strage moschea quebec

MENTRE IN USA DILAGA LA PROTESTA CONTRO TRUMP, IN CANADA UOMINI ARMATI HANNO APERTO IL FUOCO IN UNA MOSCHEA A QUEBEC CITY: SEI MORTI - LA POLIZIA HA ARRESTATO DUE PERSONE. IL PREMIER CANADESE TRUDEAU: "UN ATTACCO TERRORISTICO CONTRO I MUSULMANI"

Da repubblica.it

 

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Sei persone sono state uccise e altre otto sono rimaste ferite in una moschea di Quebec City quando alcuni uomini hanno aperto il fuoco su decine di fedeli riuniti per la preghiera della sera. Un'azione che il primo ministro canadese Justin Trudeau ha definito "un attacco terroristico contro i musulmani". La polizia, che indaga per terrorismo, ha reso noto che due persone sono state arrestate e che nulla porta a ritenere che ve ne siano altre in fuga.

 

L'attacco è avvenuto intorno alle 20 ora locale, nella sezione maschile della moschea, mentre una cinquantina di persone era raccolta nel luogo di culto. Un testimone ha riferito a Radio Canada di aver visto due uomini coperti da maschera nera e che uno aveva un "marcato accento del Quebec".

 

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"Perché sta accadendo qui? È una barbarie", si è chiesto il presidente del centro culturale islamico, Mohamed Yangui, che al momento dell'attacco non era nella moschea. Yagui ha quindi precisato che è stata attaccata la sezione maschile della moschea e che sono stati uccisi cinque uomini, ma ha anche detto di temere che tra le vittime vi siano dei bambini. Dai racconti di chi era presente, ha aggiunto, all'interno del centro durante l'attacco c'erano tra le 60 e le 100 persone.

 

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Nel giugno scorso, durante il ramadan, davanti all'ingresso del luogo di culto situato in via Sainte-Foy era stata lasciata una testa di maiale. Negli ultimi anni in Quebec gli episodi di islamofobia si sono moltiplicati, intrecciandosi al dibattito politico sul bando al niqab. Nel 2013 una moschea della regione di Sagueneay era stata imbrattata con sangue di maiale. Nella vicina provincia dell'Ontaria, il giorno dopo gli attentati di Parigi era stato dato alle fiamme un altro centro di preghiera islamico.

 

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"Stasera i canadesi piangono le persone uccise in un vile attacco a una moschea di Quebec City. Il mio pensiero va alle vittime e ai loro familiari", ha commentato su Twitter Trudeau.

Il primo ministro canadese ha poi diffuso un comunicato in cui ha condannato "questo attentato terroristico contro musulmani che erano in un luogo di culto e rifugio".

 

Nel manifestare il proprio cordoglio, il capo del governo del Quebec, Philippe Couillard, ha sottolineato che il suo esecutivo è "mobilitato per garantire la sicurezza della popolazione" e ha annunciato manifestazioni di solidarietà in tutta la provincia.

 

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L'attacco di Quebec City ha avuto eco immediata a New York, dove è stata rafforzata la sorveglianza alle moschee e ad altri luoghi di culto. "La polizia garantisce ulteriore protezione alle moschee della città. Tutti i newyorkesi siano vigili. Se vedono qualcosa, lo dicano", ha twittato il sindaco Bill de Blasio.

 

2 - I GIUDICI CONTRO TRUMP

Anna Lombardi per la Repubblica

 

Law&Order sembrano non abitare più qui. L’America è nel caos, un Paese più diviso che mai. E ora cerca di districarsi dal pasticciaccio provocato dall’ordine esecutivo firmato venerdì sera da Donald Trump, che ha sbarrato le porte ai rifugiati e ai cittadini di sette grandi Paesi musulmani, attraverso ricorsi e sentenze di giudici locali.

 

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Il primo schiaffo al nuovo capo della Casa Bianca è arrivato già sabato sera: con la decisione del giudice federale di Brooklyn Ann Donnelly, che ha ordinato alle autorità di non procedere alle “deportazioni” dei cittadini con i documenti in regola provenienti dai Paesi mediorientali e africani banditi.

 

Sentenze simili sono stata emesse in tutta l’America, mentre 15 procuratori di 16 Stati hanno definito il bando «illegale e antiamericano » auspicandone il ritiro. E mentre già i repubblicani fanno marcia indietro, dicendo che è stato seguito un po’ troppo alla lettera e che no, ai possessori di carta verde non va applicato, anche il ministero dell’Interno sembra essere andato in tilt. «Gli ordini esecutivi della Casa Bianca restano in vigore – fa sapere l’Homeland Security – Ma rispettiamo le decisioni giudiziarie ». Insomma chi riesce a salire su un aereo e ad arrivare su suolo americano, in teoria può entrare: ma gli agenti di frontiera possono agire a loro discrezione trattenendo qualunque sospetto.

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Il braccio di ferro prosegue anche fuori. Come sabato sera: quando per riaprire la fermata di metropolitana che porta a Jfk per frenare il flusso della protesta, si è mosso addirittura il governatore Andrew Cuomo: ordinandone l’immediata riapertura. Donald Trump, però non molla: «Il nostro Paese ha bisogno di confini forti e di controlli rigidi. Guardate quello che sta succedendo in Europa e nel mondo. Un caos orribile» scrive su Twitter.

 

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Ma intanto, anche grazie al tam tam dei social, in tutta l’America cresce la protesta: ieri ci sono state altre manifestazioni davanti agli aeroporti di 30 città, comprese Philadelphia, Atlanta, Los Angeles, Seattle, Chicago e Boston. Migliaia di persone hanno assediato la Casa Bianca al grido di “Ban Trump”, bandite Trump. A New York una grande marcia è partita da Battery Park: e anche i tassisti e i guidatori di Uber danno un contributo, non accettando corse da persone in partenza o in arrivo da Jfk.

 

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Nonostante tutto, il capo dello staff della Casa Bianca Reince Priebus sostiene che «non c’è alcun caos: su 325 mila viaggiatori entrati nel weekend negli Usa, solo 108 sono stati fermati». Ma la maggioranza del partito è contrariata. All’interno del Gop, solo in 12 hanno mostrato di sostenere il bando. Davanti a tanto caos, la maggioranza ha scelto di tacere.

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