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PARIGI A CUORE APERTO - JEAN COCTEAU: “DI TUTTE LE CITTÀ DEL MONDO È LA PIÙ VISTOSA E LA PIÙ INVISIBILE. FURBA E AGGRESSIVA, RIESCE A DIGERIRE TUTTO COME UNO STRUZZO. NESSUN REGISTA È IN GRADO DI REGGERNE I FILI: QUESTA CITTA’ ALTRO NON È CHE POESIA”

Estratto del libro “Parigi” di Jean Cocteau pubblicato da “la Repubblica”

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Parigi è una grande città fatta di piccole città e villaggi che persino il parigino ignora e che gli stranieri conoscono meglio di noi. Era uno straniero a guidarmi nella mia stessa città, ai tempi in cui giravo l’”Orfeo” e mi serviva inventare una città sconosciuta, avvicinando sulla scena quartieri diversi di Parigi, lontani nella realtà gli uni dagli altri.

 

Mi è capitato spesso di affermare che non potevo vivere a Parigi, e ogni volta ci ritrovavo i miei vecchi amori.

 

È così che si ama e si odia: con fuoco. “A cuore aperto” — è a cuore aperto che bisogna amare la propria città — accettare tutto ciò che questo comporta in battibecchi amorosi.

Parigi è un’agorà pericolosa, uno spazio pubblico in cui artisti di tutte le nazioni sperimentano insieme quel patriottismo internazionale dell’Arte che è permaloso e feroce quanto il patriottismo di nascita. Ci tenevo a dirlo e a sottoscriverlo con il sangue dei poeti, che si tramuta rapidamente in inchiostro.

 

jean Cocteau jean Cocteau

Come i poeti, Parigi è di tutte le città del mondo la più vistosa e la più invisibile. È da questo strano contrasto che nascono i peggiori malintesi.

 

Ci si può immaginare quale abisso si apra tra questa irritante visibilità del poeta e l’invisibilità profonda che egli porta con sé sotto un’andatura che attira lo sguardo. Si potrebbe paragonare il poeta a un acrobata che attraversa la morte su un filo, filo che sembrerebbe tracciato con il gesso sulla terraferma. Per il pubblico distratto e che non intuisce il vuoto sotto la corda, egli rimane semplicemente un pazzo che regge un ombrello e cammina nella maniera più affettata e meno spontanea.

PARIGI TORRE EIFFEL 1PARIGI TORRE EIFFEL 1

 

Quel procedere eccita il riso. La nostra città, incredibilmente elaborata, stratificata, ingarbugliata, sovrapposta, fatta di ombre e di penombre, deve apparire all’osservatore come uno spazio pubblico ciarliero e frivolo.

 

Se non possiede le chiavi che aprono porte e botole, se la facoltà da diavolo zoppo di sollevare i tetti delle case resta per lui lettera morta, questo osservatore si tuffa nei libri degli esperti, vera e propria guida Michelin del nostro labirinto.

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Balzac, Hugo, Eugène Sue, Rocambole e Fantômas ci raccontano i retroscena e i sottopalchi del teatro. Sembra proprio una di quelle piovre cangianti che strangolano o succhiano il sangue delle loro vittime, il che non impedisce loro, qualora le si guardi dietro il vetro di un acquario, di arrossire come fanciulle.

 

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Per un giovane che, novello Rastignac, osservi Parigi dall’alto di Montmartre e si riproponga di soverchiare le sue mille insidie, la conoscenza di queste guide romanzesche è una necessità. Forse all’inizio sorriderà e penserà che la capitale moderna non offra più lo stesso caos di sordide meraviglie e trappole fiorite. Non appena crederà di aver raggiunto una meta, cadrà in preda ai miraggi. La meta si allontanerà, muterà forma; laddove la sua mano credeva di afferrare l’oggetto desiderato troverà il vuoto e, come nel gioco dell’oca, dovrà ripartire daccapo.

 

È così che il destino procede ed è così che la nostra singolare città vi collabora. È necessaria una lunga serie di insuccessi, per vincere lo scoraggiamento e comprendere che la fortuna è mossa da meccanismi complessi.

 

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Alle forze visibili, agli aiuti ufficiali, si sovrappongono delle forze occulte e quegli incalcolabili piccoli aiuti tenebrosi senza i quali anche un uomo che si creda in posizione sicura non poggerà in effetti che su dei fantasmi. Oso dire che la massoneria non era — persino in ciò che essa possiede di praticamente indistruttibile — che una branca piuttosto insignificante delle attività segrete a cui anche la minima sorte parigina è sottomessa.

 

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Certo, può succedere che la purezza e l’ingenuità trionfino e procedano in linea retta attraverso i meandri. Mettiamolo sul conto di una distrazione del diavolo. Perché mai certe anime non dovrebbero beneficiare di quel prodigio capace di lasciare intatta una tenda di mussola sulla facciata di un edificio distrutto dal fuoco? Ma compiangiamo il vanesio che s’immagina che le cose siano più facili da ottenere di quanto si potrebbe credere inizialmente.

 

Parigi inganna le anime che la conoscono male. La cosa grave è che non inganna con i sorrisi. Parigi non è affatto gentile. Parigi è aggressiva. Il primo impatto provoca un rilassamento. È allora che il vanesio reputa vinta la battaglia. Un’ombra di successo nasconde un interminabile periodo vuoto.

 

Coloro che vi sostenevano si dileguano e persino il vostro angelo custode vi passa accanto senza riconoscervi. Sventura a colui che insiste. Il successo parigino esige una pazienza incrollabile. Un bel giorno, il nodo si scioglie e, se stavate spiando la porta, la vostra fortuna svanita rientrerà dalla finestra.

 

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E non crediate che sia solo il caso a dirigere le operazioni. Al contrario, la vostra prima mossa, la minima indiscrezione, la minima vanteria, le favole pericolose suscitate da una frase imprudente, siatene certi, metteranno in moto tutta una macchina tanto più nefasta quanto più distanti gli uni dagli altri ruotano gli ingranaggi che la compongono. Non vedrete mai la macchina che lavora per nuocervi. Vi mancherà sempre qualcuna delle trame che si svolgono nell’ombra. Una parola che avete detto o che vi viene attribuita basterà per innalzare l’edificio.

 

Ecco perché è importante ammirare certe glorie, certi talenti sbalorditivi. Essi scaturiscono da una tale moltitudine di coincidenze fortunate, da una serie così innumerevole di giocate azzardose, da costruzioni così aeree che — quand’anche non apparissero come il frutto di una giustizia — bisognerebbe quanto meno salutare in loro degli autentici capolavori del destino.

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Parigi possiede uno stomaco da struzzo. Digerisce tutto. Non assimila niente. È questo che le conferisce quell’aria di debolezza dietro cui si cela una capacità di resistenza senza limiti. Il suo rifiuto di obbedire alle regole — oserei dire la sua anarchia — le impedisce di disindividualizzarsi e di affidarsi a un capo.

 

Ciascuno vi si crede capo, e di una direttiva non accetta che il simbolo. Non appena il parigino viene ostacolato nei suoi agi, eccolo imbrogliare e brigare di nascosto per non subire il disinganno del vicino.

 

Questo dramma complesso esige un numero così grande di attori e comparse, di atti che si aggrovigliano e si sovrappongono l’uno con l’altro, di spettatori e macchine, di risate e lacrime, che nessun regista è in grado di reggerne i fili.

 

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L’elettricità senza pari, la fosforescenza della putrefazione che si sprigiona da tutto questo disordine e da tutti questi contrasti che affaticano l’immaginazione, altro non è che poesia.

© 2013, Éditions Grasset et Fasquelle / © 2016 — Edizioni Piemme Spa, Milano

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