
UN’ALTRA BOTTA PER LE TOGHE DI MILANO – È STATA CONFERMATA IN APPELLO LA CONDANNA A OTTO MESI PER I DUE PM FABIO DE PASQUALE E SERGIO SPADARO, ACCUSATI DI RIFIUTO DI ATTI D’UFFICIO PER NON AVER DEPOSITATO ALCUNI DOCUMENTI A FAVORE DELLA DIFESA NEL PROCESSO ENI-NIGERIA (POI FINITO CON L’ASSOLUZIONE DI TUTTI GLI IMPUTATI), NONOSTANTE LA SEGNALAZIONE DEL COLLEGA PAOLO STORARI – SECONDO I GIUDICI DE PASQUALE E SPADARO “HANNO COMPIUTO UNA SELEZIONE RAGIONATA DEI SOLI TASSELLI IN GRADO DI ARRICCHIRE IL MOSAICO ACCUSATORIO, CON ESCLUSIONE DELLE TESSERE DIMOSTRATIVE DI SEGNO CONTRARIO...”
Estratto dell’articolo di Luigi Ferrarella per il “Corriere della Sera”
FABIO DE PASQUALE SERGIO SPADARO
«Ma non sarebbe stato più facile, ci hanno candidamente chiesto in molti, produrre» al processo di corruzione internazionale Eni-Nigeria quelle che nel 2021 il pm Paolo Storari indicava come prove potenzialmente a favore degli imputati, «e poi sostenerne l’irrilevanza e l’erroneità, così vi risparmiavate tutti questi guai?».
Domanda giusta, nelle «dichiarazioni spontanee» che in udienza, quali imputati di «rifiuto d’atti d’ufficio», il pm della Procura europea antifrodi Sergio Spadaro legge per sé e per il ieri assente ex procuratore aggiunto milanese Fabio De Pasquale. Ma risposta sbagliata.
Perché la loro risposta è non aver depositato quegli atti per «difendere la dignità di chi esercita la funzione di pm» da chi conculcandone la discrezionalità vorrebbe «un pm teleguidato o a sovranità limitata, che deve supinamente accettare qualsiasi contenuto che altri decidano di introdurre nel “suo” processo, anche per finalità deviate rispetto alle esigenze di giustizia»;
e quindi per «resistere a quella che ci appariva, e ancora ci appare, la richiesta sbagliata, illegittima e arbitraria» di Storari «di introdurre in un processo ormai finito un materiale a nostro giudizio erroneamente interpretato e totalmente irrilevante».
Mentre la risposta data invece ieri dai tre giudici della Corte d’Appello di Brescia, come già nel 2024 dai tre del Tribunale Spanò-Pagano-Giordano, come già nel 2023 dal gup Colombo, come già dei tre pm bresciani Prete-Milanesi-Greco, come già dal Csm in valutazione di professionalità, è che De Pasquale e Spadaro abbiano «compiuto una selezione ragionata dei soli tasselli in grado di arricchire il mosaico accusatorio, con esclusione delle tessere dimostrative di segno contrario».
La Corte presieduta da Anna Maria Dalla Libera con Roberto Gurini e Maura Mancini conferma infatti la condanna di primo grado a 8 mesi dei due pm che nel febbraio-marzo 2021 non vollero depositare nel processo Eni-Nigeria, poi sfociato in tutte assoluzioni, elementi segnalati da Storari ai propri vertici Francesco Greco e Laura Pedio il 18 gennaio e il 19 febbraio 2021 (in mail inoltrate da Greco solo da metà febbraio) come indicativi della traballante attendibilità di Armanna imputato-dichiarante-accusatore di Eni.
Erano atti che facevano balenare come Armanna avesse taciuto l’esistenza di un rapporto di 50.000 dollari col proprio teste 007 nigeriano invocato a confermarne le accuse a Eni; indottrinato il teste Tonlagha sulle risposte anti-Eni da dare alla rogatoria della pm Pedio in Nigeria; e contraffatto due proprie chat del 2013, una depositata in Eni-Nigeria e una veicolata a un quotidiano e una trasmissione tv, per far sembrare che in quei messaggi i vertici Eni Descalzi e Granata avessero tentato di comprarne la ritrattazione, quando invece dagli accertamenti di Storari in Vodafone i numeri ascritti da Armanna a Descalzi e Granata erano risultati inattivi.
Ma De Pasquale — il pm della prima condanna definitiva di Bettino Craxi e dell’unica di Silvio Berlusconi — le ha sempre liquidate come «le “cosiddette” prove di Storari… accozzaglia di dati al limite del risibile, ciarpame senza capo né coda», «un minestrone» come lo aveva giudicato anche Pedio [...]