LE MANI DEL GOVERNO SULLA LIRICA – CON IL CODICE UNICO DELLO SPETTACOLO, VOLUTO DAL SOTTOSEGRETARIO MAZZI E CHE DOVRÀ ESSERE APPROVATO ENTRO IL 2026 VIA ALLA RIVOLUZIONE IN 12 DELLE 14 FONDAZIONI (SCALA E ACCADEMIA DI SANTA CECILIA MANTENGONO LE LORO AUTONOMIE). VIENE DEPOTENZIATA LA FIGURA DEL SINDACO, CHE FINORA È PRESIDENTE DI UN TEATRO, AUMENTA IL PESO DEL MINISTERO NELLE NOMINE - SE C’È UN DISAVANZO I TEATRI RISCHIANO LA CHIUSURA TEMPORANEA – VISTO CHE C’È L’IDEA CHE LO STATO FINANZI LA LIRICA, VIENE IMPOSTA UNA LOGICA NAZIONALISTA E DOVRANNO ESSERE VALORIZZATE “LE GRANDI OPERE DELLA TRADIZIONE ITALIANA”
Valerio Cappelli per il Corriere della Sera - Estratti
Lo chiamano Codice unico dello spettacolo.
La parte preponderante riguarda i teatri d’opera che verranno ridenominati Gran teatri d’opera, non più Fondazioni Liriche. È la riforma del Sistema lirica: in realtà è una rivoluzione.
Con la delega del ministro della Cultura Alessandro Giuli, il sottosegretario Gianmarco Mazzi (viene dalla musica pop, i concerti all’Arena di Verona, Sanremo) ha appena illustrato a sindaci e Regioni il suo progetto;
tra due mesi verrà perfezionato nei ministeri della Cultura e dell’Economia, quindi andrà al Consiglio dei ministri e alle due commissioni Cultura di Camera e Senato per diventare legge entro il 31 dicembre 2026. Una riforma destinata a provocare cambiamenti strutturali, drastici in 12 delle 14 Fondazioni (Scala e Accademia di Santa Cecilia mantengono le loro autonomie).
I teatri lirici (che assorbono 200 dei 420 milioni del Fus, il fondo statale) dovranno coordinare la loro attività «per la valorizzazione delle grandi opere della tradizione italiana», secondo una logica nazional-popolare. Si aggiunge «la riscoperta di nuove opere dei compositori di quella straordinaria epopea» (è scritto proprio così), e non si capisce se si riferiscano a improbabili inediti di Rossini, Donizetti, Verdi e via dicendo.
Il Consiglio Il capitolo delle nomine è centrale. Viene depotenziata la figura del sindaco, che finora è presidente di un teatro ed è il tramite degli interessi dei propri cittadini. Nel Consiglio di indirizzo (Cdu) non avrà più la prerogativa di nominare un suo rappresentante. Il sindaco perde un suo consigliere rispetto a com’è adesso, aumentando il peso del ministero. Nel caso in cui rinunci alla presidenza, subentra il rappresentante del ministero, che avrà due componenti nel Consiglio.
Assunzioni Sorgono nuove figure in organico, con relative assunzioni. I direttori artistici (che dovranno assumere un collaboratore con meno di 35 anni) diventano obbligatori, in più c’è l’obbligatorietà del direttore marketing. Chi ha contribuito a redigere il testo ci dice che si è perseguita la volontà di una sorta di corso di formazione per, appunto, la classe dirigenziale del futuro, adepti vicino a chi ha le leve del comando, che vuole appunto formare la classe dirigente di domani.
Biglietti I teatri lirici dovranno coordinarsi tra di loro e fare economia di scala garantendo, tra l’altro, «l’incremento dei biglietti venduti attraverso attività di comunicazione e marketing ». Il ministero della Cultura, al verificarsi di determinate situazioni, può inquadrare (ovvero declassare) un Gran teatro a teatro d’opera, che è una nuova categoria nata ora e che nessuno capisce cosa sarà.
Per i contributi statali rimangono più o meno i parametri attuali, ma non sono specificate le percentuali.
In caso di disavanzo, è confermato che i teatri dovranno ridurre l’attività, anche con chiusure temporanee e la trasformazione provvisoria del rapporto di lavoro del personale, da tempo pieno a parziale, per assicurare l’equilibrio economico nell’esercizio successivo.
Le finanze Nel Codice dello spettacolo c’è l’idea che lo Stato finanzia la lirica e dunque «si fa come dico io». È la «narrazione» imposta in tutti i settori di cultura e spettacolo, secondo una logica nazionalista e autarchica. Per i Gran teatri d’opera, via le sperimentazioni, avanti con la tradizione, secondo una logica di appartenenza, più che di visione di uno dei settori più strategici della cultura italiana. All’opera, dicono dai teatri, il rischio è che ci sarà una regia unica: quella del potere.
GIORGIA MELONI - FOTO LAPRESSE
Mancano parametri culturali analoghi a quelli delle città estere che contano musicalmente. Mazzi, che prepara la riforma, ha detto: «L’opera nasce popolare, in una società pre-elettrica, l’orchestra doveva dare il suono, oggi lo fanno le basi, poi è nata l’elettricità e sono nate altre forme di canto.
Ho suggerito di lavorare sulla durata che può essere un ostacolo per i giovani, che sono veloci, quando un’opera dura oltre 3 ore diventa eccessivo, per esempio i Pagliacci possono essere dati senza Cavalleria, e favorire l’avvicinamento dei giovani». Si aspettano tante Traviate convenzionali. Si innalzeranno calici su siparietti dipinti. Così com’è formulato il testo, c’è poco da brindare.




