LA ‘’PICCOLA ATENE’’ FARÀ LA FINE DI QUELLA GRANDE? “L’ULTIMA SPIAGGIA” COME IL BILLIONAIRE? - ORMAI L’EGEMONIA “CULTURALE” DI CAPALBIO È SVANITA: TRA I DISSESTI DEL PREMIO LETTERARIO E LA CALATA DEI LANZICHENECCHI (LA BERLUSCONONA MELANIA RIZZOLI), GLI IRRIDUCIBILI “RICCHI, COMUNISTI E STRONZI (MAI TUTTI INSIEME)” LA STANNO ABBANDONANDO - PERFINO NAPOLITANO ORMAI PREFERISCE STROMBOLI…

Malcom Pagani per "il Fatto Quotidiano"

Bisognava soffrire. Fingere che il lusso si chiamasse pauperismo. Planare all'Ultima spiaggia, dove "l'ultimo arrivato è almeno vicedirettore", con i giornali nella busta della spesa e la panzanella in tavola. O palesarsi in bermuda, né troppo presto né troppo tardi, per avvertire l'impercettibile silenzio della sorpresa. Umberto Eco tra i bagnanti, protetto dallo schermo di Renate, la consorte, a due passi dal mare nero e dalla ciminiera di Montalto.

Il capobanda, Alberto Asor Rosa, ad accogliere tra gli abbracci esuli di ritorno, Toni Negri nell'83. Eugenio Scalfari con la sua corte, a pranzo. Giorgio Napolitano con il panama. Chicco Testa al galoppo sul destriero, concedendo interviste sul bagnasciuga. Ora che il Premio Capalbio originale viene ucciso come un cavallo stanco di trottare, il sindaco indigeno Luigi Bellumori, scopre l'ubiquità. Si carezza con l'ex patron della targa, l'editore Aringoli ("cialtrone", "dittatore") e intanto, salvando il salvabile , ne tira fuori dal cilindro un clone: "Capalbio-Piazza Magenta, I° edizione, 25 agosto". Pragmatismo maremmano, pagina girata.

Osservare gli ombrelloni stanziali, fotografia del potere in mostra tra un'estate e l'altra, spinge alla malinconia e al come eravamo. I segnali della decadenza erano già appesi alle pareti dell'Ultima Spiaggia. Ex ragazzi sorridenti e terribili, precocemente invecchiati a suon di promozioni. La Capalbio del 2012 è un effetto ottico. Un equivoco meno esilarante delle gaffe geografiche di Piero Ottone: "È impossibile attraccare al porto del paesino". Un angolo di passato remoto.

L'egemonia "culturale" svanita, in coincidenza con l'arrivo del lanzichenecco (Melania Rizzoli, Italo Bocchino, Polverini, Erminia Fini, persino, la madre di Gianfranco). La dimostrazione di un abbaglio, la certificazione osteggiata dagli irriducibili: "Qualunquisti!", destra e sinistra non erano poi così distanti. Mancano i punti di contatto, i collanti ideologici che avevano tenuto insieme l'eterogenea compagnia fin da quando si era postulato di predicare il verbo ed esser migliori. Berlusconi. Quello che salvava dalla noia incitando a sguardi languidi e complicità assortite davanti all'anguria: "Resistete, resistiamo, mi raccomando" .

Poi a sera, finalmente liberi dalla pedagogia, spogliati dall'aria punitiva che ogni lezione trascina con sé, scatenava le stesse figurine in balli e compleanni con doni più radical chic della definizione stessa. Sacche di juta, conserve biologiche o come accadde tra i gridolini al consueto baccanale di stagione del tandem Glisenti/Eliana Miglio, miniriproduttori di strilli d'orgasmo. L'essenziale e il profano.

Il cazzeggio e la messa laica che i potenti (buon ultimo, Monti, esattamente un anno fa) dalle architetture di Piazza Magenta officiavano felici. Orchestrava Gianni Aringoli, ex compagno di Paolo Mieli in corridoi liceali molto diversi dai contemporanei. Venivano tutti. A mangiare, dormire, sdraiarsi in faccia al Tirreno presentando programmi politici, taumaturgie improbabili o libri.

"Le pappardelle al cinghiale piacevano ai più" rimarca Aringoli. Non accadra più, anzi avverrà domani (con altre persone) perché come dice il sindaco che sull'attaccapanni conserva un cappello da rivoluzionario cubano - "Sono stato veramente di sinistra, sa?" - "Pur non essendo una questione personale tra l'amministrazione e il patron", fare i conti con l'effetto delazione lo ha costretto all' interventismo.

I solleciti di pagamento che gli hanno invaso il tavolo, le lettere della Copisteria Rosalba ("Con sorpresa ho scoperto che il gentilissimo Presidente Aringoli ci aveva pagato con assegni a vuoto") gli avvisi di sfratto di un noto cassazionista romano: "Abbiamo affittato un immobile al dottor Aringoli, non ha pagato e siamo stati obbligati allo sfratto esecutivo".

I dolori di edicolanti, osti, tassisti. Troppo. "Sono arrivate le lamentele degli scomparsi. Dei disperati che temevano di non veder più nulla. L'ultima edizione del Premio Capalbio si è tenuta nel 2011. Gli subentra un'altra cosa. Se non si è capaci di tenere un profilo lontano dalla cialtroneria qui non si è graditi" dice Bellumori senza alterarsi. Avrebbe dovuto incontrarsi ieri con Aringoli, Mirella Serri e Giacomo Marramao tra le gialle mura del comune. Sono arrivati solo gli ultimi due, giurati permanenti (anche del neo-premio) e incolpevoli spettatori di un film sgranato. Aringoli non c'era, ma al telefono, non sapeva decidersi.

Ore 16.15: "Farei ancora in tempo a esserci". Ore 17.20: "Sono sull' Aurelia, sto arrivando". Ore 17. 50. "Se il sindaco vuole la guerra combatterò, ma per ora mi faccio da parte". Una commedia.

A Capalbio, dove Altero Matteoli, per costruire l'autostrada conobbe il suo Vietnam, sono rapidi e detestano essere presi in giro. Si accorgono che dopo aver smarrito il predominio intellettuale, rischiano di perdere anche il resto. Muore il paese, annaspa il Billionaire, potrebbe succedere anche alla Piccola Atene dove secondo Giovanna Nuvoletti c'era gran frotta di "ricchi, stronzi e comunisti", ma mai, precisava: "tutti insieme".

Una severa allegria. I letterati uscivano dal cesso barcollando per aver tracannato flaconi di dopobarba, Benigni era ancora Cioni Mario e i calciatori laziali come Simeone ricevevano all'Ultima spiaggia gavettoni da teppisti travestiti da tifosi ("Forza Roma alè") che altre comparse meno prestanti di nome Nando Adornato: "Fermi, imbecilli" cercavano di vendicare a rischio della propria incolumità: "A vecchio, nun me toccà".

Altri preferivano starne alla larga. Giangiacomo Feltrinelli non ci veniva e infatti, in un simbolismo rovesciato, la sua magione viene svenduta a un russo a 18 milioni di euro. La metà di quanto Ricucci la pagò tentando di entrare nel salotto "fracico". Qui interessa il giusto. La nuova villa di Chicco Testa è grande come un centro commerciale. Ma di pietra e tanto chic.

 

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