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CI MANCAVANO SOLO I BACCHETTONI DEL WEB - UNA VOLTA GLI HACKER LOTTAVANO PER GARANTIRE TRASPARENZA E DEMOCRAZIA, ORA (CON IL CASO “ASHLEY MADISON”) SI SONO MESSI A FARE LA GUERRA AI “TRADITORI PEZZI DI MERDA” CHE “NON MERITANO PRIVACY”

Fabio Chiusi per “la Repubblica”

 

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L'attacco informatico che ha messo a nudo i dati di 37 milioni di utenti del sito di "incontri discreti tra persone sposate", Ashley Madison, non è la prima incursione hacker nelle preferenze sessuali delle vittime.

 

Già nel 2012 il collettivo "The Consortium" aveva rubato e pubblicato online le credenziali di accesso di centinaia di migliaia di iscritti a siti per adulti come Digital Playground e YouPorn. Allora tuttavia il bersaglio era la scarsa sicurezza dei siti colpiti, non la pornografia e chi ne fruisce. «Ingiustificabile» dunque, e per stessa ammissione degli hack-tivisti, rivelare i dati delle carte di credito degli utenti, di cui pure erano in possesso: nel caso di Digital Playground, il problema era piuttosto la prassi di salvare in chiaro i dati finanziari di individui «il cui unico crimine è desiderare del porno». Il messaggio? Non fidatevi di chi promette sicurezza senza essere in grado di garantirla davvero.

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Il caso di questi giorni è tuttavia diverso. Certo, dalla pubblicazione delle mail interne ad Ashley Madison emerge anche una scarsa attenzione alla sicurezza dei dati degli utenti. La ammetteva nel 2012 il suo stesso Chief Technology Officer, Raja Bhatia, in una delle mail rivelate: «Sono abbastanza sicuro che abbiamo salvato le password senza protezione crittografica, per cui se il database dovesse essere bucato sarebbero esposte tutte le credenziali dei profili».

 

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Ma non è questo il motivo con cui il misterioso "Impact Team" ha giustificato l' hack, nella rivendicazione. Gli hacker sembrano piuttosto considerare errata in sé l' idea di avere e promuovere relazioni extraconiugali: nella dichiarazione dello scorso luglio, quando i dati sono stati prelevati, gli utenti vengono definiti " pezzi di merda traditori", che non meritano riservatezza. Per questo, contrariamente a "The Consortium", il collettivo ha sbattuto in rete in una inquietante prima volta i dati più intimi di milioni di perfetti innocenti. E senza curarsi affatto delle prevedibili conseguenze: non solo le liti, le vite affettive e familiari potenzialmente distrutte, ma i ricatti e, in tre casi finora, pare il suicidio.

 

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L' era delle intrusioni informatiche di massa sembra insomma portare con sé un messaggio inquietante, che avvicina il mondo intero ai paesi dove i costumi sessuali sono più rigidi, e le punizioni per pratiche o credenze ritenute immorali più severe: se un collettivo di hacker o chi per loro decide che un comportamento è errato e va punito, chi lo mette in atto sarà punito. E la punizione, come si addice a una società dello spettacolo, sarà pubblica, disponibile a tutti potenzialmente per sempre, dato che una volta che un dato è in rete è impossibile assicurarsi non lo sia mai più.

 

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Una operazione che ricorda non tanto l' hacktivismo ridanciano di Anonymous quanto quella compiuta nel 2011 da un hacker pachistano, che ha violato il sito della Corte Suprema per chiedere, in un impeto di perbenismo, che tutti i siti pornografici fossero chiusi.

La canadese Avid Life Media, che pure ha le sue spiegazioni da fornire, è quindi nel giusto quando scrive che quello subito non è un gesto di attivismo informatico ma criminale, in particolare da parte di «autonominati giudici morali» che intendono in ultima analisi «imporre la loro personale nozione di virtù alla società intera».

 

È il lato oscuro delle forme di "cyber-vigilantismo" viste all' opera da quando il web è diventato sociale: possono costringere un politico alle sue contraddizioni o rintracciare la localizzazione di un terrorista grazie a forme collaborative più o meno spontanee in rete, ma anche fungere da Inquisizione digitale.

 

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Lo scrive benissimo Glenn Greenwald, su The Intercept : quella degli hacker è «soddisfazione puritana», e svariati commentatori sui social media hanno mostrato di condividerla. Ma è un paternalismo che va ben oltre i costumi sessuali, e può facilmente tradursi in un supporto al conformismo, oltre che in un' agile viatico per la discriminazioni dei "diversi", delle minoranze, di tutti i deboli che non abbiano dalla loro la voce della maggioranza - o quantomeno dei vigilanti.

 

Non stupisce quindi che sebbene l' hack ad Ashley Madison parli della difficoltà di mantenere la privacy nell' era iperconnessa molto più che dell' insuccesso delle relazioni coniugali degli iscritti, la prima reazione in rete sia stata il dileggio morale e, insieme, la costruzione di improvvisati motori di ricerca per cercare, tra i gigabyte di materiale pubblicato, il nome del marito, del conoscente, del personaggio famoso.

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Una dinamica che peraltro, scrive Kashmir Hill su Fusion, comincia a ripetersi secondo delle costanti: «Prima il leak», il furto di dati. «Poi gli strumenti per analizzarli. Poi ancora, il panico». Quello di essere sempre giudicati da tutti, per ogni vizio.

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