
DI CHI È LA COLPA? - SUL DISASTRO DEL VOLO AIR INDIA, NUOVA DELHI STA TENTANDO DI ALLONTANARE I SOSPETTI DAI PILOTI, AVVIANDO UN’ISPEZIONE SUGLI INTERRUTTORI DI ALIMENTAZIONE DEL CARBURANTE SUI BOEING REGISTRATI NEL PAESE - DOPO GLI AUDIO IN CUI SI SENTE UN PILOTA CHIEDERE ALL’ALTRO "PERCHÉ HAI SPENTO I PROPULSORI?", È EMERSO UN PROFILO POCO RASSICURANTE DEL COMANDANTE: PARE CHE, DOPO LA PERDITA DELLA MADRE, SOFFRISSE DI DEPRESSIONE - LA DENUNCIA DI UNO PSICOLOGO DELL’AVIAZIONE: “LE VALUTAZIONI SULLA SALUTE MENTALE DEI PILOTI NON VENGONO FATTE NEL MODO MIGLIORE DALLE COMPAGNIE AEREE…”
1 - «VELIVOLO DIFETTOSO» «NO, SONO STATI I PILOTI» LE ACCUSE INCROCIATE SUL DISASTRO AIR INDIA
Estratto dell’articolo di Leonard Berberi per il “Corriere della Sera”
Sumeet Sabharwal e Clive Kunder pilota e co pilota del volo air india
Tra India e il mondo occidentale è scoppiata la guerra delle versioni sulle cause dell’incidente del Boeing 787 precipitato il 12 giugno scorso. […]
Da un lato Nuova Delhi che con i media (giornali, tv e social) cerca di allontanare i sospetti che sia stato uno dei propri piloti a far precipitare l’aereo e ordina un’ispezione sugli interruttori di alimentazione del carburante installati sui Boeing registrati nel Paese. Dall’altro, dietro le quinte, si sottolinea che «la dinamica è chiara, lo confermano le scatole nere, lo schianto non è stato causato dall’aereo o dai propulsori».
«È una tensione che complica le cose», spiegano al Corriere due fonti occidentali a conoscenza delle discussioni nel team investigativo. «Non è chiara la motivazione, se non quella che ha a che fare con l’orgoglio nazionale. Il rischio è che il rapporto finale non venga mai reso pubblico».
Il volo AI171 di Air India è precipitato nei sobborghi di Ahmedabad 32 secondi dopo il decollo. Il jet era diretto a Londra Gatwick con a bordo 242 persone. Nell’impatto sono morti in 260: 241 tra passeggeri (si è salvato soltanto uno) e membri dell’equipaggio, e altri 19 che si trovavano nella mensa universitaria contro la quale si è schiantato il velivolo.
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Secondo il rapporto preliminare — «fatto uscire a notte fonda, di sabato, in India», ricordano le fonti — l’incidente è stato causato dall’interruzione del flusso di carburante ai motori, che si sono spenti, facendo precipitare l’aereo. Uno dei piloti, secondo la scatola nera che registra gli audio, ha chiesto più volte all’altro perché avesse spento i propulsori, ricevendo come risposta «non l’ho fatto». Poi sempre uno dei piloti — non è noto se il comandante o il primo ufficiale — ha riattivato il flusso di cherosene, ma invano.
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A fine giugno, stando a quanto si apprende, le autorità indiane hanno iniziato a esaminare le cartelle cliniche dei piloti. Secondo il quotidiano britannico Daily Telegraph — che cita le parole di un esperto di sicurezza aerea nel Paese asiatico — il comandante Sumeet Sabharwal soffriva di depressione e aveva preso un congedo per lutto in seguito alla morte della madre […]
2 - «INSUFFICIENTI I CONTROLLI SULLA SALUTE MENTALE DI CHI COMANDA GLI AEREI»
Estratto dell’articolo di L. Ber. Per il “Corriere della Sera”
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«Le valutazioni sulla salute e sulla solidità mentale dei piloti, in Europa e nel resto del mondo, non vengono fatte nel modo migliore da parte delle compagnie aeree: serve molto più tempo e soprattutto sono necessari diversi test». Andrea Castiello d’Antonio, psicologo dell’aviazione, non ha dubbi: il sistema di «filtraggio» posto all’ingresso delle cabine di pilotaggio va rivisto.
Come viene assunto un pilota oggi?
«Il candidato di solito viene sottoposto a una batteria di test di personalità (il Mmpi -Minnesota multiphasic personality inventory). L’obiettivo è quello di ottenere una sorta di scala di nevrosi/psicosi della persona che si intende prendere».
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E basta?
«Esatto. Se poi si nota qualche particolarità si sottopone il candidato a un colloquio psicologico. Ma deve esserci proprio un forte sospetto, altrimenti non si fa».
Ci sono compagnie che fanno anche le valutazioni sulla base delle interazioni del candidato in un gruppo.
«[…] intanto non succede ovunque. […] due ore sono pochissime. Servirebbe almeno un giorno lavorativo, dalle 9 alle 17, o addirittura due giorni per evitare quello che definiamo un “comportamento strumentale”, che qualcuno dei candidati menta, si camuffi. […]».
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I colloqui individuali hanno un’importanza?
«Sono cruciali. E andrebbero messi come terzo passaggio in un processo di selezione dopo il test Minnesota e quello di gruppo. Anche qui servirebbero però alcune ore, non pochi minuti».
Ma le compagnie aeree non hanno così tanto tempo.
«Mi rendo conto che per loro sia un investimento significativo in termini di tempi, risorse e denaro. Non a caso ormai si tende a esternalizzare questo passaggio delicato, affidando a società terze […] Ed è insufficiente l’assistenza tra pari, tra piloti, in fase successiva, quando si è in servizio […] È una selezione frettolosa, volta a mantenere i costi bassi e si ricorre a individui che non hanno le competenze che servono in questo settore».
In che senso?
«L’attività dei piloti è molto particolare, non è un lavoro come un altro. È un lavoro ad alto rischio e responsabilità che viene svolto in un tempo e spazio limitato. Il collega sta a pochi centimetri di distanza per diverse ore. Poi c’è il problema della power distance ».
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Cosa sarebbe?
«In Italia è un problema che abbiamo risolto, ma in altre società — penso a quelle dell’Asia — il comandante decide tutto, ordina, il primo ufficiale deve stare zitto e obbedire, senza avere alcun diritto di replica, anche di fronte a un palese errore di valutazione del comandante».
La nuova generazione di piloti le sembra diversa da quella precedente?
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«Lo è. C’è un cambiamento delle funzioni cognitive, determinato dall’uso degli smartphone che ha reso le persone più bisognose di input costanti, tendenti al multitasking e a volte con un eccesso di sicurezza».