STAY HUNGRY, STAY FOOLISH…STAY ALL’ESTERO - COME CERTIFICATO DAL “NEW YORK TIMES” LA CUCCUGNA APPLE SI CONSUMA A SPESE DI CINESI COSTRETTI A TURNI DI LAVORO MASSACRANTI (FINO A 24 ORE), SALARI DA FAME, SUICIDI IN MASSA - OBAMA FA IL FINTO TONTO E VORREBBE RIPORTARE ‘IN HOUSE’ I POSTI DI LAVORO ESPORTATI IN ORIENTE MA QUALE YANKEE SAREBBE DISPOSTO A LAVORARE AGLI STESSI RITMI E CON QUEI SALARI?…

Arturo Zampaglione per "Affari & Finanza - la Repubblica"

Seduta nel palco degli ospiti vicino a Michelle Obama e alla segretaria di Warren Buffett, anche Laurene Powell Jobs, 49 anni, vedova del fondatore della Apple, ha ascoltato la settimana scorsa il discorso sullo stato dell'unione pronunciato dal presidente americano di fronte al Congresso. Barack Obama ha reso omaggio a Steve Jobs, ricordando le sue doti di imprenditore e le sue capacità di assumersi i rischi.

Ma la presenza di Laurene al solenne appuntamento è servita al presidente per sollevare un tema che gli sta molto a cuore e di cui aveva discusso spesso con lo stesso Jobs: come riportare negli Stati Uniti quei milioni di posti di lavoro sacrificati alla delocalizzazione.

Una questione resa sempre attuale anche dai ricorrenti allarmi sulle condizioni di lavoro in quei (tanti) Paesi asiatici, dalla Cina alla Malesia, dalle Filippine a Singapore, nei quali si concentra la produzione, ma dai quali arrivano periodicamente resoconti agghiaccianti. L'ultimo l'ha pubblicato la settimana scorsa il New York Times: turni di lavoro massacranti (fino a 24 ore), condizioni igienicosanitarie disastrose, salari da fame, suicidi in massa.

L'azienda promette che vigilerà, controllerà, bloccherà le pratiche irregolari. Non può fare diversamente: buona parte dei 93 milioni di iPhone e dei 40 milioni di iPad venduti dalla Apple nel 2011 sono stati prodotti all'estero (per la precisione 70 milioni di iPhones, 39 milioni di iPad e 59 milioni di computer e altri prodotti). I semiconduttori per i telefonini arrivano dalla Germania e da Taiwan, le memorie dal Giappone e dalla Corea, i display e i circuiti interni da Taiwan e dalla Corea, alcuni chip dall'Europa, i metalli rari dall'Asia e dall'Africa.

E il tutto è assemblato in Cina, negli immensi stabilimenti cinesi della Foxconn a Shenzhen, vicino a Hong Kong, dove lavorano 230mila dipendenti. «Sarebbe possible costruire gli iPhone negli Stati Uniti?», aveva chiesto Obama a Steve Jobs lo scorso febbraio, durante una cena con i maggiori esponenti della Silicon Valley. «Perché - aveva aggiunto il presidente - non si può riportare qui da noi il lavoro che è stato delocalizzato?»

La risposta del mago della Apple era stata lapidaria: «Quei posti di lavoro non torneranno mai più». Le ragioni? Vanno ricercate non solo nel costo del lavoro, che all'estero è più basso che negli Stati Uniti (anche se la forbice si va restringendo), ma soprattutto nell'esistenza in altri paesi, a cominciare dalla Cina, di strutture produttive, canali di approvvigionamento e manodopera qualificata, disciplinata e flessibile. Sono tutti fattori che attirano le multinazionali, specie nel settore dell'hitech, e che surclassano l'organizzazione industriale dei paesi avanzati.

Lo stesso New York Times ha svelato un episodio che la dice lunga sui vantaggi relativi della produzione in Cina e sulle difficoltà degli Stati Uniti di tenere il passo. Nel 2007, un mese prima del lancio dell'iPhone, Jobs convocò i suoi collaboratori più stretti. Per alcune settimane aveva usato un prototipo del telefonino tenendolo sempre nella tasca dei jeans assieme alle chiavi.

Tirò fuori l'apparecchio e lo mostrò ai presenti con tono irritato: «Vedete: lo schermo di plastica si è tutto graffiato. Non posso vendere un iPhone che finisce in questo stato. Voglio che ci sia uno schermo di vetro e che sia pronto entro sei settimane».

Uscito dalla riunione con Jobs uno degli executive prenotò un volo per Shenzhen: «Non c'era altro posto dove andare». La Apple aveva già individuato nell'americana Corning la migliore azienda per produrre le grandi lastre di vetro rafforzato, ma bisognava trovare in tempi record una impresa capace di ritagliare con precisione, e con l'aiuto di tecnici qualificati, milioni di piccoli schermi.

Una fabbrica cinese a otto ore di camion da Shenzhen disponeva di tutto l'occorrente. Si aggiudicò il contratto e dopo qualche settimana, in piena notte, i primi pezzi arrivarono a Foxconn City. Un altro esempio del divario tra i sistemi produttivi in Cina e altrove. AIla Foxconn un quarto dei dipendenti vive nei dormitori attigui, lavorando sei giorni alla settimana, spesso per 12 ore, e con un salario che in molti casi non raggiunge i 13 euro al giorno. Nelle cucine delle mense aziendali vengono preparate ogni giorno 13 tonnellate di riso e 3 tonnellate di carne di maiale. La Foxconn riesce aumenta la sua manodopera come un organetto, assumendo fino a 3mila nuove persone in 24 ore per soddisfare le esigenze produttive.

Mentre la Apple dei primi tempi si vantava di avere tutto made in Usa e gli iMac venivano assemblati a Elk Grove, in California, adesso l'attività manifatturiera è altrove. Il colosso degli iPhone ha 43mila dipendenti negli Stati Uniti e 20mila altrove, ma si occupano soprattutto di servizi, finanza, assistenza tecnica, marketing, progettazione, mentre la produzione è affidata a 700mila operai e tecnici di società all'estero.

La delocalizzazione, che dal 2004 è stata accelerata da Tim Cook, attuale Ceo, il successore di Jobs, ha dato ottimi frutti economici. Anche dopo la morte nell'agosto scorso del fondatore, la Apple continua ad approfittare degli alti margini sui prodotti per guadagnare miliardi. Grazie alle vendite di iPhone4S, che hanno superato ogni aspettativa (e smentito i dubbi degli esperti), gli utili dell'ultimo trimestre 2011 sono raddoppiati: da 6 miliardi di dollari dell'analogo periodo del 2010, a 13,06 miliardi.

Il fatturato è cresciuto del 73 per cento. E il gruppo, che dispone di contanti per quasi 100 miliardi di dollari, pronti per acquisizioni o pagamenti di dividendi, è la star di Wall Street. L'impennata delle quotazioni di mercoledì scorso, subito dopo i risultati di bilancio, ha permesso alla Apple di superare la Exxon e diventare la numero uno per capitalizzazione con 419 miliardi di dollari.

Obama considera questi traguardi come la conferma della vitalità degli Stati Uniti. La performance finanziaria piace anche ai piccoli risparmiatori americani che, attraverso i fondi di investimento e di pensione, partecipano agli exploit di Cupertino. Resta però l'aspetto inquietante di una delocalizzazione strutturale, quindi non più legata a convenienze congiunturali, che riduce i posti di lavoro stabili e ben pagati con inevitabili conseguenze sociali.

La Casa Bianca non si rassegna. Nel discorso di martedì di fronte alla vedova Jobs, Obama ha promesso il rilancio dell'attività manifatturiera negli States attraverso la leva fiscale, il controllo su importazioni sleali e la riqualificazione della manodopera. Ma l'esempio della Apple sta a ricordare che non sarà un compito né facile né di breve durata.

 

APPLE STEVE JOBSSUICIDI FABBRICA FOXCONN DI APPLE PROTESTA CONTRO LA FOXCONN FABBRICA APPLE PROTESTA CONTRO LA FABBRICA FOXCONN APPLE PROTESTA CONTRO LA FOXCONN FABBRICA APPLE PROTESTA ALLA FOXCONN FABBRICA APPLE PROTESTA ALLA FOXCONN FABBRICA APPLE PROTESTA ALLA FOXCONN FABBRICA APPLE OPERAI ALLA FOXCONN FABBRICA APPLE OPERAI ALLA FOXCONN FABBRICA APPLE Barack ObamaSTEVE JOBS

Ultimi Dagoreport

donald trump benjamin netanyahu iran israele stati uniti khamenei fordow

DAGOREPORT – COME MAI TRUMP HA PERSO LA PAZIENZA, IMPRECANDO IN DIRETTA TV, SULLE "VIOLAZIONI" DELLA TREGUA IN MEDIO ORIENTE DA PARTE DI NETANYAHU? "NON SANNO COSA CAZZO STANNO FACENDO. DOBBIAMO FAR CALMARE ISRAELE, PERCHÉ STAMATTINA SONO ANDATI IN MISSIONE"? - È EVIDENTE IL FATTO CHE IL “CESSATE IL FUOCO” CON L’IRAN NON RIENTRAVA NEI PIANI DI BIBI NETANYAHU. ANZI, IL PREMIER ISRAELIANO PUNTAVA A PORTARE A TERMINE GLI OBIETTIVI DELL’OPERAZIONE “RISING LION” (DOVE SONO FINITI 400 CHILOGRAMMI DI URANIO?), MA È STATO COSTRETTO AD ACCETTARLO DA UN TRUMP IN VENA DI PREMIO NOBEL PER LA PACE. D’ALTRO CANTO, ANCHE A TEHERAN LA TREGUA TRUMPIANA NON È STATA PRESA BENE DALL’ALA OLTRANZISTA DEI PASDARAN… – VIDEO

elly schlein gaetano manfredi giorgio gori stefano bonaccini pina picierno vincenzo de luca matteo ricci

DAGOREPORT - MENTRE ASSISTIAMO A UNO SPAVENTOSO SVALVOLAMENTO GLOBALE, IN ITALIA C’È CHI SI CHIEDE: ‘’COME SI FA A MANDARE A CASA LA SPERICOLATA ELLY SCHLEIN?’’ - ANCHE SE HA UN IMPATTO MEDIATICO PIÙ TRISTE DI UN PIATTO DI VERDURE LESSE, LA FANCIULLA COL NASO AD APRISCATOLE HA DIMOSTRATO ALTE CAPACITÀ DI TESSERE STRATEGIE DI POTERE, PRONTA A FAR FUORI IL DISSENSO DELL’ALA CATTO-DEM DEL PD - SE IL CENTRO RIFORMISTA HA LA MAGGIORANZA DEGLI ISCRITTI DEL PD, HA PERMESSO DI AVERE UN RISULTATO IMPORTANTE ALLE EUROPEE E FA VINCERE CON I SUOI CANDIDATI LE PROSSIME REGIONALI, PERCHÉ NON TIRA FUORI UN LEADER ALTERNATIVO AL SINISTRISMO FALCE & MART-ELLY? -  LIQUIDATO BONACCINI, ORMAI APPIATTITO SULLA SCHLEIN, SCARTATO DECARO PRIVO DEL CORAGGIO PER SPICCARE IL VOLO, SULLA RAMPA DI LANCIO CI SONO IL SINDACO DI NAPOLI, GAETANO MANFREDI, MA SOPRATTUTTO GIORGIO GORI. L’EUROPARLAMENTARE ED EX SINDACO DI BERGAMO È IN POSSESSO DEL FISICO DEL RUOLO PER BUCARE LO SCHERMO E IL MELONISMO PAROLAIO. A PARTE LE GELOSIE INTERNE DEI RIFORMISTI, LA BASE, CON LA GRUPPETTARA ELLY AL COMANDO, OGGI È TALMENTE RADICALIZZATA CHE RIUSCIRÀ AD INGOIARE UN EX MANAGER DI MEDIASET SULLA PRIMA POLTRONA DEL NAZARENO?

alessandro giuli

DAGOREPORT - MA COME SCEGLIE I COMPONENTI DELLE COMMISSIONI L’INFOSFERICO MINISTRO DELLA CULTURA, ALESSANDRO GIULI? I DIRETTORI DI CINQUE MUSEI STATALI (MUSEI REALI DI TORINO, GALLERIA DELL’ACCADEMIA E BARGELLO DI FIRENZE, COLOSSEO, MUSEO NAZIONALE ROMANO E MUSEO ARCHEOLOGICO DI NAPOLI) SARANNO SELEZIONATI DA UNA COMMISSIONE FORMATA DALLA STRAGRANDE MAGGIORANZA DA GIURISTI - PEGGIO CI SI SENTE SE SI PENSA CHE I TRE CANDIDATI PER CIASCUN MUSEO SCELTI DA QUESTA COMMISSIONE GIURISPRUDENZIALE SARANNO POI SOTTOPOSTI AL VAGLIO FINALE DEL LAUREANDO MINISTRO…

FLASH! – SE URBANO CAIRO NON CONFERMA MENTANA ALLA DIREZIONE DEL TGLA7 ENTRO IL PROSSIMO 30 GIUGNO, CHICCO ALZA I TACCHI E SE NE VA – IL CONTRATTO SCADE A FINE 2026 MA A LUGLIO C’E’ LA PRESENTAZIONE DEI PALINSESTI – PARE CHE QUESTA VOLTA NON CI SIA DI MEZZO IL DIO QUATTRINO, BENSI’ QUESTIONI DI LINEA POLITICA (GIA' NEL 2004 MENTANA FU PRATICAMENTE “CACCIATO” DAL TG5 DOPO UN VIOLENTISSIMO SCAZZO CON SILVIO BERLUSCONI E I SUOI “DESIDERATA”, E FU SOSTITUITO DAL SUO VICE MIMUN…)

meloni macron merz starmer trump iran usa attacco bombardamento

DAGOREPORT – GIORGIA MELONI STA SCOPRENDO CHE VUOL DIRE ESSERE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DI UN PAESE CHE NON HA MAI CONTATO UN TUBO: PRIMA DI PROCEDERE AL BOMBARDAMENTO DEI SITI IRANIANI, TRUMP HA CHIAMATO IL PREMIER BRITANNICO, KEIR STARMER, E POI, AD ATTACCO IN CORSO, HA TELEFONATO AL TEDESCO MERZ. MACRON È ATTIVISSIMO COME MEDIATORE CON I PAESI ARABI: FRANCIA, REGNO UNITO E GERMANIA FANNO ASSE NEL GRUPPO "E3", CHE TIENE IL PALLINO DEI NEGOZIATI CON L'IRAN  – L’AFFONDO DI RENZI: “LA POLITICA ESTERA ITALIANA NON ESISTE, MELONI E TAJANI NON TOCCANO PALLA”. HA RAGIONE, MA VA FATTA UN’INTEGRAZIONE: L’ITALIA È IRRILEVANTE SULLO SCACCHIERE GLOBALE, INDIPENDENTEMENTE DA CHI GOVERNA...

donald trump mondo terra brucia guerra iran nucleare

DAGOREPORT – BENVENUTI AL CAOS MONDIALE! AL DI LA' DEL DELIRIO DI PAROLE, ANNUNCI E BOMBARDAMENTI DI TRUMP, C’È LA DURISSIMA REALTÀ DEI FATTI. L’ATTACCO ALL’IRAN AVRÀ CONSEGUENZE POTENZIALMENTE DEVASTANTI IN OGNI ANGOLO DEL MONDO – UN'EVENTUALE CHIUSURA DELLO STRETTO DI HORMUZ FAREBBE SCHIZZARE IL PREZZO DEL PETROLIO, CON CONTRACCOLPI ENORMI SULLA CINA (PRIMO CLIENTE DEL GREGGIO IRANIANO) E DANNI PESANTI SULL'EUROPA – I TRE POSSIBILI SUCCESSORI DI KHAMENEI SONO TUTTI PASDARAN: SE MUORE LA GUIDA SUPREMA, IL REGIME DIVENTERÀ ANCORA PIÙ OLTRANZISTA – UN'ALTRA FACCIA DEL BUM-BUM TRUMPIANO E' LA FRATTURA NEL PARTITO REPUBBLICANO USA: L'ALA “MAGA” CAPITANATA DA JD VANCE SI SENTE TRADITA DAL TRUMP BOMBAROLO (L’HA VOTATO PERCHÉ SI OCCUPASSE DI FAR TORNARE "L'ETA' DELL'ORO" IN AMERICA, NON PER BUTTARE MILIARDI DI DOLLARI PER ARMI E INTELLIGENCE IN UCRAINA E ISRAELE)