
I BRONZI? COSE DI COSA NOSTRA – UN TESTIMONE RICOSTRUISCE IL VERO RITROVAMENTO DEI BRONZI DI RIACE, CHE SAREBBE AVVENUTO NELLE ACQUE SICILIANE NEL 1971, E NON IN CALABRIA NEL 1972 - A METTERE LE MANI SUL TESORO SAREBBE STATO UN BOSS DELLA MAFIA SICULA IN BUONI RAPPORTI CON LE COSCHE CALABRESI, CHE AVREBBE SPOSTATO I PREZIOSI REPERTI SULL’ALTRO LATO DELLO STRETTO PER GESTIRE CON PIÙ CALMA LA VENDITA – LA PROCURA DI SIRACUSA HA APERTO UN’INDAGINE…
bronzi di riace il ritrovamento
Estratto dell’articolo di Gianluca Di Feo per www.repubblica.it
«Una sera vidi giungere una grande barca, appesantita da un carico importante. Ricoperte da reti si notavano delle strane sagome scure. Capii che erano statue coricate. Tra le maglie riuscii a scorgere una testa con l’elmo, uno scudo e soprattutto diverse lance».
Una scena impressa nella memoria di un bambino, che a 54 anni di distanza può fare luce su uno degli enigmi archeologici più affascinanti: l’origine dei Bronzi di Riace. I ricordi di Mimmo Bertini sono il punto di partenza per la rilettura di una saga che intreccia storia, scienza, arte e criminalità. Perché i capolavori della Grecia classica sarebbero stati oggetto di un doppio saccheggio: uno nell’antichità e uno in tempi più recenti.
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La vicenda è stata rivelata dalla rivista “Archeologia Viva” e approfondita da uno speciale del Tg1, facendo aprire un’indagine formale della procura di Siracusa. Perché è in quest’angolo di Sicilia che sarebbero state realmente ritrovate le opere diventate simbolo della Calabria, trafugate da una squadra di sommozzatori romani e calabresi che – d’accordo con un boss mafioso – le avrebbero trasferite nei fondali di Reggio per gestirne la vendita sui mercati clandestini.
Che le statue provenissero dalla Sicilia e fossero emerse da un altro mare lo avevano già sostenuto negli anni Ottanta due celebri archeologi statunitensi – Robert Ross Halloway e Anne Marguerite McCann – senza venire creduti. Oggi però una serie di studi scientifici conferma gran parte della loro ricostruzione. Anzitutto l’esame delle terre di fusione e dei perni di saldatura delle statue: coincidono con le argille dei fiumi siracusani Anapo e Ciane.
D’altronde nel V secolo solo a Siracusa, una delle città più ricche e potenti del Mediterraneo, potevano venire commissionati capolavori di tale qualità. La Statua B raffigurerebbe il tiranno Gelone nel momento in cui dopo la vittoria di Himera del 480 avanti Cristo sui cartaginesi depone lancia e scudo davanti all’assemblea siracusana, rimettendo il mandato.
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Le fonti storiche sostengono che fosse stata inizialmente esposta nell’Olympeion, un tempio colossale sulla terraferma lontano da Ortigia. Sulla stessa statua ci sono segni di una frattura restaurata: l’effetto di un assalto cartaginese del 396 avanti Cristo, durante il quale i punici avevano sfregiato i simboli della sconfitta subita 84 anni prima.
Dopo quella incursione, la Statua B sarebbe stata ricomposta e installata sul terrazzo del Teatro, all’interno delle mura di Ortigia. Quando nel 212 avanti Cristo dopo il lungo assedio i romani hanno espugnato Siracusa […] tutti i bronzi sono stati trasferiti nell’Urbe come preda di guerra. Non quelli di Riace, perché la nave che li trasportava è affondata durante il viaggio.
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Dove? Qui la memoria di Mimmo Bertini va a combaciare con il dato storico: perché le statue sul terrazzo del Teatro erano tre. E tre erano i guerrieri che ha visto ripescare dall’abisso nel 1971.
All’epoca aveva dieci anni […] Colloca il ritrovamento durante una missione di Jacques Cousteau che grazie ai suoi batiscafi stava rivoluzionando l’archeologia sottomarina. L’esploratore francese si faceva aiutare dai migliori subacquei: i corallari del Tirreno. Bertini sostiene che anche a Brucoli con Cousteau c’erano sommozzatori calabresi e laziali.
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Questi corallari – all’insaputa dello scienziato – avrebbero tirato fuori dal mare sette statue: tre figure di uomini, due di leoni e due non individuabili. Oltre a queste ricorda un elmo, una lancia e uno scudo. «Mio padre – ha scritto Bertini su “Archeologia Viva” - , involontario testimone di una vicenda molto più grande di lui, preferì sempre tutelare la sicurezza della sua famiglia, tacendo e invitandomi a fare altrettanto».
A mettere le mani sul tesoro infatti sarebbe stato un boss locale, in buoni rapporti con le cosche calabresi, che avrebbe spostato i preziosi reperti sull’altro lato dello Stretto per gestire con più calma la vendita. In quel periodo c’era una rete di mercanti d’archeologia attivi tra Italia e Svizzera che si rivolgeva a magnati degli States, come Paul Getty, o ai direttori dei musei più prestigiosi.
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[…] L’unica data sicura in questa splendida trama è il 16 agosto 1972: Stefano Mariottini, un sub dilettante romano in vacanza, avvista le due statue a otto metri e alle 16 telefona al sovrintendente.
Sul fondale intorno ai capolavori non c’erano relitti di navi, né altri reperti. Una posizione insolita, subito accompagnata da sospetti e voci sull’esistenza di un terzo bronzo esportato clandestinamente negli Stati Uniti e mai individuato. […]
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[…] E c’è un interrogativo che si impone sugli altri: la Calabria rischia di perdere la paternità delle statue che sono diventate orgoglio e manifesto della regione? Anche se provenissero da Siracusa, molti degli storici dell’arte ritengono che l’autore sia stato Pitagora di Reggio, maestro del bronzo ritenuto da Tito Livio inferiore solo a Fidia, Policleto e Mirone. Per un naufragio antico o per una razzia mafiosa, sono comunque tornate nella loro terra d’origine.
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