PALLONE ALL’ULTIMO STADIO - SENZA UNA STRUTTURA DI PROPRIETÀ, I CLUB NON POSSONO RISOLVERE I PROBLEMI DI BILANCIO - GLI INTROITI TV, IN CALO NEGLI ULTIMI ANNI, NON BASTANO PIÙ: SERVONO IMPIANTI POLIFUNZIONALI, PIÙ PICCOLI DI QUELLI ATTUALI, ZEPPI DI NEGOZI, CINEMA E RISTORANTI PER DRENARE MONETA DA TIFO E FAMIGLIE - IL BAYERN MONACO DEVE IL 55% DEL SUO FATTURATO ALLE VENDITE ANNESSE ALLO STADIO E SOLO IL 22% AI DIRITTI TV…

Adriano Bonafede per "Affari & Finanza - la Repubblica"

La Juventus l'ha già costruito e sta anzi passando alla seconda fase. La Roma ha individuato nelle scorse settimane l'area dove sorgerà. L'Inter sta vagliando varie zone di Milano e anche Fiorentina e Napoli vorrebbero realizzarli. Solo il Milan va in controtendenza e non ci pensa neanche a lasciare San Siro. Ma il trend è già delineato: le società di calcio vogliono adesso costruirsi il loro stadio, a misura delle loro necessità e dei loro bisogni.

Stadi completamente diversi da come li abbiamo visti finora: più piccoli (inutile avere 80 mila posti quando ne bastano 40 mila, che guarda caso è proprio la "taglia" dello Juventus Stadium), con tante attività dentro e intorno per attirare gente tutti i giorni della settimana e non soltanto nella fatidica ora e mezza della partita. L'obbiettivo, anzi la necessità, è comune a tutti i Club: aumentare i ricavi portando più gente allo stadio e dunque accrescendo il numero dei biglietti venduti e commercializzando prodotti e servizi.

Negozi, musei, centri commerciali, attività di entertainment, convegni. In questi stadi di seconda generazione c'è vita in ogni ora del giorno e della notte: ci si va per attività ludiche, per andare al cinema o al ristorante, per farsi una passeggiata in centri commerciali costruiti ad hoc sulle esigenze del "tifoso". Certo, si tratta di investimenti consistenti: la Juve ha già speso 155 milioni per acquisire l'area dal Comune per 99 anni, demolire il vecchio stadio Delle Alpi, abbandonato, e costruire quello nuovo insieme a tutte le attività di contorno.

Più gli oneri di urbanizzazione, svincoli stradali, parcheggi. Ma il gioco vale la candela. Un recentissimo studio della Deloitte dimostra che il modello di business delle società di calcio "vincenti" in Europa - ad esempio il Real Madrid , il Barcellona o il Manchester United e il Bayern di Monaco - è sempre più basato sulla vendita di merci, sulle sponsorizzazioni e sui maggiori biglietti venduti.

Mentre i Club italiani sono attardati sulla supremazia degli introiti per la cessione dei diritti televisivi: l'A.S. Roma A.C., ad esempio, ha addirittura il 55 per cento dei ricavi da "Broadcasting" e soltanto il 13 per la vendita dei biglietti. Per contro, il Real Madrid ha il 39 per cento dei ricavi da diritti tv e il 25 da vendita dei biglietti (percentuali simili a quelle del Barcellona).

Il Bayern ha addirittura il 22 per cento di fatturato da broadcasting e il 23 da biglietti, mentre riesce a sfruttare intensamente tutte le vendite annesse allo stadio, che infatti raggiungono il 55 per cento del fatturato: si può dire che la squadra tedesca è una macchina capace di generare profitti da attività ancillari alle partite vere e proprie. Insomma, il Club di calcio europei hanno già capito in che modo si muove il mondo del football.

Tant'è vero che non soltanto - come abbiamo visto - il business mix è diverso da quello della squadre italiane, ma, grazie a ciò, i loro ricavi sono considerevolmente superiori e, soprattutto, crescono a ritmi impressionanti. Al contrario, il fatturato delle squadre italiane è abbastanza statico, e qualcosa si è mosso, guarda caso, proprio per la Juventus che con il nuovo stadio è riuscita a triplicare i ricavi da gare da 11,5 a 32 milioni, e da172 a 214 i ricavi complessivi.

Per giro d'affari, il Real Madrid sembra irraggiungibile con i suoi 512,6 milioni nel 2001/2012. Il Milan è all'ottavo posto con 259 milioni, al Juve al decimo, l'Intera al dodicesimo, il Napoli al quindicesimo e la Roma al diciannovesimo. Non può stupire la bassa crescita del fatturato delle squadre di calcio italiane, se la prima fonte di reddito sono i diritti televisivi. Un miliardo di euro, una bella cifra, spuntata dalla lega Calcio per ciascuno dei tre anni che finiranno nel 2015.

Ma questi ricavi restano fissi per un intero triennio mentre non pochi temono che possano dopo la prossima scadenza scendere. I broadcaster, presi tutti insieme (Rai, Mediaset, La7 e Sky), hanno una redditività da sfruttamento dei diritti tv sul calcio dell'1 per cento. Sia che Rai e La7 sono sotto la linea e solo Mediaset e Sky guadagnano un po'. In queste condizioni, e con una recessione che non sembra la condizione migliore per spingere la crescita di abbonati e utenti, è possibile pronosticare anche una qualche riduzione di questi esborsi.

La gallina dalle uova d'oro, la tv, potrebbe presto perdere parte della sua fertilità. La Roma ne è consapevole e mette in conto un possibile esito del genere. Tanto che ha già individuato l'area dell'ex ippodromo di Tor di Valle, nella direttrice Roma-Ostia, dove far sorgere il complesso formato da uno stadio ultramoderno da 60 mila posti (la capitale è molto più grande di Torino, serve quindi una maggiore capienza). Costo previsto, da 200 a 300 milioni, interamente finanziato da capitali privati (in cui le sponsorizzazioni avranno una parte rilevante).

Le mosse della Juve e della Roma dimostrano che anche le società di calcio italiane possono e devono svecchiarsi, e pensare in modo nuovo. In realtà sono sedute su un giacimento poco sfruttato: il loro nome, la loro capacità di attirare pubblico. In qualche modo i Club devono trasformarsi da pure società che allenano squadre a promotori immobiliari.

Tipico è il caso della Juventus, che ha già sottoscritto con il Comune di Torino un nuovo contratto preliminare: «Davanti alla Tribuna Ovest racconta Aldo Mazzia, amministratore e Cfo - costruiremo il training center e la nuova sede sociale. In partnership con altri imprenditori realizzeremo un hotel, un Multiplex e una nuova galleria commerciale diversa da quella dello stadio».

 

 

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