CHE FINE HA FATTO IL GUANTO DI PELLE ABBANDONATO NELL’AUTO DEI KILLER DI PIERSANTI MATTARELLA? QUEL REPERTO, PIENO DI TRACCE DEL DNA DELL’ASSASSINO, È SCOMPARSO: PER LA PROCURA A FARLO SPARIRE E' STATO L’EX POLIZIOTTO FILIPPO PIRITORE, FINITO AGLI ARRESTI DOMICILIARI PER DEPISTAGGIO – ALL’EPOCA RACCONTÒ DI AVERLO AFFIDATO A UN POLIZIOTTO DELLA SCIENTIFICA PERCHÉ LO CONSEGNASSE ALL'ALLORA SOSTITUTO PROCURATORE PIERO GRASSO. MA L’AGENTE CHIAMATO IN CAUSA ERA IN MALATTIA E L’EX PRESIDENTE DEL SENATO NON LO VIDE MAI –PER I GIUDICI PIRITORE “HA DIMOSTRATO DI ESSERE PORTATORE DI INTERESSI CHE RIGUARDANO UN PIÙ AMPIO E IMPERSCRUTABILE CONTESTO” – LEONARDO AGUECI, PM DEL PROCESSO DI APPELLO, CONTINUA A CREDERE NELLA PISTA NERA: “A SPARARE FU VALERIO FIORAVANTI. LA VEDOVA DI MATTARELLA DISSE CHE…”
1. DELITTO MATTARELLA, EX POLIZIOTTO AI DOMICILIARI PER DEPISTAGGIO "SOTTRASSE IL GUANTO DEL KILLER"
Estratto dell’articolo di Francesco Patanè per “la Repubblica”
Quel guanto di pelle marrone abbandonato dal killer sotto il sedile della Fiat 127 avrebbe potuto svelare il nome di chi ha premuto il grilletto il 6 gennaio del 1980 in via Libertà a Palermo uccidendo il presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella, il fratello dell'attuale Capo dello Stato.
Invece quel reperto pieno di tracce del Dna dell'assassino è sparito. Uno dei tanti misteri di quell'eccidio che sconvolse la Sicilia il giorno dell'Epifania e segnò un pezzo di storia del Paese.
Per la procura uno dei poliziotti che parteciparono alle prime indagini, Filippo Piritore, è coinvolto nella sparizione.
il guanto ritrovato nella macchina di piersanti mattarella
Ieri gli investigatori della Dia lo hanno arrestato e messo ai domiciliari nella sua casa di Roma, eseguendo un provvedimento del gip. I magistrati coordinati da Maurizio de Lucia lo accusano di depistaggio. Una misura cautelare giustificata con il rischio che l'ex prefetto reiteri il reato, ovvero continui a mentire e a depistare le indagini sul killer di Piersanti Mattarella. Per i magistrati avrebbe «impedito, ostacolato e sviato» le indagini, «affermando il falso o tacendo ciò che sapeva intorno ai fatti sui quali veniva sentito».
Al centro della vicenda ci sono i momenti successivi al ritrovamento dell'auto utilizzata per la fuga. Sotto il sedile del passeggero le foto dell'epoca inquadrano il guanto. […] L'ex prefetto di Isernia all'epoca scrisse una relazione in cui sosteneva di aver affidato quel reperto così importante a un poliziotto della scientifica, tale Di Natale, perché lo consegnasse all'allora sostituto procuratore Piero Grasso.
Una tesi confermata anche nei mesi scorsi […] Ma sia Di Natale sia l'ex presidente del Senato hanno detto di non avere mai avuto fra le mani quel guanto. Di Natale nei giorni dell'omicidio Mattarella era pure in malattia. Interrogato nuovamente, Piritore ha insistito, dicendo di avere dato successivamente il reperto a tale Lauricella sempre della Scientifica, su disposizione di Grasso. Ma per la procura continua a mentire. Perché un Lauricella non ha mai lavorato nella polizia scientifica.
«In sostanza — riassumono i giudici — Piritore ha dimostrato di essere portatore, dal 1980 e fino ad ora, di interessi chiaramente contrari all'accertamento della verità sull'omicidio del presidente Mattarella, interessi che riguardano un più ampio e imperscrutabile contesto…».
Il guanto sparito è parte di uno scenario in cui la procura di Palermo colloca un altro poliziotto discusso e controverso della storia siciliana di quegli anni, Bruno Contrada. Sono gli stessi magistrati a sottolineare come a capo della squadra mobile in quei mesi ci fosse il superpoliziotto, diventato poi numero tre dei servizi segreti. Contrada è stato condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, anche se la sua sentenza è stata dichiarata inefficace dalla corte europea dei diritti dell'uomo. I pm lo descrivono come molto vicino a Piritore, con cui aveva un rapporto oltre la sfera professionale.
[…] La procura continua le indagini per arrivare al sicario di Mattarella, l'esponente politico della Democrazia Cristiana che governava con l'obiettivo della "Sicilia dalle carte in regola". La verità si continua a cercare nell'intreccio fra mafia ed eversione di destra come fece l'allora giudice istruttore Giovanni Falcone, indagando sui killer neri Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini, che poi però sono stati assolti nei tre gradi di giudizio. Per il delitto sono stati condannati con sentenza definitiva all'ergastolo i boss Totò Riina, Michele Greco e Francesco Madonia, ritenuti i mandanti.
Resta ancora senza nome il giovane di vent'anni, «dagli occhi di ghiaccio e l'andatura ballonzolante» — come lo descrisse la vedova Mattarella — che quel giorno fece fuoco. Un giovane che poi salì sulla Fiat 127 guidata da un complice, anche lui rimasto senza nome. Su quella vettura, trovata poche ore dopo l'omicidio in via degli Orti ad un paio di chilometri dal luogo dell'omicidio, all'epoca fu rinvenuta un'impronta. E, adesso, quell'impronta è l'unico filo a cui aggrapparsi. […]
2. IL PM DEL PROCESSO D’APPELLO CONVINTO DELLA PISTA NERA: «A SPARARE FU FIORAVANTI»
Estratto dell’articolo di Lara Sirignano per il "Corriere della Sera"
Resta convinto della cosiddetta pista nera. «A sparare fu Valerio Fioravanti, io continuo a esserne sicuro».
Leonardo Agueci, magistrato di lungo corso ora in pensione, pubblica accusa nel processo d’appello per l’omicidio del presidente della Regione Piersanti Mattarella celebrato a Palermo, a distanza di anni non ha cambiato idea. […] «Dopo la assoluzione di Fioravanti in primo grado, assoluzione peraltro chiesta dalla Procura, impugnai la sentenza e chiesi la condanna. Per il coimputato Gilberto Cavallini invece invocai l’assoluzione per insufficienza di prove perché gli elementi erano più deboli. La corte li assolse entrambi».
Quindi riteneva l’impianto accusatorio contro Fioravanti più che solido.
«Assolutamente sì. Tra le tante cose che avevamo contro di lui una era veramente difficile da confutare: la testimonianza della vedova di Mattarella, la signora Chiazzese. Ricordo che nelle prime fasi delle indagini, quando ci si era concentrati solo sul filone mafia, nonostante generiche rivendicazioni dell’agguato da parte di sedicenti gruppi neri, le erano state fatte vedere decine di foto tra le quali quelle di Nino Madonia, attualmente indagato, e in nessuno aveva riconosciuto il killer. Invece quando vide Fioravanti non ebbe esitazione aggiungendo peraltro che l’assassino camminava ballonzolando proprio come l’imputato».
Ma non bastò a ottenere la condanna…
«No, e non era l’unico elemento... Nel 1982 Cristiano Fioravanti raccontò agli inquirenti che il fratello Valerio gli aveva confidato di aver ucciso una importante personalità politica siciliana».
Quindi lei continua a ritenere che pezzi dell’eversione nera abbiano assassinato Mattarella. E la mafia?
«I legami tra Cosa nostra e ambienti della destra estrema sono ormai accertati da diverse sentenze tra cui quella sulla strage di Bologna».
Ma perché i Nar avrebbero dovuto ammazzare un politico siciliano?
«Tra le ipotesi fatte all’epoca c’era quella del presunto patto che i boss avrebbero stretto con i terroristi neri. Uno scambio per cui la mafia avrebbe fatto evadere Pierluigi Concutelli, allora detenuto a Palermo, e loro avrebbero fatto un favore a Cosa nostra assassinando Mattarella. Che Fioravanti nel periodo dell’assassinio del presidente della Regione fosse in città poi è ormai accertato».
il fotofit del killer di piersanti mattarella realizzato dopo il delitto
[…]
3. DALLE OMBRE SU CONTRADA AI FALSI INDIZI SUGLI AUTORI LA SCIA DI «OSTACOLI» CHE HA SVIATO LE INDAGINI
Estratto dell’articolo di Gio. Bia. Per il “Corriere della Sera”
Gli spari che uccisero Piersanti Mattarella non misero fine solo alla vita del presidente della Regione siciliana, ma anche alla «politica di rinnovamento» con cui «aveva deciso di spezzare i legami» tra mafia e potere nel governo dell’Isola. Un progetto che non poteva non preoccupare la cupola di Cosa nostra che s’era vista garantire, dalla vecchia politica, «la possibilità di gestire, sostanzialmente in regime di monopolio, tutti i più importanti affari della vita economica siciliana, compresi quelli relativi agli appalti delle opere pubbliche».
Sono parole dei magistrati di oggi e di ieri, quelli che ancora indagano per dare nomi e cognomi al killer e al suo complice, e quelli della Corte d’assise di Palermo che nel 1995 condannò i mandanti mafiosi del delitto. Furono invece assolti i presunti sicari, su richiesta della stessa Procura che li aveva portati alla sbarra: gli ex terroristi «neri» Giuseppe Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini. La dichiarazione della loro non colpevolezza è divenuta irrevocabile, ma la «pista nera» coltivata inizialmente anche da Giovanni Falcone torna d’attualità
la 127 utilizzata per il delitto mattarella e abbandonata poco distante dalla scena del crimine
[…]. E nonostante lui e Fioravanti non siano più imputabili per l’omicidio del presidente della Regione, la Procura di Palermo non ha smesso di cercare anche in quella direzione, oltre che nel mondo della mafia dell’epoca.
Quando hanno ordinato gli esami tecnici per provare a estrarre il Dna dal supporto adesivo che nel 1980 fu utilizzato per rilevare un’impronta digitale trovata sulla Fiat 127 rubata con cui i sicari fuggirono dopo gli spari, hanno notificato l’avviso a due mafiosi «uomini d’onore» indagati come possibili esecutori: Nino Madonia e Giuseppe Lucchese, due killer fidati dell’esercito corleonese.
Ogni passo di un’inchiesta sempre più complicata dal tempo trascorso, però, sembra condizionato dai depistaggi, di ieri e di oggi.
La scomparsa del guanto usato e dimenticato dal sicario è il più recente scoperto, ma fu il primo messo in atto. La Procura di Palermo lo imputa ora a Filippo Piritore, ex poliziotto che all’epoca lavorava alla Squadra mobile diretta da Bruno Contrada, a sua volta condannato per concorso in associazione mafiosa.
Il suo nome compare nella richiesta d’arresto di Piritore, dove i pm citano la sentenza contro Contrada per ricordare che «mentre dirigeva le indagini per quel delicato delitto, intratteneva rapporti riservati con Michele Greco e Salvatore Riina, tutti condannati quali mandanti dell’uccisione del presidente Mattarella».
Qualche mese dopo il delitto Contrada volò a Londra per chiedere a Irma Chiazzese, vedova di Mattarella e testimone oculare dell’omicidio, di riconoscere l’assassino in una foto del mafioso Salvatore Inzerillo; la signora negò decisamente, nonostante le insistenze del poliziotto, e più tardi si disse invece certa che il killer fosse Fioravanti, ma la testimonianza fu ritenuta insufficiente per la condanna.
OMICIDIO DI PIERSANTI MATTARELLA
A suggerire la spedizione londinese di Contrada fu l’allora questore di Palermo Vincenzo Immordino che, ricordano i pm palermitani di oggi, fu «protagonista di due tentativi di sviamento delle indagini». La prima volta quando avocò a sé ogni verifica su quanto riferito dalla capo di Gabinetto di Mattarella, Maria Grazia Trizzino, a proposito di un incontro tra il presidente della Regione e il ministro dell’Interno Rognoni nell’ottobre del 1979, in cui Mattarella confidò le proprie preoccupazioni per il ritorno sulla scena politica di Vito Ciancimino, l’ex sindaco di Palermo poi dichiarato mafioso; verifiche che Immordino non fece […]
Lo stesso Immordino aveva accreditato, presso i servizi segreti, la notizia che Mattarella era stato ucciso da un killer appartenente a un imprecisato gruppo terroristico di sinistra. La sua fonte, definita «persona qualificata attendibile», era Vito Ciancimino.
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Filippo Piritore
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