vanessa marzullo

DUE MESI DOPO LA LIBERAZIONE, INVECE DI STAR TRANQUILLA CON LA BOCCA CHIUSA, RICICCIA UNA INCICCIONITA VANESSA MARZULLO, UNA DELLE DUE VOLONTARIE RAPITE IN SIRIA: “NON MI VERGOGNO DI NIENTE. NON HO NESSUN ALTRO SENSO DI COLPA

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Paolo Berizzi per “la Repubblica”

 

Un tavolo, due lattine di tè alla pesca. «Con il cibo va ancora un po’ così, a volte faccio fatica. Anche a dormire. Mi sveglio di soprassalto». Al polso di Vanessa Marzullo c’è un braccialetto di gomma con la bandiera della Siria. Nessun altro orpello a parte una collanina da ventenne (l’età di Greta Ramelli, lei ha un anno in più). Maglia chiara, sciarpa, capelli sciolti, niente trucco. L’appuntamento è all’ora di pranzo nella trattoria del padre Salvatore, a Verdello, 13 chilometri da Bergamo.

 

«Greta l’ho appena sentita, ci vediamo sempre. Questa storia ci ha unite ancora di più e, allo stesso tempo, ci ha fatto diventare un po’ diffidenti verso le persone». Sono passati oltre due mesi dalla liberazione di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo. Era il 15 gennaio. Da allora le due volontarie rapite il 31 luglio 2014 ad Aleppo dagli jihadisti del Fronte al Nusra (ma le indagini non hanno ancora fatto piena luce sulla vicenda) non hanno mai parlato. Protette dalle famiglie dopo tutte le polemiche, le critiche, i veleni, le ricostruzioni vere, verosimili o presunte. Adesso Vanessa rompe il silenzio.

VANESSA MARZULLO VANESSA MARZULLO

 

Come sta?

«Meglio. Va a giorni, anzi a momenti. Sono appena rientrata dopo dieci giorni in Calabria con mio padre e mio fratello Mario (Vanessa vive con la madre Patrizia Virga, ndr). Ci vuole tempo per tutto e sai che certe cose non puoi dimenticarle. Però lentamente provi a tornare alla normalità. Un concetto relativo se penso a tutto quello che è successo prima, durante, dopo. Anche dopo la liberazione».

 

Sono trascorsi 68 giorni. Sempre state in silenzio, lontane dai riflettori. Perché?

«Era giusto così. Ne avevamo bisogno noi e chi ci è stato e ci sta vicino. In questi due mesi è come se mi fossi riparata dentro un guscio: da una parte è stato istinto di autoprotezione. Dall’altra anche un po’ di vergogna».

 

Per cosa?

VANESSA MARZULLO A CASAVANESSA MARZULLO A CASA

«Vergogna non come la intendono tutti quelli che ci hanno buttato addosso palate di fango, gratuito e stupido. L’effetto di quel fango sta passando. Te lo togli via perché sai che è fango strumentale, nato più che altro da beghe politiche. La vergogna che intendo è un’altra. È andare in giro e vedere che uno ti guarda in faccia con l’aria di chi pensa: “Eccola, adesso è qua. Beata e tranquilla. Ma se non c’era lo Stato che pagava... Se non c’eravamo noi cittadini che pagavamo...”. È una sensazione difficile da spiegare».

 

Ci provi.

«Non ho nessun altro senso di colpa se non quello di avere fatto preoccupare le persone che mi vogliono bene e, ovviamente, anche l’Italia. Abbiamo ringraziato lo Stato, senza il cui intervento non sarei qui in questo momento. Non smetterò mai di essere grata a chi si è adoperato per farci liberare. Greta e io forse siamo state imprudenti. Solo per inesperienza. Ma su questo poi vorrei anche spiegare».

 

VANESSA MARZULLOVANESSA MARZULLO

Prego.

«Siamo andate in Siria da volontarie con il progetto per il quale abbiamo lavorato per quasi tre anni: “Assistenza sanitaria in Siria”. È dal 2012 che aiutiamo il popolo siriano massacrato da una dittatura tremenda di fronte alla quale il mondo ha fatto e fa ancora finta di niente. A chi ci ha detto che dovevamo andare in Siria con l’Onu dico: ma di cosa stiamo parlando? Sono giovane, non ho niente da insegnare a nessuno. Ma mica vai con l’Onu a portare aiuti. Non funziona così».

 

Come è funzionato, nel vostro caso?

«Sia io che Greta siamo iscritte alla Croce Rossa. Tutte e due volontarie dell’Organizzazione Internazionale di Soccorso. Sulla Siria diffondiamo notizie tramite blog e social network, organizziamo eventi. Abbiamo portato avanti iniziative in Italia: a Bergamo, Milano, Varese (la città di Greta che abita a Besozzo, ndr) . Poi, con questo progetto, abbiamo iniziato a portare aiuti direttamente là, in Siria».

 

Che tipo di aiuti?

VANESSA MARZULLO   VANESSA MARZULLO

«Medicine, cibo, vestiti. Quello che può servire a un popolo oppresso, sottoposto a massacri atroci che coinvolgono anche bambini. Abbiamo portato centinaia di chili di latte in polvere. Io studio Mediazione linguistica e culturale, Greta Scienze infermieristiche. L’esperienza in Croce Rossa e in Sos Siria ci ha portate a offrire assistenza umanitaria. Non era il primo viaggio in Siria e non sarà l’ultimo. Continuiamo a spenderci in questa causa nobile. Appena potremo, non so ancora quando, se ci sarà ancora bisogno, e purtroppo è così, in Siria potremmo anche tornarci».

 

Qualcuno ha detto che vi siete esposte a rischi perché eravate in contatto coi guerriglieri islamisti anti Assad. È vero?

«Assolutamente no. Da quando siamo partite abbiamo avuto contatti solo con la popolazione civile, con le vittime della guerra. Il nostro aiuto era per i civili, e basta».

 

Secondo un’informativa dei carabinieri del Ros sareste partite anche con l’intenzione di distribuire “kit” di salvataggio ai combattenti. Dei quali poi sareste rimaste vittime.

VANESSA MARZULLO 1VANESSA MARZULLO 1

«Abbiamo sentito e letto veleni di ogni tipo. Affermazioni fantasiose e offensive. Che avevamo storie coi guerriglieri. Che eravamo in Siria per aiutarli. Ci mancava solo dicessero che combattevamo anche noi. Evidentemente c’è qualcuno al quale il volontariato dà fastidio. Se lo fanno due ragazze giovani, ancora peggio. In quelle terre c’è di tutto: banditi, ricattatori, gente senza scrupoli. Ci hanno rapite come purtroppo hanno fatto con altre persone».

 

Cinque mesi nelle mani dei rapitori.

«È stato difficile. Ma siamo state trattate bene. Mai subito abusi né violenze. Né ricevuto direttamente minacce di morte. Siamo state fortunate. Credo ci sia molta differenza tra come vengono trattati gli uomini e le donne».

 

Chi erano i vostri rapitori? Che cosa sapete del riscatto?

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«Del riscatto, niente. E quello che c’era da dire sul sequestro lo abbiamo detto ai magistrati appena rientrate in Italia».

 

Vi hanno dipinte in ogni modo: “dementi”, “vispe terese”, “paghino loro”, “figlie di papà”, “perditempo”. Odiose allusioni sessuali comprese.

«Chi ha lavorato con noi in questi anni sa quello che abbiamo fatto e come lo abbiamo fatto. Quanto ci siamo spese per la Siria. Gli insulti passano. Il fango e le cattiverie me le sono tolte di dosso. Ho ripreso gli studi, aiuto i bambini a fare i compiti, do una mano in trattoria. E continuo a darmi da fare per il popolo siriano».

 

Vanessa porge l’invito alla mostra Siriani in transito, un progetto fotografico di informazione e denuncia per diffondere le storie dei siriani che fuggono in Europa (fino al 29 marzo negli spazi del Mutuo Soccorso, a Bergamo).

 

Quando è nata questa sua attenzione per la Siria?

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«Alle elementari avevo un compagno di classe figlio di siriani. Alle superiori (a Brembate, ndr) lo ritrovo su Fb: il suo nome e un post sulla Siria. Una storia pazzesca, atroce. Lì ho capito che non potevo restare con le mani in mano. Ho iniziato a documentarmi. Poi è venuto tutto il resto, l’associazione, il progetto, le manifestazioni. L’incontro con Greta».

 

Ora esce da qui e va in paese. Proverà ancora vergogna?

«Spero di no. Non mi andava più che la gente pensasse: che fine hanno fatto quelle due? Sono sparite eh?! Si vergognano eh?! Se per vergogna si intende imbarazzo per quello che abbiamo fatto, io non mi vergogno di niente. Anzi, ne vado fiera».

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2 - SIRIA: FAMILIARI DI VANESSA, A REPUBBLICA NESSUNA INTERVISTA

 (ANSA) - "Vanessa non ha fatto nessuna intervista, anzi è stata proprio rifiutata a quel giornalista che poi ha pubblicato l'articolo, quindi ciò che è stato scritto o detto non è affatto vero. Smentiamo tutto". Sono le parole riportate su Facebook da Mario Marzullo, fratello di Vanessa, la cooperante rapita in Siria l'anno scorso e rilasciata dopo tre mesi di prigionia. Aggiunge il fratello della giovane nel post: "Il giornalista è la categoria dei lavoratori più vile e infame che ci sia". Il riferimento è a un'intervista pubblicata oggi su La Repubblica, realizzata da Paolo Berizzi.

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"Come Vanessa sa bene - replica Berizzi a stretto giro - ho pubblicato quanto lei mi ha detto sabato scorso nel corso dell'intervista avvenuta nella trattoria del padre. Forse per suo padre e suo fratello il problema è l'intervista esclusiva concordata con un'altra testata?". Anche Salvatore Marzullo, padre della ragazza, contattato al telefono, smentisce che la figlia abbia rilasciato l'intervista, "frutto invece di una ricostruzione degli eventi degli ultimi mesi", confermando che il giornalista è stato nel suo ristorante "parlando solo con me ma senza intervistare Vanessa".

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