1. AL FUNERALE DI ANDREOTTI, IL MEZZO URLO DI UN PASSANTE TRAFIGGE LA PIAZZA: “AHÒ, CE MANCA SOLO QUELLO DER BACIO, TOTÒ. QUEGLI ARTRI, INVECE, CE STANNO TUTTI” 2. COMUNISTI, DEMOCRISTIANI, SOCIALISTI, BERLUSCONIANI, MONTIANI, IL TRIO DE MITA-FORLANI-COLOMBO, E GLI ANDREOTTIANI SOPRAVVISSUTI: POMICINO, D’ONOFRIO, FORMIGONI 3. E POI SUORE, TASSISTI, PUBBLICO IMPIEGO, INSEGNANTI E COMMERCIANTI AI QUALI BELZEBÙ DEDICAVA TUTTI I SABATI, RICEVENDOLI NELL’UFFICIO DI SAN LORENZO IN LUCINA 4. GRANDE COMMOZIONE, NESSUNA CONTESTAZIONE - DAGOVIDEO CON TUTTI (TUTTI) I PRESENTI

Video di Veronica Del Soldà per Dagospia

Foto di Luciano Di Bacco per Dagospia


Federico Geremicca per "la Stampa"

L' urlo del passante - solo un mezzo urlo, in verità - sale dal fondo della piazza, mentre la folla esce piano dalla basilica di San Giovanni dei Fiorentini: «Ahò, ce manca solo quello der bacio, Totò. Quegli artri, invece, ce stanno tutti».

Sono le sei della sera, il sole trafigge a fatica nuvole scure e spesse, e lo «spiritaccio romano» - che è stato il suo spirito per una vita - stavolta colpisce lui: ma non falsifica la realtà. È vero, intorno al feretro di Giulio Andreotti - Belzebù, il Divo Giulio o «la volpe che finirà in pellicceria», come profetizzò Bettino Craxi - «ce stanno tutti»: e prima di tutti, inevitabilmente, i «nemici» di una vita, i democristiani, ovunque siano finiti, comunque stiano in salute e qualunque cosa pensassero di lui.

Si scriverà - ed è giusto scriverlo che nella bella basilica a due passi dal Tevere, ieri si sono finalmente celebrati i funerali della Prima Repubblica, perché nessuno come lui - come

Andreotti - l'ha percorsa dall'inizio (1947: sottosegretario di De Gasperi a Palazzo Chigi) fino alla fine (1992: presidente del Consiglio). Si dibatterà ed avrà un senso farlo - intorno al fatto che, assieme a lui, è un pezzo d'Italia quello che se ne va. Ma la morte di Giulio Andreotti, compagno di strada degli italiani negli Anni 40, '50, '60, '70, '80 e addirittura '90, è qualcosa di più ma anche di meno, contemporaneamente: è come la fine del 45 giri e dei dischi in vinile, come la morte della vecchia e cara lampadina, come la fine di Carosello, cancellato dalla Rai 36 anni fa e, guarda il caso, tornato in onda l'altra sera, il 6 maggio, proprio nel giorno della morte del Divo Giulio. È qualcosa di abituale, che se ne va. Qualcosa che, all'improvviso, in qualche momento, inspiegabilmente mancherà.

È un'epoca, non solo un modello di Repubblica, quella che si chiude. È un'idea del mondo e della politica. È uno stile di gestione del potere, del quale - ed è tutto dire - a volte si sente perfino la mancanza: la discrezione, la sobrietà, la non ostentazione.

Sui gradoni della Basilica di San Giovanni dei Fiorentini, a pochi passi dalla casa di Andreotti, in corso Vittorio Emanuele, Stefano Andreani - storico portavoce del sette volte presidente del Consiglio racconta: «Viveva in quell'appartamento dal 1960. Lo comprò con un mutuo trentennale. L'ultima rata gliel'ho pagata io nel 1990...». Non erano tempi in cui gli amici compravano a tua insaputa un appartamento di fronte al Colosseo. Magari succedeva di peggio, nel 1960: ma con discrezione, senza ostentazione, con sobrietà...

Arriva Gianni De Michelis. Tra la ressa si fanno largo, Gianni Letta, Gasparri e Mario Monti. Ma arrivano soprattutto loro, i democristiani, divisi in mille partiti, va bene, un po' al centro, un po' a destra e un po' a sinistra: ma accorsi tutti qui per seppellire un altro pezzo di sé.

C'è l'amico-nemico di una vita, Ciriaco De Mita; c'è il sodale del più micidiale patto di potere che la Repubblica (la Prima ma anche la Seconda) ricordi: cioè Forlani, l'ultima iniziale vivente di quel Caf (con Craxi e Andreotti) che dall'89 al 1992 si spartì le scarne spoglie di quel che restava di un sistema al capolinea; c'è Emilio Colombo, l'unico sopravvissuto tra i costituenti; ci sono Casini ed Enzo Scotti, Mastella e Zamberletti, Fioroni e Riccardi, Sanza, D'Antoni e si potrebbe continuare. Ma ci sono prima di tutto loro, gli andreottiani: la corrente più «cattiva», imperscrutabile e meglio organizzata della fu Dc.

Ci sono quelli che ci sono ancora, naturalmente, e mancano - dunque «pezzi da 90» come Vittorio Sbardella, Salvo Lima e Franco Evangelisti. Ma tutti gli altri, i «responsabili di settore» per conto del Divo Giulio, sono qui: Paolo Pomicino, longa manus in economia; Roberto Formigoni, delegato ai rapporti con Cl; Francesco D'Onofrio, addetto alle riforme... Sono commossi, ma come si sarebbe commosso il loro capo: gli occhi degli andreottiani restano asciutti, come quelli degli altri democristiani...

Tra le corone di fiori spicca quella del «condominio 326», gli amici di palazzo del senatore; è messa lì, segno di normalità, tra quelle del Capo dello Stato e dell'ambasciata del Nicaragua. Si vede qualche volto tv, ex manager delle partecipazioni statali, molte suore e tanti preti.

Ma si vede, soprattutto, la Roma di Andreotti, tassisti, pubblico impiego, insegnanti e commercianti ai quali - se anche appena tornato dagli Usa o dall'Urss - Belzebù dedicava tutti i sabato mattina, ricevendoli nell'ufficio di San Lorenzo in Lucina. È l'Italia Anni 60, facce di un boom economico che sognano di notte, cappotti logori e tanti «grazie Giulio, politici come te non ne verranno più».

Alle sei della sera è tutto finito, e il lavoro degli storici può iniziare. Non sarà facile districarsi tra papi e mafiosi, banchieri e ambasciatori, cancellerie, logge segrete e trasferte siciliane. Che raccontare di quell'uomo capace di governare con la destra, prima, e con il Pci, poi? E che statista può esser stato un primo ministro «amico degli arabi» e per cinquant'anni «garante degli americani»? Lo dirà la storia, forse. Per intanto, incurante dell'effetto retrò, qualcuno srotola sui gradoni della basilica una vecchia bandiera col simbolo Dc.

Già, la Dc. Sconfitta dalla storia, forse, e morta anch'essa, come il Psi, dentro la bufera di Tangentopoli. Un massacro, dal '92 in poi. Tangenti, fondi neri, finanziamenti occulti... Da Forlani a Scotti, da Gava a Pomicino, uno dopo l'altro caddero tutti accompagnati dal grido «ladri-ladri». Giulio Andreotti invece no: lui intanto faceva i conti con la grande mafia e perfino con un assassinio. Un democristiano davvero diverso, in fondo: se più nel bene o più nel male lo dirà la storia. Quando forse non interesserà più...

 

 

Sergio D Antoni Sanza S Giovanni Battista ai Fiorentini Roberto Formigoni Renato Farina Feretro di Giulio Andreotti Feretro di Giulio Andreotti Fan di Andreotti Fan di Andreotti Feretro di Giulio Andreotti

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni regionali de luca zaia salvini conte stefani decaro fico

DAGOREPORT: COME SI CAMBIA IN 5 ANNI - PER CAPIRE COME SIA ANDATA DAVVERO, OCCORRE ANALIZZARE I VOTI ASSOLUTI RIMEDIATI DAI PRINCIPALI PARTITI, RISPETTO ALLE REGIONALI DEL 2022 - LA LEGA HA BRUCIATO IL 52% DEI VOTI IN VENETO. NEL 2020 LISTA ZAIA E CARROCCIO AVEVANO OTTENUTO 1,2 MILIONI DI PREFERENZE, QUESTA VOLTA SOLO 607MILA. CONSIDERANDO LE TRE LE REGIONI AL VOTO, SALVINI HA PERSO 732MILA VOTI, IL 47% - TONFO ANCHE PER I 5STELLE: NEL TOTALE DELLE TRE REGIONI HANNO VISTO SFUMARE IL 34% DELLE PREFERENZE OTTENUTE 5 ANNI FA – IL PD TIENE (+8%), FORZA ITALIA IN FORTE CRESCITA (+28,3%), FDI FA BOOM (MA LA TENDENZA IN ASCESA SI È STOPPATA) – I DATI PUBBLICATI DA LUIGI MARATTIN....

luca zaia matteo salvini alberto stefani

DAGOREPORT – DOPO LA VITTORIA DEL CENTRODESTRA IN VENETO, SALVINI NON CITA QUASI MAI LUCA ZAIA NEL SUO DISCORSO - IL “DOGE” SFERZA VANNACCI (“IL GENERALE? IO HO FATTO L'OBIETTORE DI COSCIENZA”) E PROMETTE VENDETTA: “DA OGGI SONO RICANDIDABILE” – I RAS LEGHISTI IN LOMBARDIA S’AGITANO PER L’ACCORDO CON FRATELLI D’ITALIA PER CANDIDARE UN MELONIANO AL PIRELLONE NEL 2028 - RICICCIA CON PREPOTENZA LA “SCISSIONE” SUL MODELLO TEDESCO CDU-CSU: UN PARTITO “DEL TERRITORIO”, PRAGMATICO E MODERATO, E UNO NAZIONALE, ESTREMISTA E VANNACCIZZATO…

luca zaia roberto vannacci matteo salvini

NON HA VINTO SALVINI, HA STRAVINTO ZAIA – IL 36,38% DELLA LEGA IN VENETO È STATO TRAINATO DA OLTRE 200 MILA PREFERENZE PER IL “DOGE”. MA IL CARROCCIO DA SOLO NON AVREBBE COMUNQUE VINTO, COME INVECE CINQUE ANNI FA: ALLE PRECEDENTI REGIONALI LA LISTA ZAIA PRESE DA SOLA IL 44,57% E IL CARROCCIO IL 16,9% - SE SALVINI PIANGE, MELONI NON RIDE: NON È RIUSCITA A PRENDERE PIÙ VOTI DELLA LEGA IN VENETO E IN CAMPANIA È TALLONATA DA FORZA ITALIA (11,93-10,72%). PER SALVINI E TAJANI SARÀ DIFFICILE CONTRASTARE LA RIFORMA ELETTORALE - PER I RIFORMISTI DEL PD SARÀ DURA DARE UN CALCIO A ELLY SCHLEIN, AZZERATE LE AMBIZIONI DI GIUSEPPE CONTE COME CANDIDATO PREMIER - "LA STAMPA": "IL VOTO È LA RIVINCITA DELLA ‘LEGA NORD’ SU QUELLA SOVRANISTA E VANNACCIANA: LA SFIDA IDEOLOGICA DA DESTRA A MELONI NON FUNZIONA. IL PARTITO DEL NORD COSTRINGERÀ SALVINI AD ESSERE MENO ARRENDEVOLE SUI TAVOLI DELLE CANDIDATURE. SUL RESTO È LECITO AVERE DUBBI…”

xi jinping vladimir putin donald trump

DAGOREPORT – L'INSOSTENIBILE PIANO DI PACE DI TRUMP, CHE EQUIVALE A UNA UMILIANTE RESA DELL'UCRAINA, HA L'OBIETTIVO DI  STRAPPARE LA RUSSIA DALL’ABBRACCIO ALLA CINA, NEMICO NUMERO UNO DEGLI USA - CIÒ CHE IL TYCOON NON RIESCE A CAPIRE È CHE PUTIN LO STA PRENDENDO PER IL CULO: "MAD VLAD" NON PUÒ NÉ VUOLE SFANCULARE XI JINPING - L’ALLEANZA MOSCA-PECHINO, INSIEME AI PAESI DEL BRICS E ALL'IRAN, È ANCHE “IDEOLOGICA”: COSTRUIRE UN NUOVO ORDINE MONDIALE ANTI-OCCIDENTE – IL CAMALEONTISMO MELONI SI INCRINA OGNI GIORNO DI PIÙ: MENTRE IL VICE-PREMIER SALVINI ACCUSA GLI UCRAINI DI ANDARE “A MIGNOTTE” COI NOSTRI SOLDI, LA MELONI, DAL PIENO SOSTEGNO A KIEV, ORA NEGA CHE IL PIANO DI TRUMP ACCOLGA PRATICAMENTE SOLO LE RICHIESTE RUSSE ("IL TEMA NON È LAVORARE SULLA CONTROPROPOSTA EUROPEA, HA SENSO LAVORARE SU QUELLA AMERICANA: CI SONO MOLTI PUNTI CHE RITENGO CONDIVISIBILI...")

donald trump volodymyr zelensky vladimir putin servizi segreti gru fsb cia

DAGOREPORT - L’OSCENO PIANO DI PACE SCODELLATO DA TRUMP, CHE EQUIVALE A UNA CAPITOLAZIONE DELL’UCRAINA, ANDAVA CUCINATO BENE PER FARLO INGOIARE A ZELENSKY - E, GUARDA LA COINCIDENZA!, ALLA VIGILIA DELL’ANNUNCIO DEL PIANO TRUMPIANO SONO ESPLOSI GLI SCANDALI DI CORRUZIONE A KIEV, CHE VEDONO SEDUTO SU UN CESSO D’ORO TIMUR MINDICH, L’EX SOCIO DI ZELENSKY CHE LO LANCIÒ COME COMICO - PER OTTENERE ZELENSKY DIMEZZATO BASTAVA POCO: È STATO SUFFICIENTE APRIRE UN CASSETTO E DARE ALLA STAMPA IL GRAN LAVORIO DEI SERVIZI SEGRETI CHE “ATTENZIONANO” LE TRANSIZIONI DI DENARO CHE DA USA E EUROPA VENGONO DEPOSITATI AL GOVERNO DI KIEV PER FRONTEGGIARE LA GUERRA IN CORSO…