchi del "New York Times" e di altri giornali americani che spesso avevano accusato i leader europei di essere "complici" della situazione invitandoli a evitare il caos.

Quando la situazione è precipitata e il rischio del contagio si è allargato, Obama si è reso conto che doveva cambiare rotta per evitare un tracollo planetario in grado di compromettere la sua rielezione il prossimo 6 novembre quando gli americani saranno chiamati a scegliere il Presidente.

Se lo sguardo tra Monti e la massaia di Berlino andrà oltre l'ottica diplomatica, entrambi i leader dovranno prendere atto che il convitato di pietra americano ha fatto la sua parte per evitare il fallimento del vertice bruxellese. E l'ha fatta puntando soprattutto sul piccolo Hollande che, al di là dei pettegolezzi matrimoniali, rimane ancora un mistero per l'opinione pubblica francese. Il successore di Sarkozy ha giocato bene le sue carte consapevole che dal fallimento sarebbero arrivate conseguenze tragiche per Roma, Madrid e per il suo Paese.

Con queste motivazioni ha utilizzato Monti come un ariete trovando buon gioco nell'ambizione del nostro Premier che ha sempre considerato come vero obiettivo della sua politica una fine gloriosa al vertice dell'Europa (magari al posto del portoghese Barroso).

La tattica francese ha funzionato, la Merkel è stata messa in un angolo, e Monti che è sempre rimasto legato al mondo americano, ha saputo giocare le sue carte.

Oggi l'inquilino di Palazzo Chigi e la massaia di Berlino squilleranno le trombe sull'unità europea e con realismo diranno che il percorso è ancora lungo e gli strumenti per realizzarlo sono di difficile attuazione.

Dallo Studio Ovale della Casa Bianca Obama li ascolterà fregandosi le mani con soddisfazione.


2- FIAT ADDIO: CHI TRA MIRAFIORI, MELFI, CASSINO E POMIGLIANO RESTERÀ IN MEZZO A UNA STRADA? MELFI E CASSINO, LE PIÙ PROBABILI

Tra le mani di Sergio Marpionne c'è una margherita con quattro petali, ciascuno corrisponde agli stabilimenti Fiat di Mirafiori, Melfi, Cassino e Pomigliano sui quali da ieri incombe l'incertezza della chiusura.

Un petalo si è perso per strada, quello di Termini Imerese, sul quale le furbate dell'imprenditore molisano Di Risio e le incertezze di Corradino Passera hanno messo una pietra definitiva. Adesso gli ultimi operai della Fiat e l'irruente Landini della Fiom si chiedono dove il manager dal pullover sgualcito chiuderà i cancelli. È una domanda tragica, ma assolutamente in linea con la filosofia dell'uomo che a dicembre 2010 fu definito dal Corriere della Sera il "personaggio dell'anno".

A scrivere il suo elogio fu in quell'occasione Sergio Romano, incapace di capire che Marpionne fin dal 2007 ha dimostrato di essere un corpo estraneo, un cosmopolita che guarda con distacco all'Italia "bizantina, arcaica, conformista".

Eppure tre mesi prima del monumento apparso sul "Corriere della Sera" il manager italo-svizzero-canadese e oggi perfettamente amerikano, si era seduto nel salottino del reverendo Fabio Fazio e aveva detto: "la Fiat farebbe meglio se potesse tagliare l'Italia".

Questa dichiarazione arrivava dopo i dubbi espressi da quel sito disgraziato di Dagospia e in maniera ben più autorevole dall'editorialista del "Corriere" Massimo Mucchetti che a luglio dello stesso anno osava scrivere sul giornale di Flebuccio De Bortoli: "Marchionne gioca all'estero contro la madrepatria".

(Una "mucchettata" che convinse definitivamente Jaki Elkann che la corsa di De Bortoli era arrivata al capolinea, pronto a mandare in via Solferino Mariopio Calabresi. Ma il ragazzo non fece i conti con Abramo Bazoli e Flebuccio è rimasto in sella. Per quanto?)

La crisi mondiale dell'automobile è un argomento assolutamente veritiero contro il quale non serve rievocare il fantasma di "Fabbrica Italia", il fantomatico piano di investimenti sul quale si sono sprecati gli applausi degli storici torinesi (Giuseppe Berta, Valerio Castronovo) e dei cortigiani della Fiat (primo fra tutti Ernesto Auci).

Marpionne gli investimenti continua a farli, ma a Belgrado dove ha messo sul tavolo un miliardo per la nuova "500L", e a Detroit per l'acquisto di un'altra quota di Chrysler.

In questa logica la margherita "industriale" deve perdere altri petali, e la domanda inevitabile riguarda chi tra Mirafiori, Melfi, Cassino e Pomigliano resterà in mezzo a una strada.

"In teoria - scrive il "Sole 24 Ore" - l'impianto più a rischio sarebbe Mirafiori, il più vecchio e quello con i volumi di produzione più bassi", ma il giornale di Confindustria che si è chiusa fino adesso in un magnifico silenzio, ricorda che quella è la fabbrica storica della Fiat, "chiuderla sarebbe come tagliare un cordone ombelicale".

Per Dagospia, che usa un linguaggio più volgare, chiudere Mirafiori equivarrebbe ad abbattere la Mole Antonelliana (già crollata una volta nel maggio 1953), oppure alla rimozione della Sacra Sindone per lasciare il posto all'immagine di Lady Gaga.

Resta il fatto che ciascuno dei quattro stabilimenti è a rischio e che soprattutto Pomigliano, dove la Fiat è stata costretta a riassumere 145 operai, rappresenta la puntina da disegno sotto le chiappe del buon Marpionne.

Anche qui però ci sono le controindicazioni perché lo stabilimento campano è stato presentato poche settimane fa a Monti e Passera come un simbolo d'eccellenza. Probabilmente non si sbaglia pensando che le forbici oscilleranno tra Melfi e Cassino. In questo scenario la Sacra Famiglia degli Agnelli si è concessa ieri un lauto dividendo che sembra uno scherzo di fronte al crollo delle vendite Fiat.

Ma questo è il frutto della politica planetaria di Marpionne che ha avuto l'intuizione innegabile di trasferire il cuore dell'automobile in America, la sede legale in Olanda, e sta scoprendo con discutibile ritardo la forza del mercato cinese.

Così mentre i sindacati e gli ultimi operai si guardano angosciati, il manager dal pullover sgualcito cerca di fronteggiare la crisi ed è pronto a tirare fuori dalle tasche non solo le forbici ma anche qualche altra idea.

L'ultima - secondo le voci che circolano a Torino - riguarda Fiat Industrial che dopo la chiusura di cinque stabilimenti in Europa potrebbe essere venduta in tempi stretti.


3- SONO IN MOLTI A PENSARE CHE LA STRADA DEL COLLE È SBARRATA. ORA LO PENSA ANCHE PRODI
Se volete vedere Romano Prodi dovete recarvi giovedì della prossima settimana alle ore 9 a Palazzo Barberini dove il Professore parteciperà a un convegno sulle strategie per promuovere la crescita economica.

Ad accoglierlo sarà Federico Ghizzoni, l'amministratore delegato di Unicredit che ha voluto questo convegno invitando economisti italiani e stranieri oltre al vicepresidente di Confindustria, Ivanhoe Lo Bello. È probabile che il Professore di Scandiano reciterà la sua omelia con aria piuttosto mesta perché non sta vivendo un momento felice. Dal suo osservatorio di Bologna dove è rimasto arroccato con la moglie Flavia e una piccola pattuglia di fedelissimi, Romano assiste ai grandi movimenti che attraversano l'Europa, un mondo dove lui ha navigato nei cinque anni della sua presidenza alla Commissione europea.

Adesso si trova ai margini rispetto a questo universo e non gli resta che commentare gli scenari sfornando giudizi mordaci contro la Germania considerata la causa di tutti i mali. A dire il vero dopo il vertice di Bruxelles la sua ira nei confronti di Berlino si è leggermente placata e non più tardi di domenica in un'intervista all'"Unità" ha dichiarato che "non avrebbe senso lavorare contro la Germania".

Però ciò che manca veramente al 74enne Professore è il palcoscenico della politica italiana, ormai affollato di personaggi come Monti, Beppe Grillo e Bersani che si battono per buttarsi alle spalle il passato. Se ci fosse ancora sulla scena Berlusconi il Professore di Bologna avrebbe pane per i suoi denti; non a caso lo ricorda nelle sue interviste sbertucciandolo con disprezzo. E gli dispiace in modo particolare che solo in rare occasioni qualcuno si ricordi dei suoi due governi quando riuscì a ridurre il disavanzo pubblico di 4 punti mentre il Cavaliere peccaminoso in soli tre anni di non governo se li mangiò tutti.

Sullo sfondo resta l'amarezza per un cursus honorum che avrebbe dovuto concludersi al Quirinale. Questo sarebbe il coronamento di una carriera nella quale ha ricevuto soddisfazioni politiche e ben 33 riconoscimenti accademici ad honorem.

Purtroppo sono in molti a pensare che la strada del Colle è sbarrata. Forse ci vorrebbe una seduta spiritica come quella del 20 aprile 1978 durante il rapimento Moro per far capire a Prodi se esiste ancora una margine per la sua resurrezione.


4- DE BENEDETTI CHIEDE CONSIGLIO A GABETTI E COGITA UNA CORDATA PER LA7

Avviso ai naviganti: "Si avvisano i signori naviganti che secondo rumors milanesi Carletto De Benedetti non avrebbe rinunciato a entrare in lizza per l'acquisto de "La7".

Tra le 15 manifestazioni di interesse arrivate per le tv di TelecomItalia non c'è traccia dell'Ingegnere, ma c'è chi è pronto a scommettere che il suo profilo spunterà all'interno di una cordata.

A consigliarlo in questa strategia "nascosta" pare sia Gianluigi Gabetti, il Grande Vecchio della Famiglia Agnelli che anche dopo la breve esperienza di De Benedetti in Fiat ha tenuto aperto un dialogo come si usa tra le vecchie volpi della finanza".

 

 

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