
VENEZIA È DESTINATA A DIVENTARE UN CENTRO COMMERCIALE PER RICCHI? – SCOPPIA LA POLEMICA DOPO CHE IL PATRON DI DIESEL, RENZO ROSSO, HA APERTO QUATTRO BOUTIQUE IN LAGUNA E HA DICHIARATO CHE LA CITTÀ DOVREBBE INSISTERE CON “LE GIOIELLERIE E IL LUSSO” – LA REPLICA INDIGNATA DEL VISAGISTA DELLE DIVE, DIEGO DALLA PALMA: “I SOLDI NON DANNO STILE E NEMMENO ELEGANZA. POVERO SOGNO INFRANTO SU VENEZIA DI ARTE E DI CULTURA!” – IL TURISMO DI MASSA FA SCAPPARE I RESIDENTI, SCESI A 48MILA, 12MILA IN MENO RISPETTO AL 2008. MENTRE BAR E RISTORANTI SONO 1.200, UNO OGNI 42 VENEZIANI – IL NODO SICUREZZA E I PREZZI DELLE CASE ALLE STELLE...
Estratto dell’articolo di Gian Antonio Stella per il “Corriere della Sera”
Cosa tiene insieme un Prefetto, il National Geographic e un esteta? L’amore. E l’incubo che Venezia affondi nelle sue contraddizioni.
L’ultimo a sfogare il suo sconcerto sui social è Diego Dalla Palma, basito da quel che Renzo Rosso ha detto giorni fa al Corriere del Veneto dopo aver aperto quattro boutique sue (Diesel, Jil Sander, Maison Margiela e Marni) sotto le Procuratie. Cioè che occorre insistere con le gioiellerie e il lusso: «Darebbe una mano per creare una grande Place Vendome che si chiamerebbe Piazza San Marco».
Apriti cielo! «È proprio vero, i soldi non danno stile e nemmeno eleganza», posta quello che il New York Times ha definito il profeta del make up, «Amo Venezia e soffro nel vederla sprofondare dentro un mare di vanità (...) Povera Venezia in che mani sei! E povero sogno infranto su Venezia di arte e di cultura. Chi esprime questo poco nobile concetto riferito al Made in Italy non comprende che la sua è un’arida sciocchezza che si può esternare dopo una giornata trascorsa al Vinitaly. Quest’uomo è veneto come me e ammetto che da veneto questa sua idea mi fa arrossire di vergogna».
[…] Sull’idea che il cuore della Serenissima possa vedere l’espulsione delle ultime botteghe storiche per diventare una vetrina deluxe come la piazza parigina che, bozzolo di una enorme metropoli, ha accumulato 19 gioiellerie, i perplessi sono tanti.
A partire dal Comitato per il ritorno di piazza San Marco alla città che ha fatto ricorso al Tar contro un’indecenza: «Dal 2009 è concessa solo per manifestazioni private a scopo commerciale».
Ha senso buttarsi sul lusso se ha appena chiuso, con una voragine di debiti, il Fondaco dei Tedeschi aperto solo a fine 2016 (dopo costosissimi e contestatissimi rifacimenti) con l’obiettivo di essere coi suoi 60 negozi «la destinazione dello shopping deluxe» in Laguna?
Basti rileggere l’audizione parlamentare dell’ex prefetto Vittorio Zappalorto: «La città è totalmente dipendente dal turismo, è sfruttata in modo indegno... È un problema più grande della subsidenza: lo Stato dovrebbe introdurre regole per le grandi realtà dove il turismo è diventato un fattore negativo, che porta solo negozi di paccottiglia e trasforma le case in extralberghiero... La domanda di questo turismo a basso prezzo viene soddisfatta da negozi gestiti da cinesi che hanno fatto sparire le attività di prossimità locali quali panifici, macellerie, fruttivendoli...».
Proprio come avevano scritto sul National Geographic Lisa Gerard-Sharp («Noi turisti siamo così “tossici” che sarebbe meglio rimanere a casa e cenare da “Pizza Express” dove i proventi della pizza Veneziana sostengono i restauri di Venice in Peril») e ancor prima Cathy Newman («I turisti non se ne accorgono. Non vengono a Venezia per comprare una melanzana»).
Men che meno una taglierina. Usata, nella bolgia di certe giornate, dall’ultima generazione di borseggiatrici («Ne abbiamo arrestata una 28 volte ma ogni volta abbiamo dovuto rilasciarla: la legge è così!», brontola il sindaco Luigi Brugnaro) che invadono le calli tagliando direttamente le borsette per far prima. Quello è, un risvolto dell’overtourism.
[…] A proposito, Giorgia Meloni e Elly Schlein? Assenti: non un titolo in Ansa su Venezia, la più preziosa e la più a rischio delle nostre città negli ultimi tre anni. Venezia cosa?
Laura Fregolent e i giovani del Laboratorio Venezia dell’Iuav hanno mappato un delirio: su 2.968 attività nella città storica ci sono «335 sono ristoranti, 292 bar o attività commerciali con una prevalente vendita di bevande, 63 che vendono cibo veloce, 23 prodotti alimentari freschi e 29 mini-mercati. Vale a dire che 742 attività sono dedicate al cibo e in grossa parte ad un cibo veloce e che si mangia per strada».
Confesercenti va oltre e conta le licenze (ristoranti e bar insieme) per «somministrazione alimenti e bevande». Nella sola «città antica» 1.145. Uno ogni 42 abitanti. Prosit.
E intanto, mentre aspettano fra un mese l’arrivo dell’«orda Amazon» di Jeff Bezos, Lauren Sánchez e codazzo di vip per i quali sono stati rastrellati tutti i letti negli hotel di lusso (il megayacht Koru da 500 milioni di dollari potrebbe servire per un apericena), i veneziani rimasti («Quando esco in campo coi miei amici devo fermarmi perché qualcuno ci sta fotografando come fossimo aborigeni», confidò anni fa lo storico Guido Ortalli) sono scesi a 48.283.
Dodicimila meno che nel 2008, poco più di un quarto dei 174.808 del 1951. Lo dice il «conta residenti» esposto alla Farmacia Morelli. Inclusi quelli come Emma Thompson e suo marito Greg Wise che amano Venezia e ci stanno più che possono ma purtroppo non girano i film a Cannaregio.
Certo è che, denuncia l’Ocio (occhio in dialetto, ma è anche l’acronimo di Osservatorio CIvicO sulle abitazioni) «in tutto il Comune, quasi due abitazioni su dieci (il 17%) risultano vuote o non occupate da residenti, un valore che raddoppia nelle municipalità Venezia-Murano-Burano dove si contano 20.250 abitazioni vuote su 59.474: il 36%». Ocio ha fatto i conti: se i residenti sono quei 48.283, i letti per turisti sono 51.129. Dei quali 23.627 B&B. Più quelli abusivi. A prezzi da brivido.
Immaginatevi di comprare casa. Dice tutto il racconto di Cathy Newman su un celebre immobiliarista: «Tra le offerte c’era un appartamento restaurato con tre camere al piano nobile di un piccolo palazzo del XVIII secolo. “Molto bello”, disse Scola, tirando fuori le planimetrie. C’erano uno studio, una biblioteca, un salone da musica, due salotti, una stanzetta per la servitù e una splendida vista. Solo nove milioni di euro».
Troppo? «Il giorno dopo mi portarono a vedere un monolocale di 36 metri quadri che avrebbe fatto venire la claustrofobia alle sardine, ma costava solo 260.000 euro». Pensate che i prezzi siano calati?