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OCCHIO ALLE SVENDITE ONLINE DI SEDICENTI SARTORIE ITALIANE: VI RITROVERETE A CASA ABITI CINESI DI BASSA QUALITÀ – MI-JENA GABANELLI INFILA LA PENNA NELLA NUOVA TRUFFA IN CUI SONO CASCATI MIGLIAIA DI ITALIANI: “OGNI ANNO CI SONO 4,8 MILIARDI DI DANNI CAUSATI DAL MERCATO DEL FALSO MADE IN ITALY, CON UN CONSUMATORE SU 5 CHE AMMETTE DI AVER COMPRATO ONLINE PRODOTTI CONTRAFFATTI CREDENDOLI AUTENTICI. MA CHI C’È DIETRO L'ULTIMA TRUFFA? LE TRACCE INFORMATICHE PORTANO A DUE FRATELLI OLANDESI CHE REGISTRANO IL…”

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Estratto dell’articolo di Milena Gabanelli e Andrea Priante per il “Corriere della Sera”

 

La storia inizia con un messaggio a pagamento diffuso su Facebook il 12 gennaio 2025. È una lunga lettera aperta di cui riportiamo la sintesi e i passaggi cruciali: dal 1987 tutte le mattine si alzano le serrande della boutique Svenna, in viale Italia 115 a Milano. A gestirla ci sono le sorelle Giulia e Sara, che però oggi sono costrette ad annunciare la chiusura del negozio per colpa della «concorrenza cinese a basso costo che svaluta il vero artigianato».

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Giulia e Sara proprio non ce la fanno a competere «con chi vende a prezzi irrisori e senza rispettare i produttori locali». Quindi, cari clienti «che avete significato molto per noi, inizia la liquidazione». Sul sito di Svenna Milano, tra le entusiaste recensioni di clienti e influencer, viene spiegato che, dopo quasi 40 anni di lavoro, portati avanti «con coraggio e creatività tramandateci dalle nostre nonne» e sempre «riflettendo la moda e lo stile italiano», tutti i maglioni, le giacche, i pantaloni e i cappotti rigorosamente fatti a mano sono scontati «fino al 70%».

 

Persone, boutique: tutto falso Ci sono cascati in migliaia. Perché non c’è alcuna boutique Svenna, e viale Italia 115 a Milano neppure esiste: c’è corso Italia, ma si ferma al civico 68. E anche il negozio Semia Milano, che sul web vende abiti realizzati «con materiali pregiati», che poi sono gli stessi di Svenna, «abita» in viale Italia 115.

 

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La foto che invece ritrae le sorelle Giulia e Sara è con ogni probabilità costruita dall’intelligenza artificiale, ed è la stessa che compare pure sul sito di Essenza Milano.

Altro inesistente atelier meneghino costretto a chiudere nonostante «incarni l’eleganza e lo stile italiano», dove però Sara stavolta si chiama Silvia. Le influencer sono inventate e le belle recensioni pure, mentre quelle vere parlano di «truffa» e «pubblicità ingannevole». I commenti entusiastici sono identici a quelli pubblicati online da Bottega Serrani: pure qui la bottega non c’è, ma sul web liquida tutto.

 

L’unica cosa reale sono proprio i siti di e-commerce, che però vendono qualcosa di molto diverso da come lo raccontano: la bella sartoria italiana, con quei «capi di alta qualità», in realtà sono abiti cinesi di bassa qualità e in vendita per pochi euro sulle piattaforme Taobao, Shein, Aliexpress.

[…]

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Azienda produttrice: Yangjianghai Jingchuang Industry, con sede a Guangdong.

 

[…] Non c’è nulla di illegale nel vendere il prodotto di qualcun altro […] guadagnando sull’attività di intermediazione. A condizione che venga dichiarato il nome del produttore e, naturalmente, che non venga spacciato per artigianato italiano di alta qualità l’abito uscito da un capannone cinese. Altrimenti è una truffa, che alimenta quei 4,8 miliardi di danni causati ogni anno dal mercato del falso Made in Italy, con un consumatore su 5 che ammette di aver comprato online prodotti contraffatti credendoli autentici. Il nostro Dataroom parte da qui. Chi c’è dietro ai falsi artigiani in fallimento che stanno popolando di svendite i social?

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Ci aiuta Twin4Cyber, la start up di cybersicurezza fondata da Pierguido Iezzi, che ha seguito i gestori dei siti anche sul dark web.

Il sito Semia Milano viene registrato il 6 giugno 2024 a nome di Stefano M., un ignaro professore di liceo siciliano in pensione. In realtà le tracce informatiche portano a due fratelli olandesi, Tarik e Altan, che a novembre registrano anche un altro portale di e-commerce, con sede ad Amsterdam, dove vendono gli stessi abiti cinesi. I siti si somigliano tutti. Anche la registrazione della fantomatica sartoria Tagliabue di Bologna porta a un ragazzo olandese, che a fine 2024 pubblicava su siti filippini degli annunci per cercare «gestori di attività di dropshipping in Italia».

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La storia è sempre la stessa […] la chiusura della sartoria perché «i grandi colossi» hanno avuto la meglio.  […] dalla pagina Facebook di quest’ultima inesistente Pelletteria si finisce dritti sul sito di Svenna Milano, dal quale siamo partiti. I truffati sono migliaia, e quando il cliente si accorge del raggiro è troppo tardi. C’è chi scrive all’indirizzo email lasciato dai venditori per lamentarsi, chi denuncia, chi scrive all’Antitrust. Ma uno dopo l’altro i siti chiudono, per riaprire poco dopo con nomi diversi.

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I primi casi risalgono al 2023. È piuttosto fondata l’idea che a tirare le fila di questa sfilza di negozi-fake ci sia un’unica organizzazione criminale con sede in Olanda. Invece i complici per la gestione dei profili Facebook e Instagram ci risultano in Italia, e quelli per lo sviluppo dei siti e delle pagine social in Asia. A dimostrarlo, le impronte informatiche

 

[…] i siti sono tutti registrati a partire dall’estate scorsa, tutti realizzati con la stessa grafica, tutti vendono gli stessi prodotti agli stessi prezzi, e spesso sono pure uguali le recensioni. Il sistema è automatizzato, perfino la denominazione dei brand che richiamano all’italianità vengono scelti con Namelix, piattaforma di intelligenza artificiale che suggerisce i nomi più efficaci per ogni tipo di attività commerciale e che verifica la disponibilità dei domini internet.

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I negozi si appoggiano tutti a Shopify, piattaforma canadese che ospita 1,7 milioni di venditori da 175 Paesi e che lo scorso anno ha fatto ricavi per 8,9 miliardi di dollari.

 

Shopify pensa a tutto, mettendo a disposizione le tecnologie che servono per gestire l’attività di dropshipping a iniziare dalle transazioni di pagamento. Sulla piattaforma — ci conferma la stessa Shopify — chiunque può cominciare a vendere senza aprire la partita Iva.

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Tre anni fa Shopify è finita nel mirino della Commissione europea «a seguito dei numerosi reclami», ma ne è uscita col formale impegno a tutelare di più i consumatori.

Eppure di fronte alle continue lamentele dei clienti, ancora oggi risponde con l’invito a segnalare […] In sostanza qualora la piattaforma dovesse chiudere uno di questi negozi online, mai lo renderà pubblico. Intanto però i truffatori incassano. Da parte nostra abbiamo segnalato i fatti sopra esposti alla Polizia postale, che ci ha risposto di aver attivato verifiche e che il monitoraggio del fenomeno attraverso i propri Centri operativi per la sicurezza cibernetica è in corso. Speriamo bene.

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