LO STATO MANDA L’ESERCITO A GIOIA TAURO SOLO PER L’ARRIVO DELLE ARMI CHIMICHE DI ASSAD: MA NEL PORTO OGNI GIORNO LE ‘NDRINE SMERCIANO DROGA, ARMI, SCORIE E RIFIUTI TOSSICI

Enrico Fierro per "il Fatto quotidiano"

Arrivano i militari a Gioia Tauro. Saranno almeno seicento. A dare la notizia in anteprima è il sindaco di San Ferdinando Mimmo Madafferi. Quando tra una settimana la nave con le armi chimiche di Assad attraccherà alle banchine, il porto sarà zona di guerra, blindato, inaccessibile. E arriva anche la politica per recitare la sua parte. Ci sono i pasdaran berlusconiani Maurizio Gasparri e Jole Santelli, decine di auto blu e uomini di scorta. Le telecamere di Reggio Tv insieme a quelle di un network di televisioni cinesi.

Non c'è la gente. Nessuno protesta. Solo giornalisti annoiati. "Il governo - tuona Gasparri, fino a pochi mesi fa sponsor del governatore Peppe Scopelliti e della peggiore classe politica mai partorita dagli elettori calabresi - non può ricordarsi del porto di Gioia Tauro solo in queste occasioni. Serve una politica di rilancio". Nessuno applaude. Il sindaco Madafferi ride amaro. "Sono troppo vecchio e le promesse della politica le ricordo tutte".

Gioia è il porto degli eterni inganni. Prima pietra il 25 aprile del 1975, la pose Giulio Andreotti, allora ministro della Cassa per il Mezzogiorno. Erano gli effetti del "pacchetto Colombo" , il risarcimento che lo Stato italiano destinava alla Calabria dopo la rivolta di Reggio. C'erano sindaci e preti, arcivescovi e prefetti. E boss di mafia. Dicono che don Peppe Piromalli, il fondatore della ‘ndrangheta imprenditrice, fosse presente al rinfresco e che brindò. Era l'unico calabrese felice.

Mille miliardi spesi, vent'anni di lavori che hanno devastato la Piana per sempre. Settecento ettari di agrumeti abbattuti, 200 di uliveti distrutti. Un intero paese, Eranova, raso al suolo. Settanta milioni metri cubi di terra e materiali inerti estratti dalle cave. Il primo, vero bingo della ‘ndrangheta. Sono dovuti passare vent'anni perché il porto vedesse arrivare la prima nave. "Concorde", si chiamava, ed è passata alla storia. Quanti inganni. Lo Stato doveva costruire qui il Quinto centro siderurgico italiano.

Ottomila posti di lavoro, 1.300 miliardi di investimenti. Mai realizzato. Come la Liquichimica di Saline Jonica, altro risarcimento per i calabresi: 360 miliardi investiti per 7300 occupati. Un fallimento. Il porto ha ingrassato solo la mafia. "La Piana è nostra. Il Porto lo abbiamo fatto noi, fagli capire che in Calabria ha bisogno di noi". Parlava così pochi anni fa un rampollo delle famiglie Piromalli-Molé. Mentre Andreotti poneva quella prima pietra nel 1975, don Peppe Piromalli capì che la ‘ndrangheta non poteva accontentarsi di qualche mazzetta.

Quelli erano spiccioli, bisognava trasformarsi in imprenditori. E così fu. I Piromalli imposero l'ordine nella Piana. Nessun attentato estorsivo a Gioia Tauro in quell'anno. Nel 1974, invece, la dinamite era esplosa 150 volte per sistemare negozianti riottosi al pizzo e nemici scalpitanti. Per i magistrati la mafia diventa imprenditrice, "attraverso un complesso sistema di patti strategici con settori dell'imprenditoria italiana". Grazie al business del Porto, scrive la Commissione antimafia nel 2008, "i Piromalli, i Molé, i Pesce, i Bellocco, gli Alvaro hanno fatto il salto di qualità internazionale".

Insomma, sono diventati boss di primo livello mondiale, rispettati da tutti. Fantasie? No, perché ci sono inchieste giudiziarie e sentenze. No, perché la presenza ossessiva della ‘ndrangheta sul Porto ha allarmato finanche Obama e gli States. In un file pubblicato da Wikileaks si legge che "una delle più grandi preoccupazioni dell'America di Obama è il traffico di materiale nucleare clandestino utilizzabile dai terroristi, che potrebbe essere movimentato attraverso porti come Gioia Tauro, descritto come una falla nel sistema dei controlli doganali europei". Perché sulle banchine di Gioia è passato e passa di tutto. Droga, armi e rifiuti tossici.

Secondo gli specialisti dell'antidroga, l'80% della cocaina prodotta in Colombia e destinata ai mercati europei passa da qui. Ne sequestrano percentuali minime. Come le armi. L'ultima, allarmante scoperta è del luglio 2010, quando in un container vennero trovati quantitativi di cobalto-60 proveniente dall'Iran. Sette tonnellate di esplosivo "T4" vennero sequestrate in un container che trasportava ufficialmente latte in polvere.

Nell'aprile del 2004 su una nave carica di tubolari, invece, fu rinvenuto un vero e proprio arsenale: 70 kalashnikov, plastico, rampe per missili, casematte in cemento armato. Anche sul traffico di rifiuti speciali, i boss della ‘ndrangheta che controllano il porto, non sono secondi a nessuno. Sei anni fa i carabinieri del Noe scoprirono tonnellate di scarti di plastica di aziende italiane destinate a Hong Kong.

Materiale tossico che sarebbe ritornato in Italia sotto forma di giocattoli. "Droga, armi, rifiuti, certo che ne sequestriamo, ma si tratta sempre di piccole quantità. Diciamo il 10-15% di quello che passa da qui. Del resto come si fa a controllare 2 milioni e 200 mila container?", ci confida un investigatore. È questo il porto dove tra sei giorni inizierà l'opera di smantellamento dell'arsenale chimico siriano. Sarà super controllato da 600 militari. Poi tutto tornerà come prima. Come sempre.

 

GIOIA TAURO GIOIA TAURO jpegIl porto di Gioia TauroIl porto di Gioia TauroPIANA GIOIA TAURO DROGA

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