GENOVA, CONTI IN ROSSO E FIFA BLU - TRASPORTO URBANO A PEZZI, PROTESTE DI PIAZZA E ALTA TENSIONE CONTRO LA SINISTRA CHE SGOVERNA LA CITTA’

Teodoro Chiarelli per "La Stampa"

Una città paralizzata, sconvolta, umiliata. Genova ha subito ieri il secondo giorno di sciopero selvaggio dei dipendenti dell'Amt, l'azienda comunale del trasporto urbano. Un migliaio di autisti, impiegati e meccanici, oltre a non far uscire i bus dalle rimesse, hanno paralizzato il traffico per lunghe ore sino al tardo pomeriggio. Con blitz a macchia di leopardo hanno impedito l'accesso ai caselli autostradali, bloccato la sopraelevata e la circolazione in centro, manifestando sotto la Regione e sotto la sede della tv locale Primocanale per ottenere visibilità.

Carichi di rabbia i mille colletti azzurri, dal colore delle divise aziendali, hanno percorso la città divorando chilometri sotto la pioggia, per ribadire il proprio no a ogni ipotesi di privatizzazione dell'Amt. Termine che secondo loro si traduce in tagli e licenziamenti.
Ce l'hanno con tutti: il sindaco Marco Doria («Venduto» e «tentenna» gli insulti più amichevoli), il sindacato, i partiti, il governo, i dirigenti. Slogan anche contro Matteo Renzi, reo di aver disertato il comizio previsto per ieri proprio a causa delle proteste degli autisti. Per lui uno striscione dedicato: «Renzi assente ingiustificato, come puoi guidare lo Stato»?

In serata il sindaco prova a depotenziare la protesta, togliendo dal tavolo l'argomento privatizzazione. «Per il 2014 - ha detto - non ci sarà nessuna gara d'appalto per la vendita di quote pubbliche di Amt». Tradotto, significa che la società resterà pubblica per altri 13 mesi. «Il Comune lavora su un progetto complessivo per le sue aziende - ha proseguito - che non parla di vendite o svendite. Amt deve arrivare in salute al 31 dicembre 2014, in grado di vivere, non fallire e svolgere il proprio servizio». Poi, dal primo gennaio 2015, sarà attivato il nuovo servizio regionale integrato di trasporto pubblico locale.

Per salvare l'azienda dal fallimento, però, ai lavoratori Amt saranno chiesti nuovi sacrifici dopo gli 8 milioni di euro di contributi straordinari dei dipendenti del 2013. E' la condizione per salvare l'azienda e traghettarla in mano pubblica fino al primo gennaio 2015. Partirà finalmente una trattativa?

I colletti azzurri si sono ritrovati a tarda sera alla sala Chiamata del porto, il regno dei camalli, per decidere sul da farsi. Solo questa mattina Genova saprà se potrà tornare alla normalità.

In città però ci si interroga anche sulla parabola del sindaco rosso, marchese e comunista (vicino a Sel), che ha stravinto le elezioni promettendo di fare qualcosa di sinistra: più servizi pubblici e meno maneggi coi privati. Onesto, per bene, altero, ma anche poco decisionista, e non in sintonia con la politica dominante, Doria è stato messo a dura prova dalle contestazioni provenienti anche dalla sua base. Ha un grosso problema: non è supportato (semmai poco sopportato) e sostenuto da una classe politica più interessata a baloccarsi con le poltrone in Fondazione Carige per rimettere le mani sui forzieri della banca.

C'è una distanza siderale fra questi politici e una Genova bellissima ormai immalinconita da una crisi che non è più solo economica, ma sociale, generazionale, etica e di programmi. Una città dove manca il lavoro, chi ce l'ha fa fatica a mantenerlo e i (pochi) giovani scappano. Una città sempre più vecchia, da dove persino gli immigrati fuggono: 7 mila residenti in meno nel 2012 rispetto a un anno prima, recita uno studio della Camera del Lavoro Cgil.

La stessa ricerca che denuncia come un genovese su quattro sia a rischio povertà: 200 mila sugli 800 mila della provincia di Genova. Metà vivono in famiglie che non superano i 950 mila euro al mese; 60 mila non riescono a pagare affitti, mutui o spese mediche; 42 mila risultano senza alcun reddito. Cgil e Caritas diocesana usano le stesse parole: allarme sociale. Genova vive lo scadimento dei servizi pubblici, un nuovo abbandono dei vicoli del centro storico all'incuria e al malaffare , un taglio sistematico delle spese per scuole e asili.

La stessa Amt è l'emblema di una gestione della cosa pubblica pervicacemente fallimentare di una certa sinistra di governo: decenni di clientele in spregio, ai tempi delle vacche grasse, dei più elementari principi economici. Il sindaco (di centro sinistra) Giuseppe Pericu chiamò al vertice dell'Amt a fine anni Novanta un vecchio professore universitario ex dc e poi leghista, infilato da Bossi nel comitato di presidenza dell'Iri. Lui per la verità avrebbe ambito al teatro Carlo Felice, ma tant'è: c'era quel posto e amen. Uno dei primi atti, mentre già esplodevano i sintomi della crisi, fu di raddoppiarsi lo stipendio.

Dal 1983 a oggi l'Amt ha perso qualcosa come 600 milioni di euro. Da alcuni anni (e per altri anni ancora) il comune versa 36 milioni di euro l'anno per il pagamento di rate e mutui contratti in passato per ripianare i deficit dell'Amt. Per il funzionamento dell'azienda, inoltre, spende quest'anno 31 milioni di euro, mentre lo scorso anno ne ha spesi 29. Il prossimo anno si sa già che ne perderà altri 10 a fronte di un capitale di appena 8 milioni. Un pozzo senza fondo. Roba da libri in tribunale.

 

 

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