QUANTO ME GUSTA L’ANTIMAFIA ALL'ULTIMA MODA - ROSY CANALE, ICONA DELLA LOTTA ALLA 'NDRANGHETA, COMPRAVA SCARPE, VESTITI E MACCHINE CON I FONDI PUBBLICI

Giuseppe Baldessarro per "la Repubblica"

Ogni volta che arrivavano soldi per le attività antimafia si dava agli acquisti. Col denaro destinato ai progetti delle "Donne di San Luca", comprava abiti per sé, per il padre o per la figlia. Hogan, Louis Vuitton, Fendi. Gli stanziamenti del ministero alla Gioventù di Giorgia Meloni sono diventati una Fiat 500.

Parte dei 160 mila euro della fondazione Enel Cuore sono stati trasformati in una settimana bianca e in pezzi di arredo. Non si faceva mancare nulla Rosy Canale. L'eroina dell'antimafia calabrese è ora accusata di truffa. Nelle carte dell'inchiesta Inganno viene definita «un'avida procacciatrice di denaro». Spregiudicata, al punto che quando la madre le diceva al telefono «attenta a spendere questi soldi che non sono tuoi», lei rispondeva: «Me ne fotto».

Da ieri Rosy Canale è ai domiciliari su richiesta della Dda di Reggio Calabria. Per il procuratore Federico Cafiero de Raho e l'aggiunto Nicola Gratteri (l'indagine porta la firma del pm Francesco Tedesco) oltre alle accuse di truffa aggravata e di peculato, l'icona della lotta ai clan «ha la responsabilità etica di avere tradito chi aveva creduto in lei, in un contesto difficilissimo come quello di San Luca».

Una donna che ha mentito alle socie con cui lavorava «perché sono delle lavative». Anche lei, come Carolina Girasole, l'ex sindaco di Isola Capo Rizzuto arrestata la scorsa settimana, era considerata un punto di riferimento. Invece, secondo quanto scrive il gip Domenico Santoro, ha sottratto illecitamente i soldi che nel tempo sono arrivati da ministero, Consiglio regionale, prefettura e Enel Cuore.

Fondi per gestire un bene confiscato al clan Pelle nel quale doveva nascere una ludoteca per i bambini di San Luca. Una struttura inaugurata nel 2009 e in realtà mai entrata in funzione. Lei ogni voltache arrivava un bonifico chiamava il padre, la madre, la figlia e dava la buona notizia: «Ho comprato due paia di scarpe, il pigiama, 20 paia di calzini e due maglioni a papà». Mentre la figlia le chiedeva accessori: «Di questi quanto te ne restano? Io voglio le Hogan e la borsa di Fendi».

Il nome di Rosy Canale, ufficialmente imprenditrice di 40 anni, era balzato alle cronache dopo la strage di Duisburg del 2007, quando fondò il Movimento delle donne di San Luca. Un'associazione con obiettivi legati, soprattutto, alla formazione dei ragazzi e al lavoro per le donne. In realtà una macchina da quattrini che a San Luca si sarebbero visti solo in minima parte. Progetti che avevano fatto diventare Canale un'icona della legalità.

Scrittrice (La mia ‘ndrangheta, Edizioni Paoline) e attrice in giro per i teatri italiani (con
Malaluna - Storie di ordinaria resistenza nella terra di nessuno, con musiche di Franco Battiato) sostenuta dall'allora prefetto di Reggio, Luigi De Sena, e pronta anche al salto in politica (è stata candidata alle comunali di Reggio Calabria col Pd).

Titoli e amicizie che sfruttava per ottenere sponsorizzazioni e trattamenti di favore. Rosy Canale, che non risponde di reati di mafia, è finita in un'inchiesta che ha portato all'arresto di altre cinque persone accusate di essere vicine a vario titolo alle cosche. In manette sono finiti anche l'ex sindaco di San Luca Sebastiano Giorgi e il suo ex assessore all'urbanistica, Francesco Murdaca.

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Usano i suoi slogan, si nascondono dietro le sue bandiere. È diventata così conveniente che viene corteggiata persino dai boss. L'antimafia ormai fa gola anche alla mafia.
In quest'Italia dove a volte tutto sembra il contrario di tutto, capita che una sindaca famosa per le sue battaglie contro la ‘ndrangheta si ritrovi agli arresti per ‘ndrangheta. O che una star delle «coraggiose donne di San Luca» finisca in carcere per avere comprato borse, vestiti griffati con i contributi pubblici «per la legalità».

Le vicende che ci trascinano in una Calabria malata sono quelle di Carolina Girasole, sott'accusa per scambio di voti con gli Arena di Isola di Capo Rizzuto, e quella di Rosy Canale, imprenditrice soubrette che i soldi confiscati ai Pelle se li metteva in tasca. Se è andata davvero come raccontano le carte delle procure di Catanzaro e di Reggio - e fra le pieghe delle indagini affiorano indizi significativi - esiste il pericolo che l'antimafia sia realmente preda di appetiti criminali? Qualcuno fa il doppio gioco? Quelli della Girasole e della Canale sono casi isolati o quel fronte potrebbe rivelarsi un esercito di cartapesta?

Questione molto scivolosa. Anche perché, mai come in questi ultimi anni, l'antimafia sociale - in Calabria come altrove - si è mostrata sempre più rissosa e isterica (anche quella giudiziaria), rivalità piccole e grandi che separano fondazioni, circoli, gruppi antiusura e antiracket. È la corsa frenetica a dimostrare chi è più antimafioso dell'altro, a gridare più forte di tutti.

Cosa è oggi l'antimafia in Calabria? «È una moda», inappellabile il giudizio di Domenico Lucano, sindaco di Riace, paese davanti al mare dove nel ‘72 ripescarono i Bronzi. È duro Lucano: «L'antimafia non si fa con i proclami».

Per capire cosa sta accadendo in quel mondo tormentato che è l'antimafia calabrese abbiamo ascoltato una mezza dozzina di sindaci, quelli che rappresentano il cambiamento in una regione prigioniera di paure, ostaggio di interessi illegali e interessi legali che si muovono illegalmente. Diciamo subito che mettersi una fascia tricolore addosso nella Locrideo nella Piana di Gioia Tauro è un azzardo. Fra attentati e minacce, ricatti ed estorsioni loro rischiano sempre. O la vita o la galera.

Cosa dice Pino Varacalli, sindaco di Gerace? «Dico che in questa terra ci si può trovare facilmente coinvolti e difendersi è sempre difficile. Comunque credo che la lotta alla mafia si faccia combattendola in silenzio. La parola legalità io non la pronuncio mai, la applico e basta». Poi la frecciata: «C'è un abuso di antimafia parlata, ricordate Sciascia sui professionisti dell'antimafia?».

Torna sulla bocca dei sindaci la famigerata polemica, lanciata dallo scrittore siciliano nell'87 su chi fa carriera con l'antimafia. Nessuno ancora giudica («Conosciamo troppo poco delle inchieste »), in molti però storcono il naso per gli «eccessi» di protagonismo di certi personaggi. Nel coro non c'è Maria Lanzetta - fino a maggio sindaco di Monasterace - che spiega: «Se un sindaco o un magistrato va nelle scuole a fare lezioni di antimafia che male c'è, se qualcuno sfila per le strade con i ragazzi non vedo su cosa polemizzare.I magistrati sono seri e capaci, sono molto addolorata per Carolina ma qui da noi è sempre molto complicato sapere quale è la strada giusta da percorrere».

Antimafia urlata e antimafia al silenziatore, confronto serrato fra sindaci. Riassume Nando dalla Chiesa, il figlio del generaleprefetto ucciso nel 1982 in Sicilia e uno dei protagonisti di quell'infuocata polemica sui «professionisti dell'antimafia» che implacabile torna sempre: «Bisogna accendere i riflettori e non lasciare nel cono d'ombra chi combatte la mafia, la differenza sta in un punto preciso: se uno si mostra per difendersi o per promuoversi, se chiede solidarietà perché si sta battendo per tutti o perché vuole diventare un eroe solitario».

L'antimafia calabrese comunque sia, non sta bene. È spaccata, avvelenata al suo interno. Qualche mese fa l'assessore provinciale alla «legalità» di Reggio Eduardo Lamberti Castronovo attaccava «per lo sperpero» l'associazione "Riferimenti" di Adriana Musella, figlia di una vittima di mafia: «C'è chi con i contributi pubblici pensa di lottare contro il crimine organizzando la settimana bianca della ‘ndrangheta in Trentino». La risposta della Musella: «È una strategia che tende a delegittimare l'antimafia».

Un posto lì dentro se lo sono assicurato tutti. Anche il governatore Giuseppe Scopelliti, fino al 2010 sindaco di Reggio, primo grande comune d'Italia sciolto per «contiguità mafiose». Durante la sua amministrazione la 'ndrangheta si era infiltrata lì dentro, ma oggi Scopelliti è ospite fisso di «Legalitalia» dove riceve «menzioni particolari».A parole, non costa niente essere contro. Lo fanno tutti.

Come si fa antimafia? Il sindaco di Rosarno Elisabetta Tripodi: «Amministrando bene». Il sindaco di Decollatura Annamaria Cardamone: «Preferisco agire che parlare». Il sindaco di Condofuri Salvatore Mafrici: «Alle etichette preferisco le cose concrete». L'ex presidente dei sindaci della Locride Ilario Ammendolia: «L'antimafia è diventata troppo pubblicitaria, crea mostri». E a quanto pare anche imbroglioni, saltimbanchi, approfittatori. Non solo in Calabria.

 

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