‘L’INFERNET’ DELL’ODIO – UNA 14ENNE SI SUICIDA PER GLI INSULTI DEI CYBERBULLI: ‘FAI SCHIFO COME PERSONA’, ‘TAGLIATI LE VENE’ – SOTTO ACCUSA IL SITO PER ADOLESCENTI ASK.FM GIÀ CRITICATO DAL PREMIER INGLESE CAMERON

1. SUICIDA PER GLI INSULTI DEI CYBERBULLI
Massimo Guerretta per ‘La Stampa'

Si chiama cyberbullismo. E' un reato. Un reato che, stavolta, ha contribuito a portare alla morte una 14enne, che non ha retto alla pressione degli insulti. Un reato così evidente che ha spinto la procura di Padova ad aprire un fascicolo a carico di ignoti "per atti relativi" sulla morte di una ragazzina di Fontaniva (Padova), che si è lanciata dal tetto di un hotel abbandonato di Cittadella. Trenta metri, la distanza tra la sua vita sconvolta da chi le voleva male, e la morte che non le ha lasciato scampo.

Si è suicidata domenica pomeriggio. Prima ha scritto una serie di messaggi strazianti, per chiedere scusa, sperando di non venir dimenticata, affinché i genitori la perdonassero perché sentiva di averli delusi. La sua non è stata una decisione dettata da un raptus.
Aveva pianificato tutto. Perchè quelle frasi che la schernivano sul social network Ask.fm le avevano fatto troppo male. «Secondo me tu stai bene da sola! Fai schifo come persona». E poi: «Con cosa è meglio tagliarsi? Non è meglio usare la lametta?». Ancora, come se non fosse abbastanza, un'altra coltellata: «Spero che uno di questi giorni taglierai la vena importantissima che c'è sul braccio e morirai!!!!».

Amnesia, il suo nickname sul social, li leggeva e li rileggeva. Debole come i suoi 14 anni, fragile come l'età dell'adolescenza. Forse troppo ingenua per non farsi coinvolgere così tanto. Non ne poteva più, si era convinta che la giusta soluzione per lei fosse uscire di scena. Aveva affidato a sconosciuti il suo disagio esistenziale ricevendo risposte terribili.
Da settimane pianificava il suo disegno. Aveva confidato il suo disagio, lo aveva manifestato anche con atti di autolesionismo, ma nessuno aveva capito che faceva sul serio. Ha scritto di suo pugno cinque lettere: una è quella che la nonna ha trovato in casa. «Vado a buttarmi al Palace». I genitori si sono precipitati all'albergo: sono stati proprio loro, dramma nel dramma, a ritrovarla senza vita.

Sconvolto anche il fidanzato, di alcuni anni più grande di lei, che ieri ha pubblicato proprio sul web il loro ultimo dialogo, avvenuto nella chat di un social network. Lei parla e lui risponde: «Non dimenticarmi/ Tu non lasciarmi/ Io non so più cosa fare sinceramente/ Ti prego non potrei più vivere con il pensiero che non ci sei più perché non sono riuscito ad amarti abbastanza/ Sai quanta gente resterà con questo peso».

L'intera scuola superiore che frequentava la ragazza è sotto choc: il preside ha contattato subito alcuni psicologi per cercare di affrontare nel miglior modo possibile una vicenda devastante.

Nel mirino ora c'è Ask.fm, il social network nato nei paesi baltici e cult tra i giovanissimi inglesi, già duramente criticato dal premier Cameron per un suicidio gemello.
Ora l'inchiesta della procura di Padova, che porta la firma del pm Roberto D'Angelo, vuole verificare se esista un nesso tra quella morte e l'utilizzo del social network. Un fascicolo ancora senza indagati, con un capo d'accusa che potrebbe andare dai maltrattamenti all'istigazione al suicidio. Con la vita di una 14enne rimasta chiusa in un parco giochi dell'odio.


2. BULLISMO E ANONIMATO, TUTTI CONTRO ASK.FM
Riccardo Staglianò per ‘La Repubblica'

Nelle strade poco illuminate si rischia di più. E Ask. fm è un sito dove, volendo, si può picchiare al buio. Con le parole, che non fanno meno male. Il suicidio di Amnesia, come si faceva chiamare in rete la quattordicenne padovana, è solo l'ultimo caso. Ad agosto si era impiccata Hannah Smith, una sua coetanea inglese.

A settembre era stata trovata senza vita la dodicenne della Florida Rebecca Sedwick. «Meriti seriamente di morire» era uno dei messaggi che sconosciuti avevano postato sulla sua pagina. Perché la principale caratteristica del sito fondato in Lettonia nell'estate del 2010 è la possibilità di porre domande in forma anonima.

O, come dice un'adolescente con il dono della sintesi, è «un sito per chi vuole farsi i fatti tuoi ma non ha il coraggio di farlo a viso scoperto». Il combinato disposto di un muro bianco e una porta chiusa dà come risultato le pareti dei cessi, non propriamente un esempio di continenza verbale. Moltiplicate per 80 milioni, il numero di utenti nel mondo, e comincerete a intuire il tenore della conversazione. «Fai schifo», «ucciditi», «ammazzati» sono termini frequentissimi sulle pagine del servizio online.

Una contabilità approssimativa parla di nove adolescenti che avrebbero deciso di farla finita al termine di ripetuti pestaggi verbali su Ask. fm solo nell'ultimo anno. E sono in molti ormai a chiedere che il social venga chiuso. Il fenomeno del cyberbullismo, d'altronde, è stato metabolizzato anche dalla fiction. "Disconnect", il bel film di Henry Alex Rubin, racconta di un ragazzino che si impicca per esser stato svergognato su un social
network da due coetanei.

Lì il mezzo è la messaggistica di Facebook, ma la dinamica è la stessa. L'aggravante di Ask. fm è che la modalità di default è l'interazione anonima. Ti arriva una mail che ti avverte che qualcuno ti ha fatto una domanda. Tu rispondi pubblicamente. E tutti poi potranno commentare, senza firmarsi. L'asimmetria è evidente. Meno evidente è come difendersi. Nel senso che, ovviamente, si può non rispondere.

Però, come spiega Sameer Hinduja, co-direttore del Cyberbulling Research Center e autore del recentissimo Words Wound, le parole feriscono, la tentazione è molto forte: «Gli adolescenti hanno un costante bisogno di conferme, vogliono sapere dagli altri se stanno facendo bene o no. E qualcuno che si ferma sul tuo profilo, ti fa una domanda o lascia un commento assolve a quella funzione». La predica o la censura, sostiene Hinduja, non funzionano.

Piuttosto i genitori dovrebbero familiarizzare con queste tecnologie e parlarne apertamente. Che è anche il punto di vista del sociologo Giovanni Boccia Artieri: «Si chiede sempre: "com'è andata a scuola" e mai "com'è andata su Facebook" anche se i ragazzi ci trascorrono una quantità di ore comparabile. Bisognerebbe rendere quei luoghi digitali argomento di discussione quotidiana, anche a scuola. A quel punto i ragazzi troverebbero normale avvisare di immagini o frasi che li hanno turbati». Insomma, decostruire i social network. Piuttosto che sacralizzarli, invocando leggi speciali.

Una vignetta del New Yorker vecchia come la rete recitava: su internet nessuno sa che sei un cane. Un bene se dalla Russia critichi l'omofobia di Putin. Un male se dal calduccio della tua cameretta orchestri una campagna d'odio contro un coetaneo sensibile. Lo psicoterapeuta Luigi Cancrini è più preoccupato dal secondo scenario. Dice: «È vero che si poteva aggredire verbalmente anche prima, magari scrivendo offese sui muri, ma se un poliziotto ti vedeva con uno spray in mano interveniva.

Credo che dovrebbero farlo anche questi siti». Non è il suo mestiere suggerire «come», ma non ha dubbi sul «se». «Perché l'età della ragazza che si è tolta la vita è di grandissima vulnerabilità. E non crediate che l'istinto al suicidio affondi radici in chissà quali disturbi. Io ho almeno due amici che tentarono, per poi condurre una vita perfettamente normale.

C'è bisogno di speciale attenzione e affetto». Sulla rete come in strada. Ieri le madri temevano certi bar malfamati, ora hanno imparato il nome di Ask. fm, Kik, Voxer. Oppure Snapchat, che permette di mandare sms che si autodistruggono dopo pochi secondi. Va così bene che il ventitreenne fondatore ha di recente rifiutato un'offerta da 3 miliardi di dollari da parte di Facebook. L'anonimato rende. Ma il suo prezzo sociale potrebbe essere troppo alto.

 

 

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