I SOCI ITALICI DI TELCO RESPINGONO GLI 800 MILIONI OFFERTI DAGLI SPAGNOLI - TELECOM A TIM BRASIL: “ANCORA NON SAPPIAMO SE VI VENDIAMO O NO”

1. MEDIOBANCA: IL DOSSIER TELCO È RISERVATO
(ANSA) - Si è riunita attorno alle tre l'assemblea del patto di sindacato di Mediobanca, dopo che in mattinata il Cda dell'istituto ha approvato i risultati dell'esercizio 2012-2013. Da quanto si è appreso da un consigliere al termine del board, nel corso del Cda non è stata data alcuna informativa in merito alle trattative sulla quota in Telco, la holding di Telecom: ''E' un dossier che è giusto sia trattato in modo riservato'', ha precisato.

Il consiglio ha parlato di Telecom, ha spiegato, solo per quanto attinente alla riclassificazione della partecipazione. L'ordine del giorno del Cda era particolarmente corposo, ha detto quindi, come consueto nella riunione precedente all'assemblea di bilancio. Tarak Ben Ammar e Piersilvio Berlusconi erano collegati in videoconferenza.

2. TELECOM:SMENTITE VOCI SU USCITA SOCI E IMPATTO SU TIM BRASIL
(ANSA) - Telecom smentisce le voci di una vendita di Tim Participacoes, rispondendo a una richiesta della stessa controllata brasiliana. In una comunicazione alla Borsa locale Bovespa, la società brasiliana ''informa i suoi azionisti e il mercato di aver chiesto informazioni a Telecom Italia in merito alle indiscrezioni pubblicate dai media sulla possibile vendita di partecipazioni azionarie e sulle sue potenziali implicazioni per la società''.

A questo proposito, Tim Participacoes, conosciuta come Tim Brasil, ''è stata informata da Telecom che quest'ultima non dispone di informazioni relative a tali voci e che informerà la società quando dovesse acquisirle''. In Borsa il titolo Tim Participacoes cede circa lo 0,2%.


3. TELCO RIFIUTA L'OFFERTA DI TELEFONICA - I SOCI ITALIANI DICONO NO A 800 MILIONI PER VENDERE PARTE DELLE QUOTE
Antonella Olivieri per "Il Sole 24 Ore"

Il consiglio Telecom Italia che si doveva tenere giovedì prossimo non è stato convocato. Al suo posto, a quanto risulta, potrebbero esserci, sempre a Milano, riunioni informali per fare il punto della situazione. Ma il board delle decisioni, ormai non più rinviabili, sarà quello già in calendario per il 3 ottobre. A quel punto sarà stata scavallata la scadenza del 28 settembre, termine entro il quale inoltrare le disdette anticipate al patto Telco e si conoscerà quindi l'evoluzione dell'attuale azionariato di riferimento che oggi detiene il 22,4% del capitale Telecom.

Allo stato non c'è nessun accordo: i tentativi di Telefonica di mantenere lo status quo sono falliti. La prima scelta del gruppo guidato da Cesar Alierta era infatti quella dichiarata a fine luglio: convincere i partner italiani a restare in partita. Ma non ha funzionato. A un certo punto, a inizio settembre, Telefonica avrebbe proposto ai soci italiani - Mediobanca, Generali e Intesa Sanpaolo - di rilevare parte delle loro quote per 800 milioni, purché restassero in Telco, in modo da non creare problemi nelle aree in sovrapposizione del Sud-America.

Telefonica che ha già più del 46% di Telco sarebbe andata ovviamente in maggioranza, ma rafforzando la governance che già è strutturata in questa direzione (della holding gli spagnoli hanno in portafoglio azioni di categoria B) avrebbero avuto la speranza di non suscitare reazioni in America latina. Comunque un rischio, perché non c'è solo il Brasile - dove sarebbe diventato più probabile lo spacchettamento di Tim Brasil - ma anche l'Argentina che ha la nazionalizzazione "facile". Ad ogni modo i soci italiani avevano declinato l'offerta e le trattative erano state rappresentate come molto complicate e difficili.

Di procedere preliminarmente con la fusione non se ne parla. Troppo il debito che pesa su Telecom (40 miliardi, oltretutto a rischio di declassamento) e ingestibile a quel punto il problema sudamericano. Per cui l'ultimo scenario che sarebbe stato prospettato è quello della vendita di Tim Brasil, propedeutica a un'eventuale (ma improbabile) futura integrazione tra i due gruppi, utile anche a evitare una ricapitalizzazione di Telecom.

Tema che richiede comunque una risposta urgente: non più di un mese e mezzo-due, prima che le agenzie di rating calino la mannaia sul merito di credito che precipiterebbe il debito a livello junk, "spazzatura". Telefonica, a quanto risulta, avrebbe già sondato gli interlocutori brasiliani per prepararsi allo spezzatino di Tim Brasil, che non potrebbe tenere tutta per sè. Oltre al concorrente messicano Carlos Slim, le attività carioca di Tim andrebbero spartite anche con Oi-Brasil Telecom, che è il "campione nazionale" delle tlc e quindi il gruppo più spalleggiato politicamente, ma anche quello finanziariamente più stressato. Pagare un premio per fare a pezzi Tim Brasil sembrerebbe un esercizio pericoloso per gli spagnoli.

Ma del resto per Telecom avrebbe senso considerare la vendita del Brasile solo se sacrificare la crescita consentisse di abbattere radicalmente il debito: non meno di 10 miliardi per la quota detenuta in Tim Brasil, che vorrebbe dire il doppio rispetto ai prezzi di Borsa e circa nove volte l'Ebitda. In questo caso il rapporto debito netto/Ebitda (2013) calerebbe da 2,8 a 1,9 volte. Ai valori di mercato, invece, Telecom rinuncerebbe a Tim Brasil (che non ha debito) senza ricavarne benefici, dato che il ratio scenderebbe frazionalmente a 2,75 volte.

Un premio consistente potrebbe essere pagato solo da un operatore concorrente che rilevasse l'operatore mobile carioca nella sua integrità, cosa che non sembra essere la conclusione migliore per l'avventura di Telefonica in Telco, iniziata proprio per sbarrare la strada a Slim.

Non si risolverebbe inoltre il problema dei soci italiani in uscita e comunque ci vorrebbe tempo per gestire la vendita di Tim Brasil, tempo che non c'è. Perchè il 3 ottobre il consiglio dovrà decidere sul rafforzamento patrimoniale non più rinviabile.

Se Telecom fosse stata una public company forse non si ritroverebbe con i problemi che ha. Al termine di un intervento all'Università di Torino sul futuro del capitalismo, il presidente Franco Bernabè ha osservato che «le imprese in un mondo globalizzato devono avere spalle molto larghe, garantite da due aspetti: o sono proprietà dello Stato o sono pubblic companies. In Italia si è scelto di non avere nè Stato nè mercato, ma un gruppo di azionisti privati che controllavano società più grandi di loro». Ora uscire dal ginepraio difficilmente sarà indolore.


4. ECCO GLI SCHIERAMENTI NELLA HOLDING - MEDIOBANCA E GENERALI SONO PRONTE A DARE DISDETTA AL PATTO, MENTRE INTESA MANTIENE UNA POSIZIONE PIÙ POSSIBILISTA
Marigia Mangano per "Il Sole 24 Ore"

I tre soci italiani di Telecom Italia, rappresentati da Mediobanca Generali e Intesa Sanpaolo, sono convinti della necessità di modificare lo status quo in Telco, la scatola a cui fa capo il 22,4% di Telecom Italia. Gli spagnoli di Telefonica hanno invece provato a rinviare «il problema», cercando di convincere gli altri azionisti a mantenere in vita la struttura Telco. Non ci sono riusciti. E, almeno finora, non si è ancora concretamente arrivati a delineare alcun disegno o progetto industriale alternativo a Telco su cui ragionare. Non a caso il consiglio di amministrazione di Telecom Italia, inizialmente previsto per il 19 settembre, è stato rinviato al prossimo 3 ottobre.

In questo complicato puzzle l'unica certezza sulla carta è che se nella partita del riassetto del gruppo telefonico si volessero individuare degli schiaramenti in campo, allo stato attuale, gli stessi sarebbero solo di natura geografica. Gli spagnoli da un lato, gli italiani dall'altro. Già perché in queste ore le trattative in corso ruotano soprattutto sul futuro della «scatola» Telco con una squadra italiana compatta sulla necessità che vada eliminata. Secondo quanto si apprende, gli spagnoli non sarebbero infatti disposti a procedere alla fusione con Telecom Italia in un solo colpo.

L'obiettivo sarebbe quello di muoversi in due step, dunque prima facendo l'offerta in Telco per le quote in uscita, e poi ragionando con calma su una aggreazione i cui contorni sono piuttosto complessi. In estrema sintesi, «cancellare» Telco per Telefonica rappresenta un grosso problema perché c'è il rischio di complicare la posizione degli spagnoli in Sud America. Vero. Ma come tenere in vita, anche se per un tempo prestabilito (e cioè fino a una successiva fusione), una scatola da cui i soci di riferimento hanno già comunicato di voler uscire? Proprio su questo punto si stanno concentrando i numerosi incontri tra i grandi azionisti di Telecom Italia.

E sempre su questo aspetto che - secondo quanto si raccoglie negli ambienti finanziari - si possono delineare delle sfumature in tema di posizioni all'interno della squadra italiana. Mediobanca e Generali hanno già da tempo fatto capire le loro intenzioni: pronti a dare disdetta al patto Telco (e più in generale a tutti i patti di sindacato) e decisi a una maggiore focalizzazione sul core business. Una strategia ben delineata e che punta a un graduale disimpegno dalle partecipate.

Più possibilista - si osserva - è invece Intesa Sanpaolo che non ha finora scoperto le carte, soprattutto in tema di disdette al patto Telco, che devono pervenire entro il 28 settembre. Posizione che ha portato qualcuno a non escludere che la banca possa prendere in considerazione la possibilità di restare in Telecom Italia in presenza di un progetto industriale giudicato interessante. Di recente il consigliere delegato di Intesa Sanpaolo, Enrico Cucchiani, si è limitato a osservare su Telco: «Decideremo quando saremo vicini alla scadenza».

 

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