MA COSA SUCCEDE SE TORNIAMO ALLA LIRA? ZINGALES: “BANCHE CHIUSE, ASSALTO AI BANCOMAT. IL SISTEMA BANCARIO SALTEREBBE PERCHÉ TUTTI RITIRANO I SOLDI. E IL COSTO DEI PRODOTTI SCHIZZEREBBE. UN DISASTRO”

Luigi Zingales per "il Venerdì - la Repubblica"

Problema. Un cittadino italiano ha in banca cinquantamila euro di risparmi, di cui ventimila in titoli di Stato. Ma ecco che, abracadabra, dalla sera alla mattina l'Italia molla l'euro e se ne torna alla liretta. Che succede? Svolgimento affidato a Luigi Zingales, economista della School of Business di Chicago, che spedisce in questi giorni in libreria il saggio Europa o no. Allora, prof, che succede allo sventurato?
«Dipende».

Come, dipende? I soldi sono soldi.
«Distinguerei tra una fase di transizione e una fase a regime».

Distingua.
«La fase di transizione è quella più delicata. Per tornare alla lira bisognerebbe prepararsi. Avere delle nuove banconote già stampate, per esempio. Modificare i registratori di cassa o i sistemi informatici delle banche, i bancomat. Difficile farlo dalla sera alla mattina».

Giusto.
«Ora, è chiaro ogni valore (liquidità o titoli) che si trova in banca potrebbe essere ridenominato in lire dal governo secondo un tasso di cambio stabilito. I contanti conserverebbero il loro valore in euro. Mi segue?».

Eccome.
«E quindi io già le vedo le file agli sportelli bancari di gente che vuol ritirare più cash possibile. Quello è il vero pericolo».

Per evitarlo basterebbe fare un'operazione fulminea, come fece Giuliano Amato che nel 1992 in una notte azzannò i conti correnti degli italiani con un prelievo forzoso del 6 per mille.
«È inverosimile, l'ho già detto. Poniamo che, come qualcuno propone, si faccia un referendum euro sì / euro no. Dato che c'è almeno il 50 per cento di probabilità che vinca il no, io intanto prelevo tutto e metto mazzette di contanti nel materasso o in cassetta di sicurezza. Poi si discute».

E nel frattempo, le banche?
«Il sistema bancario salta perché tutti ritirano i soldi. Come in Argentina. In tre giorni gli argentini hanno ritirato il 6 per cento dei depositi. E il governo ha dovuto porre limiti al prelievo di contanti».

Potremmo farlo anche noi.
«Sicuro. Basta trovare un governante disposto a suicidarsi. Chi prende simili provvedimenti può mettere per sempre una croce sulla sua carriera politica. La gente si arrabbia parecchio in questi casi».

Ammettiamo che si riesca a limitare l'emorragia.
«Si scatenerebbe comunque una confusione infernale. Chi cerca di riprendersi i soldi in ogni modo, chi vuole portarli all'estero, chi compra dollari e chi altre valute, un casino della miseria. Poi c'è il problema della svalutazione».

Quanto valore perderebbe la nuova lira rispetto all'euro?
«Di sicuro tra il 25 e il 30 per cento, forse anche il 50. In Argentina sono arrivati al 70 per cento. Insomma una bella botta».

Uno se ne fa una ragione. E la parte piena del bicchiere?
«L'economia riparte, il turismo aumenta perché tutto per gli stranieri costa poco, le esportazioni volano. Se sono un giovane disoccupato, mi va di lusso. Se invece sono un pensionato prendo una fregatura memorabile».

E dopo che succede?
«Ecco. A questo punto quanto varrebbe la nostra lira? Il valore della moneta è dato dall'affidabilità di un Paese, dalla sua economia ma anche dalla sua politica economica e fiscale. E che affidabilità può avere un Paese che prima entra nell'euro e poi se la squaglia?».

Proviamo a vedere la situazione più da vicino. Se oggi un chilo di ceci mi costa due euro, tornando alla lira quanto lo pago?
«Be', nel caso dei ceci, essendo un bene molto commerciabile, subirebbero un aumento pari alla svalutazione, diciamo tra il 30 o il 50 per cento. Ma per il pane, per esempio, sarebbe un'altra storia».

Ovvero?
«Nel prezzo al dettaglio del pane ci sarà, diciamo, un 15 per cento di materia prima, la farina, il lievito. Il resto è trasporto, salario del panettiere, distribuzione. La quota di materia prima subisce un aumento al pari dei ceci, le altre voci molto meno. Quindi, una pagnotta aumenterebbe meno dei ceci».

Questo ci consola. Che ci dice delle case?
«Dipende anche qui. Se hai una casa a Frascati, un mercato locale, il suo prezzo si tradurrà più o meno in un rapporto uno a uno lira /euro. Se hai una casa in centro a Roma, beato te, quella ha ormai un mercato internazionale, se la comprano i russi. È probabile che si rivaluti. E se hai pure un mutuo che da euro è passato in lire, ci guadagni».

Secondo lei, oltre alla svalutazione della moneta, è ragionevole parlare di una
svalutazione psicologica nazionale? In fondo, se lasciassimo l'euro, sarebbe per una sconfitta. Saremmo quelli che vengono espulsi dal club. Una figuraccia.
«Forse un po' sì. Però è anche vero che la Gran Bretagna, la Svezia, pur essendo
parte dell'Unione Europea, non sono nell'euro. E non credo che inglesi o svedesi si sentano dei reietti».

Ma loro non ci sono mai entrati. Noi sì.
«Io non auspico un'uscita dall'euro. Ma è vero che il progetto europeo ha forse peccato di un eccesso di idealismo. Non c'è nulla di sbagliato nel ragionare su questo. Gli eccessi antieuropei di oggi sono anche figli della retorica europeista dei decenni passati. Ora l'importante per noi è imparare dagli errori commessi nel passato».

Lei pensa che non abbiamo imparato nulla?
«Credo che un buon modo per capire sia studiare l'Argentina, dove peraltro sono tutti italiani. Quello è l'esempio di come la politica può portare un Paese alla rovina. Il mio incubo è che l'Italia finisca allo stesso modo».

 

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