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NAZIFASCISMO, C'E' CHI DISSE NO! COMPIE 80 ANNI L’“ASSOCIAZIONE DEGLI EX INTERNATI”, CHE RICORDA I SOLDATI ITALIANI CATTURATI DAI TEDESCHI AL MOMENTO DELL'ARMISTIZIO DELL'8 SETTEMBRE 1943 E CHE SI RIFIUTARONO DI COLLABORARE CON IL NAZISMO – LO STORICO GIANNI OLIVA: “60MILA DI LORO MORIRONO NEI LAGER, VITTIME DELLA DENUTRIZIONE, DELLE MALATTIE, DELLE VIOLENZE. L'ASPETTO PIÙ RILEVANTE DI QUESTA ‘RESISTENZA DIETRO IL FILO SPINATO’ FU LA SPONTANEITÀ DEL RIFIUTO” – GIOVANNINO GUARESCHI, SOPRAVVISSUTO AI CAMPI DI CONCENTRAMENTO, RACCONTÒ: “NON ABBIAMO DIMENTICATO MAI DI ESSERE UOMINI CON UN PASSATO E UN AVVENIRE”

Estratto dell’articolo di Gianni Oliva per “La Stampa”

 

SOLDATI ITALIANI INTERNATI NEI LAGER NAZISTI

Nel quadro tormentato dei prigionieri di guerra, dei deportati politici e razziali e dei lavoratori coatti che popolavano l'universo concentrazionario nazista, i soldati italiani disarmati e catturati dai tedeschi al momento dell'armistizio dell'8 settembre 1943 costituivano una categoria particolare.

 

Si trattava di poco più di un 1 milione di uomini, appartenenti alle classi di leva o richiamate dal 1911 al 1923: di questi, circa 200 mila riuscirono a fuggire; dei rimanenti (esattamente, 809.722 secondo i calcoli del maggior studioso della materia, Gerhard Schreiber) molti morirono durante i trasferimenti verso il Reich, altri furono arruolati nei battaglioni lavorativi della Wehrmacht.

 

I rimanenti, circa 700 mila, vennero deportati in Germania, in Polonia, in Bielorussia e in Ucraina, oppure trattenuti, nei Balcani, con la qualifica di "internati militari" (Imi).

 

ASSOCIAZIONE DEGLI EX INTERNATI NEI LAGER NAZISTI

Si trattava di uno status che li differenziava dai prigionieri di guerra, li sottraeva alle garanzie internazionali previste dalla Convenzione di Ginevra del 1929, li escludeva dall'assistenza della Croce Rossa.

 

In quanto cittadini dello stato alleato della Repubblica Sociale, gli Imi erano sottoposti al ricatto della liberazione in cambio dell'arruolamento in formazioni speciali di SS o nell'esercito della Rsi. Da questo punto di vista, la loro sorte è assimilabile solo a quella dei prigionieri di guerra sovietici, anch'essi al di fuori di ogni protezione e soccorso internazionale e sottoposti alla richiesta di entrare in formazioni volontarie.

 

Per gli Imi la richiesta di collaborazione avveniva entro una cornice psicologica e ambientale deprimente: la fame, il freddo, le vessazioni, le brutalità dei controlli, il peso del lavoro coatto (72 ore settimanali), l'ostilità degli altri prigionieri (che negli italiani vedevano coloro che sino ad allora erano stati alleati di Hitler), l'atteggiamento di durezza dei tedeschi verso i "traditori" dell'8 settembre creavano una situazione di debolezza sulla quale si inserivano la lusinga di un miglioramento immediato delle condizioni di vita e la prospettiva del ritorno in patria.

 

GIOVANNINO GUARESCHI INTERNATO IN UN LAGER NAZISTA

Di fronte a queste condizioni, il numero degli optanti fu di soli 70-75 mila, pari al 10%. Tutti gli altri rifiutarono la collaborazione e si posero sul terreno della resistenza, affrontando l'inasprimento delle già precarie condizione di vita nei campi. […]

 

Quali che fossero le motivazioni, «il rifiuto della collaborazione assumeva il significato di rifiuto politico del fascismo come esperienza storica», come ha scritto il giornalista Giovanni Giovannini ne Il quaderno nero, diario della sua esperienza di internato in Germania.

 

L'aspetto più rilevante di questa "resistenza dietro il filo spinato" fu la spontaneità del rifiuto, un comportamento più pronto e istintivo nei soldati, più maturo e sofferto negli ufficiali, ma sostanzialmente identico.

 

SOLDATI ITALIANI INTERNATI NEI LAGER NAZISTI

Come ha scritto un altro illustre intellettuale sopravvissuto ai campi, Giovannino Guareschi, «non ci siamo rinchiusi nel nostro egoismo, nonostante tutto non abbiamo dimenticato mai di essere uomini civili, uomini con un passato e un avvenire».

 

Circa 60 mila di loro morirono nei lager, vittime della denutrizione, delle malattie, delle violenze. Alcuni dei 600 mila che tornarono diedero vita ad un'Associazione, nata in embrione sin dal periodo della detenzione, l'Associazione nazionale ex internati (Anei), che si costituì a Torino già nel 1945 ed ebbe come primo presidente l'avvocato torinese Gaetano Zini Lamberti.

 

gianni oliva

In occasione dell'80º anniversario della fine della guerra e della costituzione dell'Associazione, l'Anei ha organizzato a Torino tre giorni di iniziative, dal 19 al 21 giugno: il primo appuntamento è alle ore 15.30 di giovedì 19 nella Sala delle Colonne del Palazzo di Città con il convegno su storia e futuro dell'Anei.

ASSOCIAZIONE DEGLI EX INTERNATI NEI LAGER NAZISTI

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