LA CORSA DI JFK INCONTRO ALLA MORTE - GLI ULTIMI 100 GIORNI DI KENNEDY: SI PREPARAVA A CAMBIARE IL MONDO

Paolo Mastrolilli per La Stampa

Aspettando che Jackie torni da una passeggiata a cavallo, John Kennedy prepara un Bloody Mary per la principessa Irene Galitzine, che Gianni Agnelli aveva presentato a sua moglie durante una vacanza ad Amalfi. La principessa, sorseggiando il cocktail, rompe il ghiaccio con una domanda imbarazzante: «Cosa farai dopo il 1968? Sarai così giovane, alla fine del secondo mandato: non hai paura di annoiarti?». Il presidente sorride e sta al gioco: «Probabilmente mi nominerò ambasciatore in Italia».

Questa conversazione avviene sabato 26 ottobre 1963, durante un fine settimana nella casa di campagna a Wexford, dove Jackie ha invitato la sua amica. Meno di un mese dopo John verrà ucciso a Dallas, portando con sé lo scherzoso progetto di trasferirsi a Roma, e soprattutto le speranze di una presidenza che aveva ispirato il mondo.

Il rimpianto, le domande su cosa sarebbe successo se Lee Harvey Oswald avesse mancato il colpo, sono la cifra dell'epopea interrotta di Camelot. Ma proprio gli ultimi cento giorni della presidenza, che Thurston Clarke ha raccontato nel libro "Jfk's last hundred days", aprono uno spiraglio sui grandi cambiamenti che forse aspettavano l'America e il mondo.

Gli ultimi cento giorni cominciano il 15 agosto, ma la prima data chiave è il 7, quando Jackie viene portata d'urgenza in ospedale per partorire il terzo figlio, Patrick. Il bambino è prematuro e i medici gli danno il 50% di possibilità di sopravvivere. John passa due giorni vicino alla camera dove cercano di salvarlo. Mentre tiene la mano del figlio, alle 4,19 di mattina del 9 agosto, Patrick muore: «Ha combattuto fieramente - dice il padre -. Era un bel bambino». Poi si chiude in bagno e scoppia a piangere.

Questa tragedia devasta la coppia e insieme la unisce. John diventa più affettuoso con Jackie, anche in pubblico, e impara a godersi gli altri due figli. Soprattutto dà un taglio alle avventure romantiche, al punto che il 21 agosto un volo segreto decollato dalla Andrews Air Force Base riporta in Europa Ellen Rometsch, la ventisettenne della Germania Est con cui aveva una relazione molto pericolosa.

Il 26 agosto riceve il diplomatico sovietico Anatoly Dobrynin, che gli porta l'ultima di una serie di lettere segrete scambiate con Nikita Kruscev. Il mondo ancora non lo sa, ma dopo l'accordo sul Test Ban Treaty i due leader hanno avviato un dialogo serrato, che potrebbe significare «l'inizio della fine» della Guerra Fredda.

Il 30 agosto infatti viene installata la «linea rossa» per collegare Washington e Londra, e durante un incontro col ministro degli Esteri Gromyko il 10 ottobre, Kennedy arriva a proporre che Usa e Urss lancino una missione congiunta sulla Luna, per sdrammatizzare la corsa allo spazio e alle armi.

Il 28 agosto il presidente non va al Lincoln Memorial, perché teme che la sua presenza alla marcia organizzata da Martin Luther King infiammi il Sud. Però chiede al portiere nero della Casa Bianca Preston Bruce di accompagnarlo sul solarium al terzo piano, e ascolta in discorso dalla finestra: «Oh, Bruce, vorrei essere là con loro».

Clarke pensa che quella giornata cambi la posizione di Kennedy: fino ad allora aveva considerato giuste le leggi sui diritti civili, gestendole però con la prudenza di un politico consumato. Da quel momento fa suo il dovere morale di approvarle.

Il 2 settembre il presidente accoglie a Cape Cod la stella della televisione Cbs Walter Cronkite, per un'intervista che segnala la svolta in Vietnam: «Il nostro giudizio è che Diem non può avere successo, sulle basi attuali».

Durante una conversazione di fine agosto col nuovo ambasciatore Cabot Lodge, che aveva registrato alla Casa Bianca con uno strumento simile a quello usato poi da Nixon, Kennedy aveva dato l'impressione di essere interessato più alle inclinazioni sessuali di Madame Nhu, cognata del presidente del Vietnam del Sud, che non alla linea da dare al nuovo inviato.

In varie occasioni aveva ripetuto che ritirarsi sarebbe stato un errore, ma i suoi atti degli ultimi cento giorni lasciano pensare che avesse maturato un cambiamento di linea.

Prima infatti arriva il «cable 243», con cui in sostanza scarica Diem; poi invia una delegazione guidata dal capo del Pentagono McNamara e dal generale Taylor, che al ritorno propone il piano per il ritiro di circa mille consiglieri militari, approvato da Kennedy il 2 ottobre.

All'inizio di novembre scatta il golpe, e il presidente resta molto scosso dall'uccisione di Diem: «Abbiamo parecchia responsabilità per questo». Anche l'ex consigliere Arthur Schlesinger, però, in un'intervista di qualche anno fa ci aveva confermato che la via del disimpegno era stata ormai imboccata.

Il 18 settembre il capo della Casa Bianca tiene un discorso tv al paese, con cui spiega il suo piano per tagliare le tasse e aiutare la classe media. E' l'annuncio di una svolta nella politica economica, che punta soprattutto ad abbassare la disoccupazione.

Il giorno dopo è a New York per parlare all'Onu, e l'ambasciatore Adlai Stevenson lo informa di un memorandum ricevuto dal diplomatico William Attwood, secondo cui la settimana prima l'inviato della Guinea a Cuba lo aveva informato che Castro si era stancato di essere usato dai russi, e poteva essere pronto ad una soluzione dei contrasti con gli Usa.

Attwood chiede il permesso di incontrare il delegato di L'Avana al Palazzo di Vetro, Carlos Lechuga, per verificare se Fidel fosse davvero intenzionato ad avviare negoziati segreti. Kennedy approva l'idea, e la corrispondente della Abc Lisa Howard organizza un cocktail nella sua casa di Park Avenue, per far trovare casualmente Attwood e Lechuga.

Comincia così una trattativa a cui partecipa direttamente lo stesso presidente, ricevendo anche il giornalista francese Jean Daniel che si offre di fare da tramite con Castro. In quegli stessi giorni, il capo della Casa Bianca ragiona sull'ipotesi di stabilire relazioni ufficiali con la Cina, secondo una strategia che punta a cambiare l'intera dinamica della Guerra Fredda, circa un decennio prima dell'apertura decisa da Nixon.

Il 26 ottobre il Des Moines Register pubblica la notizia dell'espulsione di Ellen Rometsch, scrivendo che aveva avuto relazioni con politici. È una tedesca orientale: può diventare lo «scandalo Profumo» che travolge Kennedy. Ma l'odiato capo dell'Fbi Hoover lo salva, assicurando al Congresso che non ci sono rischi.

È un momento delicato, perché il presidente sta preparando la campagna per la rielezione nel 1964. Spera di sfidare il repubblicano conservatore Goldwater, invece del moderato George Romney: «Non ha vizi, debolezze: che uomo è?». Però è stanco di Johnson, che non sopporta più, e il 19 novembre confessa alla segretaria Evelyn Lincoln: «Come vice sto pensando al governatore della North Carolina Sanford, ma non sarà Lyndon».

Il 22 arriva a Dallas, proprio per raccogliere fondi elettorali e cercare di placare una faida tra i democratici locali, divisi fra il senatore Yarborough e il governatore Connolly. Indossa una camicia a righine ordinata da Pierre Cardin, e leggendo una pubblicità sul Dallas Morning News che lo minaccia, prova a rincuorare Jackie: «Se qualcuno vuole spararmi da una finestra col fucile, nessuno può fermarlo. Allora perché preoccuparsi?».

 

 

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