DA SCHIAVI A PADRONI: COME L’EX TERZO MONDO STA COMPRANDO L’OCCIDENTE A PREZZO DI SALDO

Federica Bianchi per "l'Espresso"

Quando nel settembre del 2008, all'inizio della Grande crisi, il colosso Zoomlion acquista Cifa, il gigante italiano dei macchinari per calcestruzzo, la notizia viene catalogata come la più grande acquisizione cinese in Italia e la seconda in Europa. Ci fu chi gridò all'invasione cinese in Italia. Ma furono in pochi a riconoscere nell'accordo i primi segnali dell'inizio di una fase nuova della globalizzazione industriale. In pochissimi a capire che eravamo alle porte di una vera e propria rivoluzione che avrebbe cambiato per sempre volti e traiettorie commerciali dei protagonisti della manifattura internazionale.

Le aziende occidentali sono diventate multinazionali prima esportando in tutto il mondo e poi delocalizzando la mano d'opera nei paesi a basso costo. Adesso quegli stessi paesi non solo hanno imparato a produrre oggetti di qualità da soli ma nel giro di due decadi sono riusciti a costruire un mercato interno sufficientemente ampio da garantire alle loro aziende le risorse finanziarie necessarie ad acquistare o a stringere accordi paritetici con i loro clienti di una volta. Si tratta di un cambiamento epocale che ridisegna i rapporti tra Oriente e Occidente del mondo.

Tra questi nuovi sfidanti globali l'azienda di consulenza Boston consulting da cinque anni identifica periodicamente i 100 maggiori per fatturato. Poco conosciuti solo qualche anno anno fa, questi campioni dei paesi in rapido sviluppo - Cina e India innanzitutto, ma anche Brasile, Messico, Indonesia, Sud Africa e Turchia - tra il 2008 e il 2011 hanno messo a segno una crescita media del 16 per cento l'anno rispetto al 4,7 delle aziende dell'indice borsistico americano S&P 500. Dal 2007 ad oggi la loro spesa in ricerca e sviluppo è triplicata: nel 2011 i loro brevetti depositati negli Stati Uniti rappresentavano ben un quarto del totale.

La Zoomlion dell'ex professore universitario Zhan Chunxin è uno di questi magnifici 100 nuovi sfidanti globali. Con l'assorbimento di Cifa, un'azienda sana, terza al mondo per le macchine per il calcestruzzo quando Zoomlion era la quinta, l'ex competitor cinese si è contemporaneamente dotato di un prodotto di gamma alta da sviluppare in Italia per il mercato cinese e di una rete distributiva europea per il suo marchio, conquistando la medaglia di leader mondiale delle macchine per costruzioni.

Non solo. In tempi di ristagno delle vendite in Occidente, Zoomlion è diventata perfettamente capace di presentarsi su mercati terzi, Russia e Arabia Saudita, ma ultimamente anche India e Brasile, soddisfacendo ogni tipo di richiesta: dai grossi macchinari utilizzati nei paesi in rapido sviluppo alle macchine più leggere e sofisticate adatte a lavorare in paesi con infrastrutture già esistenti.

I TURCHI PUNTANO LE NOSTRE SCARPE
Come Zoomlion anche il calzaturificio turco Ziylan ha guardato all'Italia per la sua crescita estera e l'anno scorso ha acquistato il marchio Lumberjack, celebre per lo scarponcino giallo per il tempo libero. «Ziylan è un marchio leader in Turchia ma completamente sconosciuto altrove», spiega Massimiliano Rossi, brand manager della filiale italiana con cui Ziylan ha fatto shopping: «Avrebbe potuto investire sul proprio marchio e mettere in atto una strategia di lungo periodo. Ma, per accelerare i tempi, ha preferito comprare un brand storico con cui in futuro potrà vendere anche prodotti propri». Così, capito che il cliente italiano per cui agiva da distributore in Turchia era in difficoltà, ha immediatamente fatto un'offerta per rilevarne una parte delle attività.

DA FORNITORI AD ACQUIRENTI
La strategia imprenditoriale di Ziylan è diventata molto comune. Il fornitore straniero di aziende occidentali, grazie alle ampie disponibilità di denaro, finisce per acquistare il produttore finale anziché essere lui preda di un'acquisizione. Al proprio cliente italiano si sono rivolti anche i brasiliani della Bertin che nel 2008 acquistarono una quota di maggioranza del produttore italiano di bresaola Rigamonti e che saranno a loro volta acquisiti l'anno successivo dalla JBS, la più grande multinazionale della carne lavorata.

«L'Italia ha bisogno degli investimenti di queste nuove multinazionali perché le nostre imprese non hanno le dimensioni e le risorse necessarie per investire all'estero», spiega Marco Martinelli, professore di gestione aziendale presso l'università di Brescia, che da anni cura un database sugli investimenti esteri in Italia, il cui numero è aumentato negli ultimi cinque anni e che comprende aziende diversissime tra loro per origine e ramo di attività: dalle cinesi Huawei, il colosso delle telecomunicazioni, e Haier, il gigante degli elettrodomestici, che in Italia hanno investito direttamente con stabilimenti propri, alla Shig-weichai, cinese anch'essa, che ha rilevato l'anno scorso una Ferretti yacht in grave difficoltà.

E poi la malese Petronas che ha acquisito Lf Selenia, l'ex società di lubrificanti della Fiat, con cui ha costituito Petronas Lubricants International a capo della quale è andato l'ex amministratore delegato italiano di Lf Selenia; la sudafricana Sab Miller che ha comprato la Birra Peroni; l'egiziana Sawiris che acquisì la società telefonica Wind per fondersi nel 2010 con la multinazionale delle telecomunicazioni russa Vimpelcom.

Spesso a mancare agli imprenditori italiani è il credito bancario, soprattutto in un periodo di cordoni della borsa tirati come questo. Altre volte è l'incapacità di guardare al di là dei propri confini alla ricerca di mercati più promettenti. E sebbene alcune aziende avrebbero le spalle abbastanza solide per gettare il patrimonio oltre l'Italia, è la cultura imprenditoriale che, dopo mezzo secolo di imbattibilità, è venuta meno.

Non solo "il piccolo" non è più bello in questi tempi di giganti industriali ma ai nonni e ai padri del Dopoguerra sono succeduti figli che di lavorare 24 ore al giorno non hanno nessuna voglia e, come nel caso della famiglia Antonini della Lumberjack, preferiscono cedere il testimone a imprenditori più affamati di loro, per di più sostenuti da un sistema Paese determinato a conquistare benessere e prosperità.

«Non investono in tecnologia, non hanno gusto per il rischio, non sono curiosi, non cercano di individuare i bisogni della gente mentre tanti imprenditori esteri sono come eravamo noi 40 anni fa», si sfoga Adriana Sartor, amministratore unico di Elettrotec e vicepresidente della Confindustria lombarda. In tale contesto si è inserita la crisi del debito europeo. Risultato: l'Italia ha perso un quarto della sua produzione industriale in tre anni.

IN CERCA DI ALLEATI PER NON MORIRE
«Le aziende non crescono più in Europa e se non crescono muoiono», spiega Stefano Siragusa, partner italiano del Boston consulting group: «In situazioni come quella odierna, l'alternativa per crescere può anche essere quella di venire acquisiti». Magari da parte di chi fino a qualche anno fa consideravamo un concorrente minore.

«Ormai non si può più guardare alle aziende asiatiche o turche o brasiliane dall'alto in basso», continua Siragusa. Gli dà ragione Angelo Guerci, 46 anni, amministratore delegato di una piccola società lombarda, Tecnoautomazione, che produce macchine per la cosmetica quasi esclusivamente per il mercato estero. Aiutato dall'agenzia Promos della Camera di commercio di Milano, Guerci è andato in Brasile alla ricerca di un sito produttivo o di un partner.

«Abbiamo visitato gli stabilimenti di Natura (la multinazionale brasiliana della cosmesi). Altro che Terzo mondo! È un'azienda modello, dalle dimensioni incredibili, con una tecnologia spinta. Un livello così è difficile da raggiungere». Per il momento è Natura a non essere interessata ad un accordo ma Tecnoautomazione non demorde: «Il mercato italiano è completamente fermo. Dobbiamo per forza guardare all'estero».

Per farlo occorrono strategie e atteggiamenti nuovi verso partner, fornitori e clienti. «Creare una joint venture con un partner cinese magari 100 volte più grande di te è ormai diventato difficilissimo», avverte Giorgio Prodi, membro del comitato scientifico di Osservatorio Asia. Altre le alternative. «Le aziende europee possono sfruttare un'eventuale accordo con un partner estero per penetrare nei loro mercati utilizzando le sue infrastrutture in loco, o per inventare insieme prodotti di design a basso costo per mercati come quello indiano, oppure per ricevere iniezioni di capitale in cambio di tecnologia (una delle mosse più rischiose per un'azienda occidentale) o, infine, per andare alla conquista congiunta di mercati terzi», aggiunge Siragusa.

CON UN PARTNER VERSO NUOVI LIDI
A cogliere pericoli e opportunità prima degli altri, anche perché il settore delle fibre tessili fu uno dei primi in Italia ad essere colpito dalla globalizzazione, è stata Sinterama, l'azienda di Biella guidata da Paolo Piana fin dagli anni Novanta. «Quello della superiorità delle nostre competenze è un discorso di 15 anni fa», inizia a raccontare Piana: «Adesso i migliori impianti e le tecnologie sono in Asia. Per molte cose sono più bravi loro. Sicuramente per investimenti e dimensioni».

Dopo essere diventata leader italiano con l'uscita di scena di Montefibre, Sinterama prima ha spostato gran parte della produzione in Asia, poi ha consolidato il rapporto con il suo fornitore storico, Indorama Ventures, oggi colosso tailandese delle fibre in poliestere, e infine, proprio insieme ad Indorama, nel 2011 è andata alla conquista di Trevira, un'azienda tedesca più grande per dimensioni di Sinterama ma da tempo in difficoltà.

«Ci avevano già provato per sette anni gli indiani di Reliance a rilanciarla ma senza successo», spiega Piana: «L'idea che una società asiatica, tutta concentrata sui volumi, potesse sfondare in Europa, dove contano i dettagli, non poteva funzionare». La maggioranza dell'investimento finanziario l'ha fatto Indorama perché «l'idea era di entrare nel capitale di Trevira al 50 per cento ma le banche italiane non ci hanno aiutato». La gestione della joint venture è comunque stata affidata agli italiani: «Di noi i tedeschi si fidano. Conoscono la nostra storia e la nostra reputazione», conclude Piana.


Adesso il tempo stringe. Se le aziende occidentali non firmeranno accordi velocemente il rischio è che questi sfidanti esteri si alleeranno tra di loro per conquistare le migliori posizioni dei prossimi anni. Soltanto l'estate scorsa la compagnia aerea cilena Lan si è fusa con la brasiliana Tam per creare la seconda compagnia aerea più grande del mondo e il costruttore di bus brasiliano Marcopolo - fondato 50 anni fa da un emigrato italiano che ne è tutt'oggi presidente onorario - ha stretto un accordo con l'indiana Tata Motori per conquistare il mercato indiano. Forse due occasioni perse per gli europei. Non tutti potranno avere la fortuna di Sinterama o di Cifa e trovare un partner straniero con un assegno pronto da qualche milione di euro.

 

ALAN CLARK DI SAB MILLER PAESI EX POVERI CHE COLONIZZANO L OCCIDENTE DA L ESPRESSO ratan tata real brasilianobanca brasilehsbc bank india INDIASamih Sawiris

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