
TANTE CHIACCHIERE E NESSUNA GARANZIA PER L’UCRAINA: È LA VITTORIA DELLA DIPLOMAZIA TARGATA PUTIN – DOPO I DUE VERTICI IN ALASKA E ALLA CASA BIANCA IL PROCESSO DI PACE NON È AFFATTO AVANZATO. L’AMBASCIATORE ETTORE SEGUI ELENCA GLI OSTACOLI E I NODI DIFFICILI DA SCIOGLIERE: “MOSCA NON RICONOSCE LA LEGITTIMITÀ DI ZELENSKY E USEREBBE IL FACCIA A FACCIA PER RIBADIRE IL PROPRIO ULTIMATUM. LO ‘SCAMBIO DI TERRE’ È INCOMPATIBILE CON LA SICUREZZA UCRAINA E CON L'ARCHITETTURA EUROPEA. E LA DEFINIZIONE DELLE GARANZIE DI SICUREZZA È ANCORA NEBULOSA. PIÙ SONO VAGHE, PIÙ CRESCE IL RISCHIO DI PACE APPARENTE E GUERRA DIFFERITA”
Estratto dell’articolo di Ettore Sequi per “La Stampa”
la stretta di mano tra putin e trump ad anchorage, alaska. foto lapresse
In diplomazia esiste una regola antica: quando non si vuole far avanzare un negoziato sulla sostanza, lo si sposta sul processo. Così agisce la Russia, negoziando sui negoziati per guadagnare tempo mentre avanza sul campo. La diplomazia diventa un prolungamento della guerra […]
Sul piano politico, il processo avviato dai due vertici, Alaska tra Trump e Putin, Washington tra Trump, Zelensky e i principali leader europei, resta dunque fragile e pieno di ostacoli. Sono quattro.
Primo: il vertice Putin–Zelensky caldeggiato da Trump, è ancora incerto e rischia di essere un gesto imposto più che un passo verso la pace. Mosca non riconosce la legittimità di Zelensky e userebbe il faccia a faccia per ribadire il proprio ultimatum. Per il Cremlino l'Ucraina resta uno Stato artificiale, Zelensky un presidente illegittimo e la guerra una partita per procura contro l'Occidente.
foto di gruppo vertice alla casa bianca con zelensky e i leader europei foto lapresse
Secondo: lo "scambio di terre" è incompatibile con la sicurezza ucraina e con l'architettura europea; consegnerebbe al Cremlino il controllo del Dnipro e di linee difensive vitali, anche in vista di future nuove aggressioni.
Terzo: l'unità transatlantica è reale nelle dichiarazioni, meno nei mezzi. Senza una pressione americana coerente, Mosca non ha incentivi a cedere.
Quarto e più cruciale: la definizione delle garanzie di sicurezza è ancora nebulosa. Più sono vaghe, più cresce il rischio di pace apparente e guerra differita. Ne hanno discusso ieri i capi di Stato Maggiore della Nato, consapevoli che per Kiev nessuna concessione territoriale è possibile senza garanzie assolutamente vincolanti. Più ampie sono le rinunce, più stringenti devono essere le tutele. Garanzie senza impegni chiari e vincolanti sono solo annunci.
ettore francesco sequi foto di bacco
Qui si apre il capitolo più delicato: cosa rende "vera" una garanzia? Cinque criteri: chiarezza, vincolo giuridico, mezzi dedicati, verificabilità, automatismi di risposta. Tutto il resto è diplomazia cosmetica. Il Memorandum di Budapest del 1994 – promesse politiche in cambio della rinuncia nucleare ucraina – è la prova da manuale di ciò che non funziona. Ripetere l'errore sarebbe gravissimo.
Le opzioni sul tavolo si muovono tra due poli. Da un lato, un impegno "tipo Articolo 5" fuori dalla Nato: una clausola di difesa collettiva ad hoc che coinvolga i Paesi garanti. Ma va detto con chiarezza: l'Articolo 5 non obbliga all'intervento armato. Lascia a ciascuno la scelta dei mezzi.
volodymyr zelensky alla casa bianca con i leader europei foto lapresse
In caso di aggressione russa, le opinioni pubbliche di Francia, Italia, Germania o altri garanti accetterebbero l'invio di proprie truppe in Ucraina? Vi è poi l'ipotesi franco-britannica di una "forza di rassicurazione" europea nelle retrovie, sostenuta da copertura aerea-navale e intelligence occidentali, più un robusto pacchetto di addestramento e munizioni.
Senza impegni precisi e stringenti e regole d'ingaggio definite, però, queste garanzie restano di cartapesta: invitano il Cremlino a testarne i limiti con violazioni graduali.
Gli Stati Uniti hanno escluso proprie truppe sul terreno. Possono fornire Isr, difesa aerea, guerra elettronica, antidroni, logistica e industria bellica. È molto ma non basta: senza forte impegno Usa e chiari obblighi europei, le garanzie restano promesse scritte sull'acqua.
LA MAPPA DELL UCRAINA MOSTATA DA DONALD TRUMP A ZELENSKY ALLA CASA BIANCA
La scelta non è tra guerra e pace, ma tra una pace armata garantita e una guerra differita travestita da accordo. La prima richiede automatismi sanzionatori, monitoraggio internazionale, linee rosse funzionali (accesso ucraino al Dnipro e ai corridoi verso il Mar Nero), e un meccanismo che alzi immediatamente i costi a Mosca in caso di violazione.
La seconda si riconosce subito: promesse vaghe, garanzie senza mezzi, verifiche sommarie, formule aperte all'interpretazione del più forte.
[…]
Per l'Ucraina, qualsiasi compromesso è sostenibile solo con un sistema di sicurezza solido e irreversibile; per l'Europa, è in gioco la propria credibilità; per gli Stati Uniti, la leadership dell'ordine che hanno costruito. Tutto il resto è processo. E il processo, da solo, non ferma i carri armati.
Sul bordo esterno si muove la Cina. Vuole Mosca resiliente ma subordinata, leva contro Washington, non però a costo di destabilizzare i mercati o compattare l'Occidente. Pechino mira a un ruolo da grande potenza, interessata a partecipare alla definizione di sfere di influenza.
vladimir putin e donald trump - anchorage alaska
L'ipotesi russa di una forza di interposizione con cinesi, indiani o brasiliani serve più a confondere e prendere tempo che a stabilizzare: un teatro per affermare un "ordine non eurocentrico" senza assumersi oneri reali. La tentazione di un "Kissinger rovesciato" – distensione tra Washington e Mosca per staccare il Cremlino da Pechino – è ancora un miraggio.
vladimir putin donald trump anchorage alaska 1 foto lapresse
VERTICE ALLA CASA BIANCA CON DONALD TRUMP VOLODYMYR ZELENSKY E I VOLENTEROSI
emmanuel macron donald trump giorgia meloni friedrich merz - vertice alla casa bianca
donald trump giorgia meloni - vertice alla casa bianca
foto di gruppo vertice alla casa bianca con zelensky e i leader europei foto lapresse