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“METTETEMI LO SMALTO, I CAPELLI FINTI E BALLATE DALIDA” - PRIMA DI SUICIDARSI, MARCO PRATO HA LASCIATO LE ULTIME VOLONTA': ''BUTTATE IL MIO TELEFONO E IL MIO COMPUTER, NASCONDETE I MIEI LATI BRUTTI''  - LA LETTERA A PRATO DI ANNALISA CHIRICO, SUA EX COMPAGNA DI UNIVERSITÀ

1 - IL TESTAMENTO DI PRATO: «NON HO UCCISO»

Valentina Errante e Adelaide Pierucci per “il Messaggero"

 

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Un foglio accartocciato e buttato via. E poi la stesura definitiva. Prima di suicidarsi, nel carcere di Velletri, Marco Prato aveva cestinato poche righe, la prima versione della sua ultima lettera: «Non ho partecipato quella notte. Non ho usato le armi». Un tentativo di prendere le distanze dalla mattanza di via Igino Giordani, costata la vita a Luca Varani e compiuta, a conclusione di un festino a base di sesso e cocaina, assieme all'amico Manuel Foffo, condannato in primo grado a trent'anni. E mentre l'autopsia sul corpo di Prato conferma che la morte per asfissia, ieri la prima corte d'Assise di Roma, ha chiuso il processo per la morte di Varani, che vedeva imputato solo Prato.

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LA DECISIONE

«Il suicidio - ha scritto Prato - non è un atto di coraggio, né di codardia, il suicidio è una malattia dalla quale non sempre si guarisce, spero che considerandola esclusivamente come patologia, per definizione non ha connotazioni etiche come scappatoia o gesto egoistico perché è solo una malattia» Questa la premessa.

 

Ma Prato ha voluto parlare anche del suo disagio: «La pressione dei media è insopportabile, le menzogne su quella notte e sul mio conto sono insopportabili. Questa vita mi è insopportabile. Perdonatemi, Marco». Una lettera di otto righe con una postilla: «Ps. Assicuratevi che quando mio padre sarà avvertito ci sarà un medico o la sorella (ex primario in pensione) con lui perché soffre di ipertensione e di cuore».

 

ISTIGAZIONE AL SUICIDIO

marco prato marco prato

Il procuratore capo di Velletri, Francesco Prete e il pm Giuseppina Corinaldesi, che hanno deciso di procedere per istigazione al suicidio per compiere l'autopsia, puntano ad accertare se il gesto potesse essere evitato, per questo ascolteranno anche lo psichiatra della Asl con cui il ragazzo aveva colloqui settimanali. All'esame dei pm anche le motivazioni del trasferimento da Regina Coeli al carcere di Velletri, che farebbero riferimento alla richiesta del detenuto di lasciare l'isolamento e «all'ambiente favorevole» che Prato si era creato a Roma.

 

marco pratomarco prato

«Marco ci ha sempre detto e ribadito che aveva piena fiducia nei magistrati», ha detto il suo difensore, Pasquale Bartolo. Sulla volontà suicida del detenuto non ci possono essere dubbi. Ieri all'autopsia eseguita dal medico legale Vincenza Liviero, dell'istituto di medicina legale Tor Vergata diretto dal professor Giovanni Arcudi, ha partecipato anche un consulente nominato dai genitori della vittima. Prato aveva già tentato il suicidio ingerendo quattro flaconi di Minias e uno di En, a ventiquattro ore dall'omicidio di Luca Varani. Ma non era stato creduto.

 

 

LE 11 INDICAZIONI PER GENITORI E AMICI

 

Perdonatemi, non riesco. Sono stanco, una persona orribile. Ricordate solo il bello di me. Vi amo.

Fate festa per il mio funerale, anche se vorrei cerimonia laica, fiori, canzoni di Dalida, bei (sottolineato due volte) ricordi: una festa! Dovete divertirvi!!

 

Chiama Private & Friends, il centro capelli a piazza Mazzini per rigenerarmi la chioma prima di cremarmi. Mettetemi la cravatta rossa, donate i miei organi, lasciatemi lo smalto rosso alle mani. Mi sono sempre divertito di più ad essere una donna.

 

Organizzate sempre, una volta alla settimana o al mese, una cena o un pranzo con tutti i miei cari amici e amiche che ho amato tanto. Fate sempre festa, sentitevi Dalida ogni tanto. Mettete “Ciao amore ciao” quando avete finito la festa per me e ricordatevi tutti insieme i miei sorrisi più belli.

 

Buttate il mio telefono e distruggetelo insieme ai due computer, nascondendo i miei lati brutti. Tenete alto il mio nome e il ricordo, nonostante quel che si dica. Non indagate sui miei risvolti torbidi, non sono belli.

 

 

2 - ADDIO MARCO PRATO, NON SAPREMO MAI SE ERI COLPEVOLE O INNOCENTE

Annalisa Chirico per www.ilfoglio.it

 

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Suicidio annunciato. Nel silenzio metallico di una cella si è tolto la vita un detenuto in attesa di giudizio, un compagno di università, un amico. Nella penuria di parole resta lo sgomento implacabile per una morte che si poteva evitare.

 

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Già in passato Marco Prato aveva manifestato istinti suicidari, la vita gli stava scomoda, come accade a certe anime votate purtroppo al funambolismo esistenziale. Solitudini insuperabili, sete di trasgressione. Sentirsi a disagio con la vita, intrappolato da una sensibilità che ti rende diverso dalle ombre che ti sfiorano, senza toccarti. Non sapremo mai se Marco Prato fosse colpevole o innocente: da oggi c’è un imputato in meno.

 

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Il processo nel quale lui confidava, me lo aveva scritto dal carcere, “voglio le udienze e le prove, riuscirò a dimostrare che io non sono un mostro, so di non aver impedito la morte di Luca ma non l’ho ucciso io”, si ferma qui. Il 23enne Luca Varani, brutalmente seviziato fino alla morte, non tornerà in vita. Mentre Marco se n’è andato, e l’immagine di lui steso sulla brandina, con un sacchetto di plastica e una bomboletta di gas, spezza il fiato.

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Marco era preda di una disperazione nera, prigioniero del senso di impotenza di fronte all’offensiva mediatica che lo aveva crocifisso nel ruolo di “assassino” anzitempo, che aveva sbandierato come lugubre scoop la sieropositività scoperta dietro le sbarre. Marco pretendeva il processo nell’aula di tribunale, non sulla pubblica piazza. “A volte si dimentica che dietro un nome c’è una persona reale, in carne e ossa”. mi aveva detto pochi mesi fa. “Pure i condannati meritano rispetto, figuriamoci un imputato come me”.

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A differenza di Manuel Foffo, condannato in primo grado a 30 anni con il rito abbreviato per omicidio volontario aggravato dalla crudeltà, Marco attendeva il dibattimento ordinario, leggeva ogni carta, inondava di domande gli avvocati, era convinto di poter ricostruire l’esatta dinamica di quella notte maledetta quando nell’appartamento di Foffo al Collatino un festino a base di alcol e droga si è tramutato nella scena degli orrori. Con un ragazzo inerme, colpito un centinaio di volte fino all’epilogo.

 

Marco era convinto di poter dimostrare che lui, pur presente sul luogo del delitto, non aveva ucciso Luca. “Ricordo quasi tutto di quella sera”, mi aveva scritto dalla prigione di Velletri. “Io non ho ucciso Luca, non sono stato io a colpirlo con il martello e con i coltelli. La verità è che non ho avuto il coraggio di fermare Manuel, ero succube della sua personalità”. All’indomani dell’assassinio si era rifugiato in un albergo di piazza Bologna, zona dei nostri aperitivi universitari, per anestetizzare il dolore con un mix di psicofarmaci.

 

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Voleva togliersi la vita, lo aveva confidato a me così come ai magistrati, ed è per questo che risulta incomprensibile la decisione di tenerlo in una cella come un detenuto ordinario, senza una sorveglianza a vista, giorno e notte. “Nessuna sorpresa per un suicidio per molti versi annunciato”, ha commentato il Garante nazionale dei detenuti Mauro Palma. “Al di là di rassicurazioni informali e generiche, nessuna delle autorità responsabili ha voluto recedere dalla posizione presa, nonostante l’indicazione dell’inadeguatezza della collocazione a Velletri e del rischio suicidario ancora esistente”.

 

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Non sapremo mai se Marco dicesse la verità o meno, se fosse innocente o colpevole, soltanto il processo ci avrebbe restituito una verità giudiziaria. Viviamo tra i fantasmi di noi e di quello che crediamo di essere. E lui, da giovane di belle speranze della Roma bene, colto e poliglotta, un po’ tarchiatello e a rischio calvizie, si era trasformato in un pr della movida capitolina, muscoloso e bello, crocevia di incontri più o meno raccomandabili, organizzatore di aperitivi gay domenicali e sfrenate notti chemsex.

 

“Se osservati al microscopio o dietro il buco della serratura – mi aveva scritto – tutti noi abbiamo un lato oscuro più o meno morale, più o meno accettabile, il mio è semplicemente venuto a galla”. Marco era convinto che non esistessero perversioni ma soltanto “versioni differenti di umanità”.

 

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“Sì, mi drogavo ma non tanto. Sì, facevo sesso ma come un qualsiasi trentenne. Le richieste estreme, le più bizzarre, provenivano dagli uomini di cui mi circondavo, me le tiravano fuori, ho subìto volontariamente tanta violenza per assecondare maschi eterosessuali di cui ero invaghito e che mi facevano sentire femminile”. Immaginando il proprio congedo da questa terra, aveva confessato di desiderare un funerale laico e festoso sulle note di ‘Ciao amore ciao’ della sua adorata Dalida. “Guardare ogni giorno se piove o c’è il sole, per sapere se domani si vive o si muore. E un bel giorno dire basta e andare via”.   

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