
L’ULTIMA VERITA’ SU BOLOGNA - LA CASSAZIONE HA CONFERMATO L’ERGASTOLO PER PAOLO BELLINI, EX AVANGUARDIA NAZIONALE, IN QUANTO ESECUTORE MATERIALE IN CONCORSO DELLA STRAGE ALLA STAZIONE DI BOLOGNA DEL 2 AGOSTO 1980, IN CUI MORIRONO 85 PERSONE E OLTRE 200 RIMASERO FERITE - NEOFASCISTA, INFORMATORE, LATITANTE, INFILTRATO, KILLER, I MILLE VOLTI DI PAOLO BELLINI, CANE SCIOLTO DELLA DESTRA EVERSIVA, DALLA LATITANZA FINO AI RAPPORTI CON LA P2 E COSA NOSTRA…
La Cassazione ha confermato l’ergastolo per Paolo Bellini in quanto esecutore materiale in concorso della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, in cui morirono 85 persone e oltre 200 rimasero ferite.
Le sentenze di primo e secondo grado risalgono al 6 aprile 2022 e all’8 luglio 2024.
CHI E’ PAOLO BELLINI
Lirio Abbate per la Repubblica - Estratti
Si muove nel buio, Paolo Bellini. Sempre l’ombra prima del boato. Sempre un passo indietro, mai fuori campo. Un mimetismo di mestiere e destino. La sua vita è un itinerario di menzogne raffinate, doppie fedeltà, alleanze sporche. L’uomo dai mille travestimenti: neofascista, informatore, latitante, infiltrato, killer. La sua parabola è una linea spezzata che attraversa mezzo secolo di misteri italiani, dalla stazione di Bologna alle stragi di mafia del 1993.
Bellini, nato a Reggio Emilia nel 1953, 72 anni, ex Avanguardia Nazionale, è stato condannato all’ergastolo in primo e secondo grado per la strage del 2 agosto 1980, ora la conferma in Cassazione.
L'accusa: partecipazione all'eccidio più sanguinoso della storia repubblicana. Il suo nome affiora tardi, in un’indagine riaperta dalla procura generale di Bologna. Un vecchio filmino amatoriale lo inquadra, baffi e giacca chiara, tra le macerie ancora fumanti. Per gli esperti di antropometria è lui. Per l’ex moglie, Maurizia Bonini, è senza dubbio lui. Un riconoscimento che pesa, perché lei fino ad allora aveva taciuto. E perché nel dire la verità ha spezzato un legame e ha rischiato la vita.
Dalle intercettazioni recenti emerge un Bellini ancora velenoso. Un uomo che progetta vendette. La donna che ha testimoniato contro di lui va eliminata. E non basta. Va punito anche il giudice Francesco Caruso, colpevole d’averlo condannato. Così si muove, nella notte delle sue ossessioni, e punta al figlio del magistrato, in un disegno trasversale che sa di mafia. Il vecchio eversore con i capelli brizzolati non si è mai fermato davvero. Neanche ora.
Ma chi è davvero Paolo Bellini? Un cane sciolto della destra eversiva, ma al guinzaglio di molti padroni. Criminale spregiudicato, ha attraversato indenne l’universo torbido di terrorismo, mafia e servizi. C’era quando serviva un killer. C’era quando si trattava di depistare. C’era quando serviva un infiltrato in Cosa nostra. Negli anni Novanta, raccontano le carte della procura di Firenze, si insinuò nella strategia stragista della mafia corleonese. Fu lui, secondo Giovanni Brusca, a suggerire l’idea delle bombe contro il patrimonio artistico. Gli Uffizi, via dei Georgofili, Milano, Roma. Bellini ha sempre raccontato un'altra storia. Dice d’aver agito per sdegno, dopo la strage di Capaci. Dice d’essersi infiltrato per patriottismo, per ordine di una fantomatica struttura segreta chiamata “gli amici di Piccoli”, dove sedevano - sostiene lui - Cossiga, Scalfaro, Ugo Sisti. Ma le Procure non gli credono. Lo definiscono “inverosimile”. Tutto quel che dice è sfocato, manipolato. Forse è il suo mestiere: confondere, mischiare, sabotare la verità.
(…) I giudici di Firenze hanno archiviato la sua posizione per le stragi del 1993 scrivendo che non vi sarebbero prove del suo legame con la destra eversiva, nonostante nei verbali di Bellini – da collaboratore di giustizia - lui ammette di essere stato in Avanguardia nazionale fin dagli anni Settanta.
I contatti con i Servizi segreti militari, però, ci sono stati davvero. Nomi, telefonate, incontri. Il più noto con Giovanni Ciliberti, Sismi di Bologna. Rapporti mai chiariti, a tratti inquietanti. Come il biglietto con i nomi dei mafiosi da liberare, ricevuto da Antonino Gioè e consegnato ai carabinieri. Un pizzino che passa da Bellini e finisce nelle mani del generale Mario Mori. Nessuno lo sequestra. Nessuno lo denuncia. Nessuno indaga.
Il “pizzino”, come confermerà lo stesso Mori ai magistrati, lo ha distrutto senza nemmeno avvisare i pm del suo contenuto. Eppure, lì dentro c’era il cuore di un mercanteggiamento: opere d’arte in cambio di scarcerazioni. Una moneta di scambio tra Stato e Cosa nostra. C’era il modo, come sostengono i magistrati, di poter evitare alcune stragi del 1993, e per questo Mori oggi è indagato nell’ambito dell’inchiesta fiorentina sulle bombe mafiose.
C'è sempre Bellini, insomma, dove la Repubblica mostra le sue crepe. Quando i Nar colpiscono, quando la P2 finanzia, quando le bombe strappano il tessuto democratico. E poi scompare. Latita, cambia nome, vive con documenti falsi, diventa Roberto da Silva. Racconta di aver aiutato lo Stato. Ma ha sempre aiutato solo sé stesso.
È tornato a Bologna da imputato, trent’anni dopo i suoi camerati. I giudici l’hanno riconosciuto colpevole, per i suoi spostamenti, per l’alibi fasullo, per quel frame sgranato che lo inchioda tra i binari insanguinati. È tornato anche a Firenze e a Caltanissetta, nei fascicoli sulle stragi mafiose. Il suo nome torna, persistente, a incrostare gli angoli bui della nostra storia.
(..)
Paolo Bellini è stato, ed è ancora, una scheggia impazzita di un paese mai completamente guarito dai suoi fantasmi. È il volto invecchiato di un’Italia che ha barattato giustizia con potere, segreti con sangue, verità con silenzi. E che oggi, con le intercettazioni e i processi, prova almeno a non dimenticare.