neonato piange

NON TUTTI I PIANTI VENGONO PER NUOCERE - BEBE’ IN LACRIME? TRANQUILLI: PER GLI ESPERTI E’ SBAGLIATO INIBIRE QUESTA FORMA DI COMUNICAZIONE - “SEGNALI A CUI VA DATO UN FEEDBACK ADEGUATO. PRENDERLO IN BRACCIO ATTIVA MECCANISMI NEURALI E CARDIACI CHE LO FANNO RILASSARE"

Nicla Panciera per la Stampa

 

neonatoneonato

Un bebé che piange ha fame, sta male, ha bisogno di essere cambiato. Oppure cerca il contatto fisico con la mamma e, quindi, una relazione ancora più intensa. Alla nascita quelle che gli specialisti chiamano «vocalizzazioni» sono l’unico mezzo di comunicazione dei cuccioli per segnalare le proprie esigenze. Esserne investiti provoca nei genitori reazioni fisiologiche immediate, spontanee e universali, che, al di là di inevitabili ansie e angosce, li spingono a reagire con prontezza, prendendosi cura dei piccoli e garantendone la sopravvivenza.

 

In quei pianti, non a caso, in un momento di massima plasticità cerebrale quali sono i primi mesi di vita, c’è un intero universo di messaggi e interazioni, fondamentali per lo sviluppo - sia cognitivo sia affettivo - di ogni bambino. «Piangendo, comunica e richiede la presenza del genitore, stimolandolo ad interagire e instaurando così una relazione con chi si prende cura di lui. È questo il suo primo contatto con il mondo circostante.

NEONATONEONATO

 

La risposta che ne riceverà influenzerà profondamente il suo futuro sviluppo neurale e, quindi, emotivo e anche sociale», spiega Paola Venuti, direttore del dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive di Trento, dove si è svolto l’«International Infant Cry Workshop», un appuntamento dedicato allo studio di una realtà ancora in parte misteriosa come il pianto in una prospettiva multidisciplinare. Oggi sappiamo che la predisposizione a reagire a urla e lacrime si manifesta in modo analogo in tutti i popoli: l’hanno dimostrato gli studi di risonanza magnetica presentati al congresso e condotti in una dozzina di Paesi, dall’Asia al Sud America passando per Europa e Usa.

 

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Si è visto che le basi neurali delle risposte comportamentali sono comuni e riguardano le aree del movimento motorio. Se un bimbo piange, il primo istinto è prenderlo in braccio e ogni genitore sa che è un metodo efficace per farlo smettere. Ciò è vero anche per tutti i cuccioli di mammifero, che si calmano quando vengono trasportati dalla madre. «L’intervento scatena in pochi istanti un effetto calmante e di rilassamento attraverso un insieme coordinato di meccanismi neurali, motori e cardiaci, come abbiamo evidenziato in uno studio del “Riken Brain Science Institute” di Tokyo sui piccoli di uomo e di topo», ci spiega Gianluca Esposito, ricercatore ora rientrato a Trento e organizzatore della conferenza.

 

Piangere, insomma, non è un capriccio. E, tuttavia, rispondere a quel richiamo non basta. Bisogna saperlo fare in modo adeguato, tanto più in un periodo cruciale per lo sviluppo psicomotorio. Con la nascita, infatti, la crescita neurale ha già avuto il suo picco e quindi il fiorire di connessioni sinaptiche nel cervello va incontro a una sorta di disboscamento: è il «pruning», che permette lo stabilirsi di connessioni destinate a mantenersi piuttosto stabili. Sarà su questi circuiti neurali che si svilupperanno le abilità cognitive e sociali.

 

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Il pianto, di conseguenza, ha un ruolo-chiave nella relazione cucciolo-genitore e la risposta di quest’ultimo si rivela cruciale per il formarsi delle capacità comportamentali e di adattamento del piccolo. Insomma, della sua personalità. Con effetti duraturi, fino all’età adulta. Esempio tipico è la depressione: chi ne soffre risponde in misura minore alle sollecitazioni del figlio, il quale, a poco a poco, imparerà che il suo segnale vocale breve a bassa frequenza (sui 400herz al secondo) non sortisce l’effetto atteso e così finirà per piangere meno di altri coetanei. «Le misurazioni indicano in questi bambini livelli ormonali di stress più elevati di quanto il comportamento vocale lasci intendere - spiega Esposito -.

 

E tuttavia è una cascata di effetti evitabili, se solo a mamma e papà venissero forniti gli strumenti per interpretare in modo corretto il comportamento dei piccoli». Perché a volte l’istinto inganna. È il caso dei bambini con un pianto atipico, che scatena reazioni diverse da quelle ideali. «Il bambino down ha un pianto con frequenze più basse e questo viene percepito come meno urgente e meno doloroso di quello dei bambini con sviluppo tipico. E piange anche meno, con il risultato controproducente che riceverà meno stimolazioni», aggiunge Venuti. Questo tipo di singhiozzi può diventare anche un potenziale strumento diagnostico.

 

neonato dorme feliceneonato dorme felice

Alcuni ricercatori, guidati da Maria Luisa Scattoni del dipartimento di Biologia Cellulare e Neuroscienze dell’Istituto Superiore di Sanità, sono al lavoro per identificare in modo precoce nel pianto del neonato i possibili segnali dell’autismo, la cui diagnosi certa non è possibile prima dei 3 anni. Resta il fatto che il mix di urla e lacrime, eccessivi e prolungati, rappresentano una delle angosce più comuni delle neomamme. «I pediatri devono capire che queste donne non sono necessariamente ansiose e che a quei segnali va prestata attenzione - è l’appello che arriva dal congresso -. È sbagliato pensare che un figlio non debba mai piangere. Quei segnali non vanno inibiti, così da non stroncare la comunicazione. Semmai va dato loro il feedback adeguato».

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