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TUTTI A (PIAZZETTA) CUCCIA – DOPO L’USCITA DI BOLLORÉ DAL PATTO DI SINDACATO MEDIOBANCA SI AVVIA A DIVENTARE UNA PUBLIC COMPANY? PER ORA SI CERCA DI TROVARE UN PATTO 'LEGGERO' FINO AL 2020, QUANDO SCADRÀ L’ATTUALE CDA – MA PERCHÉ MUSTIER DOVREBBE STARCI? IL FUTURO DELL’ISTITUTO DIPENDE DALLA FUSIONE DI UNICREDIT CON UN'ALTRA BANCA E DALLE MOSSE DI GENERALI

1 – I FRANCESI SGAMBETTANO MEDIOBANCA

Ugo Bertone per “Libero Quotidiano”

 

vincent bollore

I terremoti, si sa, non si possono prevedere. E non fa eccezione la mossa a sorpresa di Vincent Bolloré che, dopo vent’anni, ha deciso di uscire da quello che fu il patto più esclusivo della finanza italiana: l’accordo tra i grandi soci di Mediobanca. La novità, come il battito d’ali di una farfalla, fa cadere il castello di carte su cui si regge l’attuale controllo.

 

La disdetta anticipata da parte di Bolloré, che ha il 7,9% del capitale, comporta che il patto di sindacato, finora forte del 28,5% scenderà sotto la soglia del 25% provocando il suo scioglimento automatico dal 1 gennaio 2019.

 

JEAN PIERRE MUSTIER

Nei mesi scorsi, quando si era ventilata l’ipotesi dell’uscita anticipata di Unicredit (il primo socio con poco più dell’8%), si era fatta strada l’ipotesi di un patto più leggero con una quota intorno al 20%. In teoria, dopo l’uscita di Bolloré (motivata dal maggior impegno in Vivendi e condita da grandi elogi al management della banca) la strada è ancora praticabile.

 

Ma per quale ragione Jean-Pierre Mustier, il ceo di Unicredit che non ha mai nascosto le sue perplessità sulle strategie di Mediobanca, dovrebbe appoggiare questa soluzione? Più facile che si stia per inaugurare una nuova era,in cui Mediobanca diventa una “public company”, una società a capitale diffuso senza più coordinamento tra grandi soci.

 

mediobanca nagel

Il vero terremoto, insomma, perché Mediobanca, peraltro impegnata sotto la guida di Alberto Nagel a puntare sempre di più nel wealth management e nella creazione di valore come banca d’affari, gestisce ancora l’eredità più preziosa (e gravosa) della “vecchia” Mediobanca: il 13,5% di Generali, quota che Nagel ha più volte annunciato di voler ridurre ma che per ora è ancora lì, in attesa di trovare una sistemazione ad uno dei più importanti scrigni della finanza italiana, con i suoi 70 miliardi di titoli di Stato in portafoglio.

 

LE VARIABILI

SEDE SOCIETE GENERALE A PARIGI

Potrebbe bastare questo numero a giustificare l’importanza della partita attorno a Mediobanca e, di riflesso, alla compagnia del Leone. Ma, a rendere più intrigante (e inquietante) il quadro contribuiscono altri elementi. È difficile separare l’affaire Mediobanca dalle voci, sempre più insistenti di grandi manovre di Mustier per arrivare, nel 2019,ad un grande merger bancario, probabilmente con Société Genérale, la banca da cui proviene, naturalmente a maggioranza francese.

 

Generali, guidata da Philippe Donnet, altro manager transalpino a suo tempo raccomandato proprio da Bolloré, promette di essere in questo quadro un asset prezioso: certo, ci sarà sempre una componente italiana (Del Vecchio, Caltagirone, DeAgostini tra gli altri),ma è dubbio che il Leone da solo possa recitare a lungo il ruolo di global player: perché non puntare ad un grande polo assieme ad Axa, in grado di contrastare la leadership di Allianz? Non meno importante, in prospettiva, il ruolo del risparmio gestito.

UNICREDIT - LE TORRI DI CESAR PELLI

Anche qui il partner ideale sta a Parigi: Amundi, il colosso che ha rilevato Pioneer proprio da Unicredit.

 

IL LEONE

Solo speculazioni? Forse, ma come dimenticare la veemenza con cui Generali, con fretta sospetta, creò una “poison pill” per far saltare una possibile scalata di Banca Intesa al Leone? In questa cornice ogni dietrologia è lecita. Come giudicare l’incontro, alla vigilia della denuncia del patto, tra Bolloré e il ceo di Unicredit? E che peso avrà il duello a distanza in Telecom Italia tra Vivendi e l’asse Cdp-Elliott?

berlusconi bollore vivendi mediaset

 

O la sistemazione della partita Mediaset, la pugnalata alle spalle di Berlusconi che ancora brucia (soprattutto a Bolloré, impiombato nei capitali del nemico). Non è certo indifferente, infine, che le grandi manovre francesi sulla finanza di casa nostra coincidano con il  momento più difficile delle relazioni tra Roma e Parigi, ormai a minimi quasi storici. In questa cornice la mossa di Bolloré è più la scintilla che da fuoco alle polveri che un semplice, seppur violento, terremoto

 

2 – MEDIOBANCA, BOLLORÈ ESCE E IL PATTO SI SCIOGLIE

Rosario Dimito per “il Messaggero”

 

alberto nagel vincent bollore

Dopo 62 anni, si scioglie il patto di Mediobanca che, come va auspicando Alberto Nagel, si avvia a diventare una public company. E' il finanziere bretone Vincent Bollorè a decretarne la fine, essendo troppo coinvolto nelle partite di Tim e Mediaset: ha investito circa 5,9 miliardi e ne sta perdendo 2,4.

 

La Financière du Perguet, titolare del 7,9% ha, infatti, inviato due giorni fa al presidente del patto Angelo Casò la «lettera di disdetta anticipata con efficacia primo gennaio 2019», secondo quanto comunicato dalla stessa Mediobanca. Il giorno prima Bollorè avrebbe informato per telefono Nagel.

 

La soglia di validità dell' accordo, che vincolava il 27,49%, era fissata al 25% e senza il gruppo Bollorè scende al 19,59%. Il giorno prima del disimpegno del patron di Vivendi, era stata Italmobiliare ad approfittare anch' esso della finestra entro il 30 settembre, per svincolare lo 0,98%. Ieri mattina direttivo e assemblea convocati per prendere atto del brillante bilancio 2017-2018, ha ratificato l' imminente fine del patto.

 

L' assemblea ha affidato «al comitato il compito di sondare l' interesse dei partecipanti ad individuare alternative alla mera decadenza a fine anno». Il punto verrà fatto nel mese di novembre.

 

GLI IMPEGNI

bollore2

Tre le opzioni sul tavolo per un nuovo patto-bonsai sul 19,9%: una soluzione leggera fino al 2020, quando scadrà l' attuale cda che proporrà la sua lista secondo una governace monistica, con pochi vincoli riguardanti le reciproche informative e poche finestre di uscita; un accordo-fotocopia con più vie di uscita e, infine un patto non patto senza vincoli alla vendita.

 

Rispetto alle tre opzioni prospettate da Casò, molti partecipanti sarebbero stati freddi. Solo i rappresentanti di Unicredit (Angela Maurizio Comneno e Andrea Maffezzoni) a nome di Jean Pierre Mustier, avrebbero espresso disponibilità a considerare un nuovo patto.

JEAN PIERRE MUSTIER

«Dopo quasi vent' anni di adesione all' accordo - spiega la Financière - la scelta è collegata al crescente impegno finanziario del gruppo Bolloré in Vivendi» dove è salito al 26,2%. C' è «l' intenzione di mantenere in portafoglio la partecipazione», seppur al di fuori del patto, anche se si vuole «utilizzare con maggiore flessibilità tutti gli asset».

 

Espressa «soddisfazione per gli eccellenti risultati conseguiti da Mediobanca» e ribadito convinto sostegno alla strategia e pieno supporto al suo management». L' uscita di Bollorè è davvero la fine di un' era cominciata nel 2002 e che l' anno dopo ha avuto il massimo fragore quando Unicredit e Capitalia, tirandosi dietro Mps, sotto la regia di Antonio Fazio e la sponda del ministro del Tesoro Giulio Tremonti, acquisirono l' 8,45% di Generali chiuso in un patto di consultazione per difendere l' italianità della compagnia. La manovra portò al dimissionamento di Vincenzo Maranghi accusato di aver fatto da sponda a Bollorè che aveva rastrellato il 20% di Trieste.

 

Ora il finanziere francese lascia il campo ma il presidio sulle Generali di cui Mediobanca ha il 13,2% rimane una sensibilità ancora presente e che potrebbe ispirare le mosse di Unicredit.

 

 

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