james lindsat, helen puckrose e peter boghossian

L’ACCADEMIA DELLA BEFFA – LA “CULTURA DELLO STUPRO NEI PARCHI PER CANI” E IL “BODYBUILDING GRASSO”: SONO DUE FINTI STUDI IDEATI DA 3 RICERCATORI E PUBBLICATI DA ALCUNE RIVISTE SCIENTIFICHE DELLE UNIVERSITÀ AMERICANE SOLO PERCHÉ PARLAVANO DI "MINORANZE OPPRESSE" – E QUANDO HANNO PRESENTATO IL CAPITOLO 12 DEL ''MEIN KAMPF'' CON ALCUNE CORREZIONI IN CHIAVE FEMMINISTA…

Francesco Borgonovo per “la Verità”

 

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Il titolo dell' ambizioso articolo accademico, in effetti, era un po' complicato. In italiano suonava più o meno così: «Reazioni umane alla cultura dello stupro e alla performatività queer nei parchi urbani per cani». Ma la tesi era senz' altro esplosiva: «I parchi per cani sono spazi in cui lo stupro è permesso, un luogo di dilagante cultura dello stupro canino e di oppressione sistemica nei confronti del "cane oppresso"».

 

Lo studio dei parchi per cani, dunque fornirebbe elementi per capire quali siano gli atteggiamenti degli essere umani nei confronti della violenza sessuale. A firmare il fondamentale scritto è stata tale Helen Wilson e la prestigiosa rivista accademica americana Gender, place and culture non solo l' ha pubblicato, ma gli ha pure riconosciuto uno standard di eccellenza.

 

james lindsat, helen puckrose e peter boghossian

È andata solo un po' peggio a un altro articolo, intitolato: «Chi sono loro per giudicare?

Superamento dell' antropometria e struttura per un boybuilding grasso». La tesi era, di nuovo, estremamente suggestiva: «Sono solo le norme culturali opprimenti a far sì che la società consideri ammirevole la costruzione dei muscoli piuttosto che del grasso». Ecco perché le stesse competizioni di bodybuilding trarrebbero beneficio dall' inclusione di «corpi grassi mostrati in modi non competitivi».

 

james lindsat, helen puckrose e peter boghossian 1

Anche questo articolo è stato pubblicato, per la precisione sulla rivista accademica Fat studies. Tuttavia non è stato giudicato «eccellente». Anzi, uno degli editor della rivista ha avuto da ridire sull' uso del termine «frontiera», definendolo «problematico», poiché implica espansione coloniale e acquisizione ostile e indica la cancellazione genocida delle popolazioni indigene».

 

Ecco, ora forse vi chiederete: ma che diamine di rivista accademica potrebbe mai pubblicare uno studio sulla «cultura dello stupro» nei parchi per cani? E come è possibile che qualcuno abbia trovato interessante un articolo sull' aumento della cellulite come forma di lotta agli stereotipi proposti dal bodybuilding? Eppure, i due articoli che abbiamo appena citato sono effettivamente stati letti, corretti e poi approvati da importanti pubblicazioni universitarie americane.

i ricercatori che hanno fatto pubblicare finti studi

 

Facevano parte, assieme a numerosi altri scritti, di una delle più grandi burle mai orchestrate ai danni del mondo culturale occidentale.

 

È accaduto questo: tre ricercatori americani - Helen Pluckrose, James A. Lindsay e Peter Boghossian - hanno passato circa un anno di tempo a ideare e scrivere una ventina di finti articoli accademici. Poi li hanno inviati alle riviste scientifiche statunitensi. Ben sette sono stati accettati e pubblicati. Altri sette sono stati letti, corretti e rimandati agli autori per una revisione in vista di una futura pubblicazione. Soltanto sei sono stati rifiutati in toto.

 

i finti studi pubblicati sulle riviste accademiche americane 7

La truffa ha dei risvolti comici evidenti (basta scorrere i titoli dei vari articoli per capirlo), ma l' obiettivo dei tre americani era serissimo. Sono stati loro a spiegarlo in un lungo saggio uscito sulla rivista online Areomagazine.com qualche giorno fa. In buona sostanza, la Pluckrose e i suoi soci volevano mostrare il disastro della «cultura ufficiale» statunitense.

 

Non solo ci sono riusciti, ma hanno anche fatto parlare di sé sui giornali di mezzo mondo. Hanno svelato al grande pubblico l' ossessione per il politicamente corretto e per i temi legati al gender degli accademici americani. Costoro si sono dimostrati pronti a pubblicare qualsiasi ricerca - anche la più allucinante - che riguardasse le «minoranze oppresse».

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I finti articoli sono stati mandati a riviste di «cultural studies» o «identity studies», quindi stiamo parlando del territorio accademico da cui provengono gli studi sulle minoranze razziali, sul genere e le sue sfumature, sui rapporti tra maschi e femmine.

 

Il grande critico americano Harold Bloom l' aveva ribattezzata «scuola del risentimento», e da lui i tre «truffatori» americani hanno mutuato la definizione di «studi del risentimento».

«Qualcosa è andato storto nell' università, specialmente in certi campi all' interno delle discipline umanistiche», scrivono Pluckrose, Lindsay e Boghossian. Secondo loro, i professori si basano poco sulla «ricerca della verità» e preferiscono concentrarsi sulle «lamentele sociali». Tale approccio è diventato «completamente dominante», benché basato su una visione del mondo «non scientifica e non rigorosa».

 

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I tre intellettuali non sono conservatori ossessionati dalla lotta al politicamente corretto. Al contrario, si dichiarano liberal. Ma si sono resi conto che, oggi, «la riflessione aperta e in buona fede su argomenti di identità come genere, razza e sessualità è quasi impossibile». L' ideologia offusca tutto. E gli studiosi di sinistra sono in preda a una «follia identitaria». Le menti di gran parte degli studiosi americani (e non solo) sono come prigioniere, ottuse. E i finti articoli selezionati per la pubblicazione lo dimostrano.

 

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Dello stupro fra cani e del bodybuilding per grassi abbiamo detto. Ma il caso più clamoroso è senz' altro quello dell' articolo dedicato al «femminismo di solidarietà», accettato dalla rivista Affilia.

 

L' articolo non era altro che il capitolo 12 del Mein Kampf di Adolf Hitler, con alcune correzioni in chiave femminista. Il testo è stato letto, approvato e molto apprezzato dagli editor della rivista.

 

Grande entusiasmo anche per un altro scritto, intitolato: «Entrare dalla porta sul retro: sfidare l' omoisteria e la transfobia dei maschi eterosessuali attraverso l' uso di sex toys penetrativi».

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A pubblicarlo è stata la rivista Sexuality & Culture, a cui dev' essere piaciuta molto la tesi: «Si sospetta che gli uomini raramente si auto-penetrino usando sex toys, e ciò è probabilmente dovuto alla paura di essere considerati omosessuali (omohysteria) e a bigottismo nei confronti dei trans (transfobia). Incoraggiandoli a impegnarsi in un erotismo penetrativo ricettivo diminuirà la transfobia e aumenteranno i valori femministi».

 

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Imperdibile anche lo studio dedicato ai «brestaurants» (in italiano lo si potrebbe tradurre «tettoranti»), in cui si prendeva in esame la «nostalgia patriarcale» dei maschi che frequentano locali come Hooters, in cui le cameriere sono solite mettere in mostra generose scollature.

Tutto questo è comico, ovviamente. Ma il sorriso si spegne se si pensa che le università americane sono il luogo in cui la cultura occidentale prende forma. È in quei luoghi che viene elaborato il pensiero a cui, poi, le masse si devono adeguare. E la cosa non fa ridere: fa spavento.

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