silvio garattini

"LA DC CON ENZO SCOTTI MI VOLEVA MINISTRO DELLA SANITÀ MA RIFIUTAI. MI AVREBBERO CACCIATO DOPO 15 GIORNI” - IL FONDATORE DELL'ISTITUTO "MARIO NEGRI" DI MILANO, SILVIO GARATTINI, A 96 ANNI, SALTERA’ PURE LA CENA MA NON SALTA MAI UNA INTERVISTA: “DA GIOVANE MI IMMAGINAVO SEMINARISTA” – L’IMMANCABILE DOLCEVITA E LE LITI CON GIANFRANCO FUNARI IN TV: “VISTO CHE CONTINUAVA A FUMARE GLI DISSI: "COSÌ DÀ UN CATTIVO ESEMPIO". RISPOSE: "SI VERGOGNI LEI, CHE VIENE IN TV SENZA CRAVATTA" – LA DONAZIONE A SORPRESA, LA BIRRA DEALCOLATA E LA MORTE…

Filippo Maria Battaglia per “la Stampa” - Estratti

 

silvio garattini

Come ogni mattina, Silvio Garattini è seduto nel suo studio all'Istituto di ricerche Mario Negri, che ha fondato più di sessant'anni fa a Milano. Oggi però il suo sorriso non riesce a mitigare l'ombra di un lieve disappunto. «Ho un po' di mal di schiena - dice, sistemando un cuscino sulla sedia - una cosa di cui finora, a 96 anni, non avevo mai sofferto».

Qualche giorno fa il farmacologo più noto d'Italia è caduto mentre era in trasferta a Roma per lavoro.

«Dieci punti di sutura: per fortuna non mi sono rotto niente, però ho avuto una forte contrazione muscolare e i miei cinque figli mi hanno proibito di viaggiare. Temo che fino alla fine del mese non mi faranno muovere». Poco male: Garattini continua a scrivere e a lavorare. Il suo ultimo libro, pubblicato da Baldini+Castoldi, lo ha scritto insieme a Mario De Curtis, uno dei più importanti pediatri italiani e, come prescrive il titolo, è dedicato a La salute dei bambini.

 

Il piccolo Garattini voleva già studiare medicina?

mario de curtis silvio garattini cover

«In realtà, allora non avevo molte idee. Andavo all'oratorio, a un certo punto pensai pure di entrare in seminario. Poi ho fatto il catechista, prima di iscrivermi a Gioventù Studentesca e scrivere su un giornale, Quattro meno, a cui collaborava anche Umberto Eco».

 

(...)

Era il '48, l'anno del grande scontro tra la Dc e il Fronte di Nenni e Togliatti.

«E io, da cattolico, partecipai. Ricordo ancora una trasferta in Emilia-Romagna: al primo comizio, la piazza era vuota ma capimmo presto che in molti ci ascoltavano da dietro le finestre».

 

Ha mai avuto la tentazione di fare politica?

«No. Anche se, molti anni dopo, la Dc con Enzo Scotti mi chiese di fare il ministro della Sanità».

 

E lei cosa rispose?

«Che non c'erano le condizioni. Un ministro deve dire sempre di sì, mi avrebbero cacciato dopo 15 giorni».

 

silvio garattini

Come mai scelse Medicina?

«Nel dopoguerra, mia madre e uno dei miei fratelli si ammalarono. Non c'era ancora il Servizio sanitario nazionale, mio padre dovette prendere un secondo lavoro per curarli».

 

Lei come si manteneva?

«Lavoravo all'Azione Cattolica. Poi, al terzo anno di università, preparai l'esame di Farmacologia: a fine corso, il professor Emilio Trabucchi chiese se ci fosse qualcuno che voleva provare a fare una lezione. Alzai la mano e parlai dei rapporti fra struttura chimica e attività antistaminica».

 

Andò bene?

Silvio Garattini

«Così bene che saltai l'esame. Mi propose di andare in laboratorio, iniziai a pubblicare studi prima della laurea, mettendo a frutto ciò che avevo imparato da perito: usavo la mia capacità analitica per misurare ciò che restava del farmaco nel sangue».

 

Trabucchi, a un certo punto, venne eletto parlamentare.

«E io, di fatto, lo sostituii. Continuai a pubblicare, ma ero affascinato dalle ricerche americane. Così dissi: "Voglio andare a vedere"».

 

(...)

Fino a quando non incontrò Mario Negri.

«Era un imprenditore che dopo la guerra fece tanti soldi grazie all'intuizione di creare il gioiello industriale, creato con le macchine. Gli chiesi: "Perché non mi aiuta?"».

E lui?

silvio garattini petrolio

«All'inizio nicchiò: "Sei un po' giovane". Ma quando, poco dopo, morì, nel testamento lasciò un legato per aprire una fondazione, prescrivendo che la dirigessi».

 

All'università come la presero?

«Tentarono di portare tutto lì dentro, promettendomi una cattedra. Ma l'accordo con Negri non era questo. Così iniziarono a remarmi contro. Erano convinti che non ci sarei riuscito».

 

Quanti siete oggi?

«Poco più di 700, divisi nelle tre sedi di Milano e Bergamo».

Alla prima donazione di Negri ne sarebbero seguite molte altre.

«Alcune imprevedibili, altre commoventi».

 

Ad esempio?

«Fino a poco tempo fa, ogni anno prima di Natale una vecchietta milanese si presentava con un assegno di poco più di mille euro: erano i suoi risparmi annuali.

Quando morì, ci lasciò tutti i suoi averi: meno di 5mila euro. Mi commossi».

 

La donazione invece più inaspettata?

orazio schillaci silvio garattini giulio mkaira milly carlucci foto di bacco

«Un giorno una signora si presentò con due borsoni. Pensavo volesse vendermi dei prodotti, invece cominciò a tirar fuori dei lingotti. Non mi disse il nome, lasciò tutto e se ne andò».

 

Le sue interviste in tv hanno aiutato a far crescere la fondazione?

«Molto: furono di grande aiuto per far conoscere il nostro lavoro».

 

Da sempre la sua immagine è riconoscibile, a cominciare dall'immancabile dolcevita bianco.

«Iniziai a usarlo dopo i primi viaggi degli anni Cinquanta. È comodo e, a differenza della camicia, non va stirato».

 

Qualcuno ebbe da ridire per l'informalità di quell'abbigliamento?

orazio schillaci silvio garattini foto di bacco

«Gianfranco Funari. Una sera era suo ospite, visto che continuava a fumare gli dissi: "Guardi che così dà un cattivo esempio". Rispose: "Si vergogni lei, che viene in tv senza cravatta"».

 

Quella contro il fumo è una delle sue battaglie.

«I fumatori danneggiano non soltanto loro stessi ma anche gli altri: ogni anno 50 miliardi di mozziconi finiscono sul terreno, nelle falde e quindi anche nel cibo che mangiamo. Per non parlare dell'alcol: è cancerogeno come la sigaretta, ma lo trattiamo in modo diverso».

gianfranco funari

 

Non beve?

«Pochissimo, da sempre. E adesso solo birra dealcolata».

 

Nel 2018 ha lasciato a Giuseppe Remuzzi la guida della fondazione. Dopo tutti questi anni, è stato difficile passare la mano?

«Non è stata la cosa più piacevole del mondo, ma - superati i 90 anni - il pericolo che morissi e che si creasse il caos sulla mia successione era troppo alto».

 

Ha paura della morte?

«No. So bene che abbiamo 900mila novantenni ma solo 22mila centenari. Se domattina mi sveglio, è già un successo; ma se mi sveglio, devo fare tutto quello che posso, come se dovessi vivere altri cent'anni».

 

Come ci riesce?

«Con l'equilibrio, la cosa più importante per continuare a lavorare».

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