kamikaze isis

SOTTO ATTACCO! - IN UNA SETTIMANA L’ISIS HA CONDOTTO 41 ATTACCHI SUICIDI NEL MONDO - A DIFFERENZA DI AL QAEDA, CHE PREPARAVA I “MARTIRI”, CON PREGHIERE E L’ASSISTENZA DI UN IMAM, IL CALIFFATO HA INTRODOTTO LA FIGURA DELL’ACCOMPAGNATORE CHE SCORTA IL KAMIKAZE FINO AL LUOGO DELLA STRAGE

Guido Olimpio per il “Corriere della Sera”

abdelhamid abaaoudabdelhamid abaaoud

 

In una settimana l’Isis ha condotto 41 attacchi suicidi dall’Iraq al Belgio. Aree diverse, metodi diversi con il comune denominatore di uomini che si trasformano in armi convinti di partecipare ad una lotta globale quanto divina. Il Califfo ha proseguito la strategia di Al Qaeda ma anche di fazioni palestinesi rendendo però tutto più rapido.

 

In passato i kamikaze si sono sottoponevano a una lunga preparazione, psicologica e religiosa. Con letture, preghiere, assistenze di un imam. I movimenti chiedevano chi fosse disposto a farlo, conducevano una selezione e poi sceglievano l’adepto. L’Isis, grazie all’alto numero di volontari, li ha censiti in modo burocratico usandoli con un doppio profilo: per l’atto terroristico puro oppure a bordo di veicoli-bomba, mostri blindati costruiti per demolire le difese. Un’evoluzione militare della «specie».

hasna ait boulahcen terrorista kamikaze di parigi  6hasna ait boulahcen terrorista kamikaze di parigi 6

 

Insieme al training — quando esiste — c’è un aspetto importante, quello dell’accompagnatore-assistente. I palestinesi e i militanti di Al Zarkawi hanno curato molto questa figura. È la persona che porta il «martire» vicino all’obiettivo, lo incoraggia, bada che non cambi idea.

 

hasna ait boulahcen terrorista kamikaze di parigi  5hasna ait boulahcen terrorista kamikaze di parigi 5

Ricerche hanno mostrato che si tratta spesso di elementi con una vita travagliata, che considerano i loro compagni dei robot e senza alcun rimorso in quanto non provano nulla verso il prossimo. In alcune situazioni oltre al sostegno morale possono avere un compito tecnico: Boko Haram e i qaedisti iracheni li hanno impiegati per detonare a distanza la carica trasportata da un complice.

 

Gli ordigni cambiano a seconda del teatro e delle esigenze. In Europa gli artificieri ricorrono alle fasce esplosive, realizzate secondo istruzioni consolidate. La miscela di acetone e prodotti chimici che è la base per la Madre di Satana — così la chiamano —, batterie da 9 volt, detonatore. Il peso varia dai 5 ai 10 chilogrammi. È un «prodotto» abbastanza facile da realizzare perché le componenti sono acquistabili senza limiti, basta la cucina di casa per impastare il tutto.

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I criminali aggiungono poi chiodi, viti, biglie che diventeranno proiettili micidiali. Non solo. Perdonate il dettaglio: anche le ossa del kamikaze possono trasformarsi in proiettili. A Parigi i killer avevano il dispositivo di attivazione legato ad un polso, forse anche a Bruxelles con i due assassini con la mano sinistra coperta da un guanto. Proteggeva il sistema di innesco? In alcuni casi sono comparse delle sicure per evitare incidenti visto che il cocktail è altamente instabile.

 

L’alternativa alla «cintura» è il corpetto, più ingombrante, però molto potente. Sempre alla ricerca di metodi per sfuggire ai controlli gli attentatori hanno studiato dei nascondigli. Durante la seconda intifada un kamikaze infilò la trappola dentro la custodia per la chitarra. In Afghanistan hanno scelto il turbante e il burqa. In Arabia Saudita — dicono — la cavità anale del militante. A Mogadiscio, di recente, un computer portatile che per poco non distruggeva un jet.

kamikaze isis prima dell attentato in siria  41kamikaze isis prima dell attentato in siria 41

 

Variabile la fase operativa. A Bagdad si sono affidati alla coppia: il primo colpisce tra la folla, il secondo fa strage tra i soccorritori. Metodo ripetuto dai nigeriani di Boko Haram che hanno immolato oltre 100 donne e ragazzine, in talune situazioni innescate in modo remoto da un terzo combattente. Nel teatro occidentale l’Isis ha cambiato spesso.

 

C’è il militante che conduce la missione sacrificale: non indossa fasce, ma spara fintanto che non viene ucciso. Oppure prima apre il fuoco con kalashnikov, quindi si fa esplodere. Tattica perseguita in quanto provoca molte vittime, permette di prolungare il gesto magari prendendo degli ostaggi, ostacola l’intervento della polizia. E non ancora finita, l’effetto dell’incursione cresce con la celebrazione.

 

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È raro che non vi sia un video di rivendicazione dove il mujahed minaccia e spiega, filmato che deve ammonire i nemici e galvanizzare gli amici, un formidabile strumento di reclutamento, presentato a volte con una liturgia precisa, in altre nella forma di un messaggio. Ibrahim al Bakraoui lo ha scritto sul portatile poi abbandonato in un cestino della spazzatura. Strano comportamento. Ma lui era «confuso», aveva fretta di morire.

 

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