pietro moretti nanni

DIPINGO COSE, VEDO GENTE – IL FIGLIO 27ENNE DI NANNI MORETTI, PIETRO, FA IL PITTORE E I SUOI QUADRI SONO GIÀ STATI ACQUISTATI DA DUE FONDAZIONI. MA LUI CI TIENE A NON PASSARE PER “RACCOMANDATO”, NONOSTANTE LA CARRIERA FULMINANTE –  “HO STUDIATO A LONDRA, SONO STATO AIUTATO DAI MIEI GENITORI E POI PER MANTENERMI HO FATTO IL CAMERIERE, IL LAVAPIATTI, IL PESCIVENDOLO” – HA PENSATO ANCHE AL CINEMA, MA HA CAPITO CHE ERA NEGATO: “SCRIVEVO STORIE BREVI DA CUI POI FACEVO VIDEO CHE ERANO PESSIMI…” – IL VIDEO DI PIETRO NEONATO IN “APRILE”

 

Estratto dell’articolo di Francesca Pini per “Sette - Corriere della Sera”

 

pietro moretti

Non è il primo né sarà l’ultimo figlio d’arte, e non c’è “peccato originale”. Solo che lui ha debuttato sulla scena a pochi mesi, sulla spalla del padre Nanni Moretti, nel film Aprile (1998). Guardava dritto in macchina, proprio come fa oggi con occhi acuti che ti soppesano e l’orecchio come un radar. «Il tono della voce è per me qualcosa di molto importante e attraverso cui mi sembra, spesso, di capire se posso o meno diventare amico con qualcuno», afferma. Un’intelligenza viva e multiforme, un’indole di scrittore unita a quella del pittore. Questo è Pietro Moretti, che si è preso la libertà di essere artista, perché non è una costruzione, ma una vocazione.

 

 

Per sei anni ha studiato pittura a Londra, che cosa pensava di trovare di diverso o di meglio formandosi all’estero?

nanni moretti con il figlio pietro in aprile nel 1998

Qual è stata la spinta?

«Ho studiato a Roma al liceo artistico Ripetta. Sentivo però l’esigenza di mettermi alla prova per un periodo e allora la scelta è caduta su Londra perché, come molti della mia generazione, rappresentava, prima della Brexit, una meta ideale per la vivacità della scena artistica e musicale, e una metropoli stimolante dove anche da giovani ci si può realizzare, essere valorizzati — non infantilizzati come mi pare capiti spesso in Italia — e imparare dalla grande ricchezza multiculturale della città.

 

NANNI E PIETRO MORETTI

Una volta arrivato lì ho capito che l’immagine fittizia che mi ero creato era abbastanza distante dalla realtà ultra-capitalistica della città, eppure essa rimane per me un luogo importante in cui ho incontrato persone straordinarie, di culture molto diverse e ciascuna con la propria storia, e in cui sono cresciuto come persona emotivamente, intellettualmente, politicamente, frequentando per un periodo un gruppo extra-parlamentare di sinistra. Sono stato aiutato dai miei genitori durante gli studi e poi, come molti coetanei, per mantenermi ho fatto il cameriere, il barista, il lavapiatti, il pescivendolo, il traduttore, e infine l’insegnante di sostegno […]»

 

È alla sua seconda personale, alla galleria Doris Ghetta. Farsi valere per il talento, per sé stessi, e non per quel suo cognome. Una doppia fatica.....

«Chi vuol vedere i miei lavori capirà, chi vuol vedere altro continuerà a vedere altro».

 

 […]

 

Ci sono nei suoi dipinti elementi ricorrenti come le mani e i mozziconi di sigarette…e questi ultimi sono per te una misura del tempo…

pietro moretti nel suo studio

«Negli ospedali, come vedi in quel dipinto, i mozziconi delle sigarette lasciate un po’ ovunque all’esterno diventano quasi gli indicatori di un tempo diverso nel quale si vive in tali istituzioni, un tempo di attesa e di sospensione. Le mani e anche i piedi sono per me portatori della relazione tra l’interno e l’esterno, dell’interiorità più intima di una persona, poiché hanno a che fare con il tatto, con l’essere radicati nel mondo».

 

In mostra c’è questa tela sull’amicizia maschile, molto articolata nella sua dinamica di uno scambio, anche fisico, tra persone. E poi lei trova sia molto importante anche l’amore romantico.

«Nella tela Tra i tuoi vuoti pensavo sia alla tenerezza, al prendersi cura dell’altro in un’amicizia maschile, sia a come l’amicizia possa avvicinarsi e combaciare con una relazione d’amore. Se l’amore è spesso inteso come “amore romantico”, ossia una costruzione sociale e patriarcale solo riferita a una coppia monogama — quasi sempre etero — in cui realizzarsi attraverso l’altro/a, è dunque idealizzante.

 

pietro moretti davanti a un suo quadro+

Penso invece che l’amore sia una questione molto più complessa. Mi piace molto la definizione che propone la scrittrice bell hooks: non siamo obbligati ad amare. Decidiamo di amare… quando capiamo l’amore come il voler nutrire la propria crescita spirituale come quella dell’altra persona.’ In ogni caso penso che l’amore sia l’opposto della vergogna – anche se i due sono inevitabilmente legati. Se provare vergogna è sentirsi inadeguati, esposti malvolentieri, sentire un muro di vetro smerigliato crescere tra sé stessi e un altro/altri, l’amore è accettazione, essere visti, riconosciuti e poter vedere un’altra persona».

 

Legge molto?

lo studio di pietro moretti

«Sì, fumetti, fiabe, letteratura, saggistica. Quando studiavo a Londra, alla Slade, scrivevo storie brevi da cui poi facevo video che erano pessimi. Ciò che più mi piaceva era fare gli storyboard ad acquerello per i possibili video, così ho capito che la pittura era per me molto più coinvolgente, era la mia dimensione».

 

[…]

 

Dipingere dilata il tempo?

«Mi piace molto lavorare sia ad acquerello sia a olio. Il primo è molto più immediato come tecnica, una sessione è sufficiente, e per me questo ha quasi a che fare con l’improvvisazione, con il pensare attraverso il fare, abbandonandosi un po’ all’imprevedibilità dell’acqua. Mentre la pittura a olio è un processo molto più lento, stratificato, per me pieno di errori e ripensamenti, che procede per dubbi e tentativi, per: ‘e se ora facessi questo cosa succederebbe?’

il dipinto mani di gomma di pietro moretti

 

Ciò mi affascina perché alla fine un quadro è un addensamento di tempo, una sorta di mappa visiva di tutto il processo compiuto, dei momenti in cui non sapevo davvero dove andare a parare e dei momenti in cui le cose uscivano da sé. In questo senso sì è una dilatazione o al contrario una concentrazione del tempo, di più momenti, segni e movimenti. Ma quando dipingo sì si dilata anche il tempo, entro in uno stato di quasi dissociazione dal tempo dell’orologio per cui alla fine magari sono stato a lavorare per 4 ore perdendo la cognizione del tempo – quando va bene, quando va male ne ho fin troppa. Come regola, se ho usato più di 10 pennelli in una giornata non è una giornata buona.»

 

Che cosa dà felicità oltre al dipingere?

«Non dipingo per “essere felice”, credo che fare pittura sia per me un modo per confrontarmi con questioni che mi toccano, è un modo di dare un senso al mio tempo. Cos’altro mi piace fare? Camminare voyeuristicamente per strade che non conosco, fare lunghissime conversazioni con amici o sconosciuti che poi magari non finiscono da nessuna parte, farmi spiegare cose che non conosco o capirle da persone che le capiscono, andare a concerti, rave, festival di musica elettronica e jazz (quando ho visto suonare il batterista Yussef Dayes ho pensato che, in un’altra vita, avrei desiderato suonarla anch’io), vedere bei film, leggere libri o fumetti, fumare sigarette, osservare i gatti che guardano uccelli fuori dalla finestra, stare al sole, andare per mercati dell’usato in cerca di vestiti e oggetti curiosi».

IL QUADRO DI PIETRO MORETTI FIGLIO DI NANNI MORETTI

 

Dov’è il suo atelier?

«Dopo Londra, dove mi sembrava di aver finito un percorso e anche le mie energie, sono tornato a Roma: avevo saputo da amici che c’era un gran fermento, e sono stato molto fortunato di trovare uno studio presso Post-ex, un laboratorio ricavato da un ex garage. Lì siamo quattordici artisti, tutti di diverse età e con lavori e ricerche molto differenti, e oltre a condividere lo spazio tra un po’ speriamo si potrà anche esporre. Stare lì mi fa sentir bene, perché in questo luogo c’è la possibilità di confrontarsi con gli altri artisti, farsi domande sul perché del nostro lavoro, sentire pareri e anche per questa mostra mi sono confrontato molto con alcuni pittori che lavorano lì: Luca Grimaldi, Cristiano Carotti e Flavio Orlando mi hanno supportato e soprattutto sopportato molto negli ultimi mesi ».

 

[…]

pietro moretti 3

 

Quindi non è un solitario....ma essere figlio unico è un vantaggio o uno svantaggio? Oppure poi si trovano dei fratelli tra gli amici?

«Beh quando lavoro preferisco stare da solo, sì…però Londra in questo mi ha insegnato che, alla fine, la famiglia la si trova nelle persone che hai accanto, con cui si condivide un’intimità, e non è mai un qualcosa di dato o di stabile poiché i rapporti, come tutto, bisogna coltivarli.»

 

Per lei niente cinema (come suo padre Nanni regista) e niente musica (come suo nonno, il compositore Luigi Nono). Com’è cresciuta in lei la scelta della pittura?

NANNI E PIETRO MORETTI

«Disegnavo fin da quando ero molto piccolo, ma durante l’adolescenza ho avuto problemi fisici che mi hanno spinto a passare ancora più tempo in solitudine a disegnare e poi a dipingere. In quel periodo scoprivo Goya, Rembrandt, El Greco, Tiziano, Bacon. Senza esserne consapevole mi affascinava come un quadro potesse essere così complesso e denso di interpretazioni nonostante sia solo della materia su una superfice.

 

 Mi piace anche come il processo sia più solitario e fisico rispetto ad altre arti e vi sia un aspetto molto manuale e immediato — fatto essenziale per chi è impaziente come me — da veri nerd in cui la differenza di intensità tra un blu phthalo e un blu di cobalto fa tutto. Nonostante ami il cinema e anche la musica, con la pittura mi sento a casa»

 

Nessuna esitazione quando affronta la tela?

«Beh inizio “sporcandola”, a preparare il fondo, e queste fasi sono anche molto rapide per commettere quegli errori che poi servono veramente a iniziare l’opera, ponendosi le domande sulla tela…e non solo in testa. Nello scarto tra come si vorrebbe dipingere e quel che poi esce su tela vi è per me la propria ricerca personale. E a questo penso ogni volta che inizio un quadro e mi sento terribilmente insoddisfatto di quel che sta uscendo.».

 

Ma dopo tante ore in studio, una birretta con gli amici?

nanni morettinanni moretti 56nanni moretti

«’A voja» […]

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