1. PRODI RISPONDE A RIVA, CHE HA DEFINITO L’ILVA AI TEMPI DELL’IRI “UN FERROVECCHIO” 2. MA ALLORA PERCHÉ QUELLO CHE IL MORTADELLA DEFINISCE “UNO DEI PIÙ BEI STABILIMENTI D’EUROPA” FU VENDUTO DALL’IRI BUTTANDO DENTRO UNA "BAD COMPANY" MIGLIAIA DI MILIARDI PUBBLICI, FAVORENDO PER 20 ANNI I RIVA IN BARBA ALL’AMBIENTE? 3. LO STALLO IN FINMECCANICA SU DE GENNARO PORTEREBBE AL CONGELAMENTO DEI RUOLI DI VENTURONI E PANSA, SENZA ZAMPINI. CON SOMMA INCAZZATURA DI RE GIORGIO 4. AI MONTEZEMOLIANI NON FREGA NIENTE DELLE ELEZIONI. L’EDITORIALE CONTRO LETTA CHE NON SI OCCUPA DI “MERITO” SERVE, COME SEMPRE, A DIFENDERE I TRENI NTV 5. NON FATE VEDERE A SQUINZI L’ARTICOLO DEL “SOLE” SULLE MERAVIGLIE SVIZZERE

1. PRODI RISPONDE A RIVA, CHE HA DEFINITO L'ILVA AI TEMPI DELL'IRI "UN FERROVECCHIO". "ERA UNO DEI PIÙ BEI STABILIMENTI DI EUROPA". ALLORA PERCHÉ SVENDERLO?
Romano Prodi non ci sta. Da quando è stato fulminato dopo le pugnalate dei 101 congiurati che nel PD gli hanno sbarrato la strada per il Quirinale, il Professore di Bologna si è incattivito e ha perso l'apparente bonomia dietro la quale nasconde la presunzione intellettuale e la voglia di vendetta.

Così ,mentre agli amici più intimi ricorda che Giulio Cesare di pugnalate ne ricevette soltanto 23, quando viene chiamato in causa per qualche problema che riguarda i suoi trascorsi in politica e all'Iri reagisce con violenza. Lo ha fatto ha fatto ieri dopo aver letto l'intervista del "Corriere della Sera" al patron dell'Ilva, Emilio Riva, che si trova ai domiciliari con il rischio di perdere il patrimonio di 8,1 miliardi sparso nei paradisi fiscali.

Al giornalista del "Corriere della Sera" che lo interrogava Riva, ha dichiarato che quando nel '93 rilevò l'azienda di Taranto trovò che l'Ilva "era un ferrovecchio", un disastro industriale rimesso in piedi con i suoi soldi e la sua bravura.

Agli occhi di Prodi questa affermazione è semplicemente spudorata e oggi ribatte piccato sul quotidiano "Il Fatto": "Taranto era un grande stabilimento, assolutamente uno dei più bei stabilimenti integrati d'Europa".

Se accanto a Romano ci fosse stata la moglie Flavia, l'unica che riesce a capirlo e a placare la sua ira, forse gli avrebbe consigliato di non riaprire il capitolo della vendita dell'Ilva ai Riva perché su quell'operazione si scatenarono a suo tempo polemiche furibonde.

Agli occhi di Prodi però l'Ilva non è soltanto un pezzo della sua esperienza professionale all'Iri, ma una colonna fondamentale della storia industriale del Paese che il Professore conosce benissimo anche se in televisione l'ha raccontata malissimo. Quando si parla dell'Ilva, ex-Italsider, è inevitabile ricordare il ruolo che la siderurgia ha avuto nella ricostruzione dell'Italia e alla lungimiranza della Banca Commerciale italiana che nel '21 ne rilevò la proprietà facendola confluire dentro l'Iri.

Poi i tempi sono cambiati e a distanza di decenni Prodi appena salito al governo decide nel '94 di cederla ai privati nonostante l'Italsider sfornasse circa 12 milioni di tonnellate di acciaio l'anno. Sull'azienda ,che si chiama Ilva perché ha preso il nome latino dell'isola d'Elba dove c'era il minerale di ferro per i primi altiforni di fine ‘800, gravava un debito di 7mila miliardi di lire. Nelle stanze dell'Iri qualche mente fertile e generosa fissò il prezzo finale in 1.649 miliardi, uno sconto enorme che lasciò sulle spalle dei contribuenti italiani il peso degli altri debiti.

La furbizia dei Riva li portò a chiedere un altro sconto di 800 miliardi giustificato con interventi da fare per abbassare l'inquinamento. Il beneficio fu negato e a chi oggi ricorda questo passaggio della trattativa Prodi risponde con un certo imbarazzo: "parliamo di un secolo fa, molto prima della legislazione provvidenzialmente intervenuta dopo...". e insiste nella sua difesa: "era un bello stabilimento, tra l'altro isolato dalla città. È stata la città ad andare addosso all'Ilva non l'Ilva addosso alla città".

Nulla da eccepire a questa affermazione perché gli abitanti di Taranto sanno che il quartiere Tamburi era abbastanza lontano dalle ciminiere e fu l'espansione urbanistica a provocare la distruzione di migliaia di ulivi nella zona più verde della città.

Lo scaricabarile dell'ex-presidente dell'Iri è formalmente ineccepibile, ma chi avrà voglia un giorno di raccontare la vera storia dell'Ilva dovrà spiegare le ragioni per cui quello che Prodi definisce "uno dei più bei stabilimenti d'Europa" fu venduto dall'Iri buttando dentro una "bad company" migliaia di miliardi con una decisione che favori' la famiglia siderurgica.

Una famiglia che negli anni '90 è stata graziata oltre misura, e che nel 2008 è entrata nella compagine dei patrioti italiani per salvare l'Alitalia mettendosi in tasca una cambiale politica che oggi non può scontare.


2. LO STALLO IN FINMECCANICA SU DE GENNARO PORTEREBBE AL CONGELAMENTO DEI RUOLI DI VENTURONI E PANSA, SENZA ZAMPINI. CON SOMMA INCAZZATURA DI RE GIORGIO
Gli uscieri di Finmeccanica guardano i rolex d'oro massiccio e contano le ore che mancano all'Assemblea dove si dovrebbe decidere il nuovo assetto del Gruppo.

Il loro timore è che alla fine del carosello tutto resti come prima e che nel vertice aziendale non avvengano rivoluzioni tali da rianimare la corazzata di piazza Monte Grappa. A confortarli in questa tesi è la voce che all'improvviso sono risalite le quotazioni per la presidenza dell'ottuagenario ammiraglio Venturoni, mentre sembrano calate le candidature di Gianni De Gennaro e dell'ex-ambasciatore Castellaneta.

Per entrambi sono in azione i due Letta, con lo zio Gianni che tira la volata a Castellaneta mentre il nipote Premier spinge su De Gennaro ma si trova di fronte all'ostacolo normativo che obbliga chi è uscito dal governo a stare in panchina per almeno un anno. Solo un apposito decreto potrebbe sbloccare la situazione, ma i tempi stretti e il gioco delle spinte e controspinte tra zio e nipote, rende sempre più improbabile questa soluzione.

Lo sa bene De Gennaro e lo sa bene anche Castellaneta che vive sulla corda perché se l'Assemblea di Finmeccanica sarà differita rischia di giocarsi anche la poltrona di presidente della Sace, la compagnia che assicura l'export italiano.

Nel frattempo continua a circolare la voce di una possibile presidenza affidata a Paolo Cantarella, ma è convinzione diffusa che si tratti di un'autocandidatura sostenuta soltanto dal tandem torinese Fassino-Siniscalco. Allo stesso modo appare poco probabile l'arrivo in pompa magna di Franchino Bernabè anche se nelle ultime ore si sono moltiplicati i rumors che lo danno in grandi difficoltà a TelecomItalia.

In questo scenario gli uscieri temono che il governo scelga la strada più indolore lasciando a Venturoni la presidenza che già ha ricoperto ad interim dopo l'arresto di Orsi, e a Pansa il timone operativo. Sarebbe la soluzione peggiore e darebbe un gran fastidio al Quirinale dove il problema della presidenza è del tutto secondario mentre anche i corazzieri sanno che Napolitano vedrebbe di buon occhio lo sdoppiamento delle deleghe operative tra il manager "industriale" Giuseppe Zampini e il "super-ragioniere" finanziario Alessandro Pansa.


3. AI MONTEZEMOLIANI NON FREGA NIENTE DELLE ELEZIONI. L'EDITORIALE CONTRO LETTA CHE NON SI OCCUPA DI "MERITO" SERVE, COME SEMPRE, A DIFENDERE I TRENI NTV
È inutile chiedersi che cosa pensano Luchino di Montezemolo e il suo think tank degli ultimi risultati elettorali.

Agli occhi dei "carini" di "ItaliaFutura" queste sono scaramucce provinciali che li hanno visti assenti e totalmente disinteressati. Loro preferiscono volare alto e appena è nato il governo Letta si sono premurati di scrivere sul sito dell'Associazione un editoriale che annunciava la voglia di tornare "alla mission iniziale per promuovere il dibattito civile e politico dando voce a chi non si rassegna a contribuire alla vita pubblica solo il giorno delle elezioni".

In calce a questo pronunciamento c'erano le firme di Luchino di Montezemolo e Nicola Rossi, l'ex-senatore Pd che ha messo il suo cervello a disposizione del presidente della Ferrari.

E oggi, sempre sul sito di "ItaliaFutura", si legge un violento attacco a Enrico Letta accusato di non aver mai utilizzato le parole merito e concorrenza nel suo discorso alle Camere. "Evidentemente - si legge nel testo - non c'è proprio nulla che unisca e affratelli le forze politiche come la difesa delle rendite". Questa prosa non è firmata da Luchino di Montezemolo, ma ancora una volta da Nicola Rossi e da Alessandro De Nicola, un avvocato 52enne che oltre a far parte di uno studio legale internazionale, si è buttato con entusiasmo tra le braccia di Oscar Giannino e poi si è avvicinato a quelle più aggraziate e generose di Montezemolo.

La domanda di fondo è perché dopo aver annunciato una svolta "movimentista", oggi i cervelli del think tank battano il ferro con tanta insistenza sul tema della concorrenza. La risposta è scontata.

Non più tardi di ieri Giuseppe Sciarrone, l'amministratore delegato di Ntv, ha lanciato un grido di dolore su "Affari&Finanza" contro la guerra dei prezzi innescata dalle Ferrovie dello Stato alle quali la società di Luchino, Dieguito & Company versa ogni anno 120 milioni di pedaggi. "Siamo schiacciati - dice Sciarrone - per questo versamento e per i prezzi praticati da Trenitalia".

Ecco, la questione è tutta qui. I cervelli di "ItaliaFutura" se ne fottono di Grillo, Alemanno e non hanno nemmeno un gesto di attenzione verso quel "supercarino" di Marchini che per i suoi attributi estetici potrebbe far concorrenza a Luchino. A loro interessa il tema della concorrenza e del dumping sulle tariffe praticato con cinismo da Mauro Moretti. E a costo di svilire i grandi valori conclamati ficcano la testa nella battaglia sulle tariffe dei treni.
Tutto il resto è noia.


4. NON DITE A SQUINZI QUANTE BELLE INFORMAZIONI SULLA SVIZZERA SI TROVANO SUL "SOLE"
Avviso ai naviganti: "Si avvisano i signori naviganti che molti imprenditori sono rimasti colpiti dall'articolo pubblicato oggi con rilievo sul "Sole 24 Ore" in cui si illustrano i vantaggi offerti alle imprese dalla Svizzera.

A molti è venuta in mente la celebre battuta di Woody Allen: "credo nell'universo con l'eccezione di qualche cantone svizzero". Tra questi non ci sarà sicuramente il presidente Squinzi che continua a lanciare messaggi drammatici sul baratro e il credit crunch. Nell'articolo del giornale di Confindustria si esaltano le attrattive della Svizzera sul fisco, l'efficienza dei servizi, la pace sociale e l'assenza di burocrazia.Se non e' un invito a emigrare poco ci manca.

Per Squinzi ,che sta giocando una partita micidiale sulla tenuta dell'industria italiana, vale sempre la canzona anarchica "Addio Lugano bella" reinterpretata da Gaber e Jannacci".

 

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