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IMPEPATA DI NOZZE - NEGLI USA CADE L’ULTIMO TABÙ DEI FANATICI RELIGIOSI: E’ BOOM DI MATRIMONI MISTI, SOPRATTUTTO TRA GLI UNDER 30, TRA PERSONE DI CREDO DIVERSO - MA QUANDO NASCONO I FIGLI VENGONO FUORI I PROBLEMI

Vittorio Zucconi per “la Repubblica

 

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C’È un altro muro che sta cadendo, almeno in America, ma non tra ideologie, tra fedi religiose. Cade sotto la forza irresistibile dell’amore umano che spinge sempre più coppie a sposarsi ignorando le diverse appartenenze religiose di coniugi e famiglie e scavalcando generazioni di rancori e paure.

 

Non ci sono mai stati tanti matrimoni “misti”, fra ebrei e cristiani, fra cristiani di diversa confessione, fra atei e credenti, fra musulmani e cristiani, come in questi primi lustri del Terzo Millennio e quel muraglione che ancora cinquant’anni or sono pareva invalicabile oggi è un muretto oltrepassato da uomini e donne che scoprono di poter vivere insieme, avere figli, costruire famiglie sotto il segno di fedi diverse.

 

«Nessuno di noi due ha rinunciato alla propria devozione e alla propria pratica religiosa — spiegano Jean, ebrea, e Brian, cattolico, al Christian Science Monitor che ha condotto l’inchiesta sui matrimoni interreligiosi — semplicemente percorriamo sentieri diversi per scalare la stessa montagna».

 

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Naturalmente sono soprattutto i giovani sotto i 30 anni, l’età nella quale si allenta l’influenza delle pratiche religiose assimilate, o imposte, nella famiglia d’origine, a essere favorevoli a matrimoni misti, addirittura all’80 per cento degli interpellati dagli istituti di ricerca.

 

«Nessuno chiede alla compagna di Università o al collega di lavoro con il quale si vorrebbe uscire di dichiarare subito la propria religione come fossimo sceriffi che chiedono la patente a un automobilista fermato», testimoniano questi giovani. E quando il date, l’incontro di una stagione, diventa, o crede di diventare, amore e la conoscenza reciproca si approfondisce, è troppo tardi per permettere a un libro sacro, a un catechismo, a un sermone, a un rabbino, a un sacerdote, a un pastore, di alzare il muro fra di loro.

 

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La proporzione di matrimoni fra persone di diversa confessione è oggi del 40%, il doppio di quanti erano nell’ultima decade del XX secolo e le spettacolo di cerimonie nella quale il rabbino recita la “Shema”, la preghiera fondamentale dell’ebraismo e il sacerdote la preghiera del Signore, il “Padre Nostro”, è non soltanto sempre più frequente, ma sempre più accettato anche da chi lo avrebbe considerato come un’abiura. La Conferenza Episcopale Americana tende a resistere, ma la resistenza è sempre più simbolica, spesso contenta di accettare la promessa di allevare i figli nel nome del Cristo di Nazareth.

 

Naturalmente sono i figli, se e quando arrivano, a portare nelle famiglie multireligiose i segni e le tensioni delle possibili contraddizioni. Nei gruppi di sostegno per queste famiglie, che stanno spuntando ovunque nelle grandi città, i bambini sono esposti alla predicazione e all’educazione nelle diverse confessioni. I genitori li portano, non sappiamo con quanto entusiasmo loro, da sinagoghe a chiese, da moschee a cattedrali, per sottolineare i molti punti di contatto fra le grandi religioni monoteiste e sorvolare sull’esclusività del «non avrai altro Dio».

 

Nel suo saggio dall’ovvio titolo polemico “Finché fede non ci divida”, la reverenda Julia Jarvis, già cappellana presso l’Università di Georgetown, retta dai Gesuiti, respinge l’argomento classico della diversità religiosa che divide, per sostenere che al contrario praticare fedi diverse in casa costruisce un clima di reciproca tolleranza che aiuterà anche i figli a crescere più liberi.

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Nella cerimonie settimanali che lei, vescovo Episcopale, e il rabbino Harold White guidano a Washington per coppie interreligiose, i convenuti recitano: «Alcuni di noi sono figli di Israele. Alcuni di noi sono qui nel nome di Gesù di Nazareth. Tutti siamo qui come figli dello stesso Dio».

 

Sono soprattutto ebrei e cristiani i coniugi di diverse confessioni a intraprendere il viaggio di coppia parallelo su quella montagna di diffidenze, ostilità generazionali, paure che hanno attanagliato i propri vecchi, quando l’appartenenza religiosa, nel calderone del Nuovo Mondo, era un rifugio per la propria identità, prima che essere una fede. Le resistenze maggiori, laddove il muro resta più alto e solido, è fra hindu e musulmani, spesso gli immigrati più recenti e portatori dell’odio che divideva, in patria, indiani da pakistani, o ebrei da arabi, ma anche in questa diga ci sono brecce sempre più ampie.

 

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Ci sono perché, nonostante la ripetizione automatica delle litanie religiose, e la presa che il fondamentalismo, compreso quello cristiano, ancora esercita soprattutto negli Stati del Sud, la macchina della laicizzazione consuma le generazioni e rende le appartenenze religiose molto elastiche e pragmatiche. Un terzo degli americani, soprattutto fra i cristiani delle varie confessioni protestanti, abbandona, cambia, riprende le propria appartenenze o si converte, per accontentare il compagno o la futura moglie.

 

«Non ci sono ragioni per le quali l’amore umano non possa convivere nelle diverse forme di espressione dell’amore divino» spiegano al centro interconfessionale di Chicago, uno dei più grandi d’America. E se l’affermazione appare bella, è nei momenti come il mese di dicembre che, nel frullato di feste religiose, cerimonie, celebrazioni, viene messo a dura prova, soprattutto per i bambini, il dualismo religioso. Soltanto la fede nel consumismo e nelle strenne potrà ricongiungere ciò che le religioni potrebbero incrinare.

 

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