dago 25 anni dagospia roberto dagostino d'agostino redazione anna rocco federici

“LA NASCITA DI DAGOSPIA? AVEVO UNA CRISI DI MEZZA ETÀ CHE MI PORTAVA A PENSARE CHE NE SAPESSI QUALCOSA DI PIÙ DI TUTTI QUELLI CHE MI DAVANO ORDINI” – L’INTERVISTA DI DAGO A “CHI” PER I 25 ANNI DI QUESTO DISGRAZIATO SITO: “AVEVO STUDIATO BENE LA RIVOLUZIONE DIGITALE, CHE NON ERA STATA RECEPITA DA NESSUNO. PUNTAVO A FARE UN SITO DI COSTUME: NELLA MIA VITA AVEVO CONOSCIUTO CANI E PORCI. SAPEVO RACCONTARE ED ESSERE SPIRITOSO - LA MIA GIOIA È ANCORA CHIUDERE LA SERA IL SITO, MORIRE PER RINASCERE LA MATTINA DOPO. E SONO ARRIVATO A 77 ANNI, UN GIORNO DAVANTI ALL'ALTRO. ORA HO MESSO LE BASI PERCHÉ SI CONTINUI ANCHE DOPO DI ME, HO UNA REDAZIONE CHE NE HA LA VOGLIA E L'ENERGIA - QUANDO ARRIVI ALLA MIA ETÀ, LO SAI CHE STAI ALL'ULTIMO GIRO DI GIOSTRA, LA FINE ARRIVERÀ, MA TUTTO CONTINUA. RESTANO CARAVAGGIO E IL PANTHEON E ALTRA GENTE CHE LI ANDRÀ A VEDERE. MI PIACEREBBE CHE RIMANESSE DAGOSPIA, CHE PER ME È UN FIGLIO”

Azzurra Della Penna per “Chi”

 

ROBERTO DAGOSTINO CON LA MOGLIE ANNA FEDERICI E IL FIGLIO ROCCO

La chiesa è circolare, il mausoleo di Santa Costanza del 300 dopo Cristo. «La storia, con la "S" maiuscola, vince sempre. Se guardo Caravaggio, come il Pantheon, so che sono inesorabilmente perdente», Roberto D'Agostino dà una boccata al sigaro. Si è appena celebrata la messa di ringraziamento per i 25 anni del suo Dagospia.

 

Domanda. Perché la messa?

Risposta. «È un atto di gratitudine. E la gratitudine comporta due passi. Il primo è il riconoscimento per quello che si è ricevuto, il secondo passo è il desiderio di poterlo contraccambiare. In 25 anni Dagospia ha ricevuto infinite cose, non tutte belle, non tutte buone.

ROBERTO DAGOSTINO AGLI ESORDI

 

Ma in mezzo a questo groviglio di cose, ha ricevuto tante cose che meritano di essere apprezzate e ricompensate con quel "rendere grazie" che la Santa Messa esprime in modo sublime. 

 

Oltretutto, è l'unico modo per contraccambiare il bene e l'amicizia di persone che non sono più in questo mondo. E siccome sono cattolico e credente, questo è veramente il modo migliore per celebrare la vita, quella con la "V" maiuscola, ora e sempre».

 

Dago, Anna, Rocco, Arbore - Messa di ringraziamento

D. L'amicizia, già... E chi sono gli amici, ha dei nomi?

R. «L'amico è quello che ti salva la vita senza averne un tornaconto. Forse. A me è capitato di salvare e di essere salvato. Per il resto non è che non voglia fare nomi, è il disincanto romano: so che non si conosce mai nessuno fino in fondo. E so che ho fatto degli sbagli nella scelta di persone vicine e che ho pagato. Ma sa che c'è? Che sbagliando uno si può permettere, dopo, di sbagliare meglio».

 

D. E fu sull'onda di un errore che nacque il sito?

R. «Sì e no. Perché è nato prima di tutto sull'onda del fatto che avevo 51 anni, però - a parte quello che mi era successo con L'Espresso (Gianni Agnelli si era risentito per una storia di barche e di sfortuna, ndr) - il posto ce l'avevo. Ma avevo pure una crisi di mezza età che mi portava a pensare che ne sapessi qualcosa di più di tutti quelli che mi davano ordini. E poi avevo studiato bene la rivoluzione digitale, che non era stata recepita da nessuno».

 

intervista a dago su chi

D. Un cambio così... Ma uno scopre il golf, si fa l'amante...

R. «Il golf... Vabbè. È che dipende tutto dal carattere. A vent'anni entrai in banca per lasciarla 12 anni dopo, con tutti contro. La banca all'epoca era considerata un "per sempre" Ma io quando mi stanco, uhm, quando mi arriva la nevrosi, cioè quando il corpo è costretto a fare una cosa e il cervello vuole farne un'altra, quando ti alzi la mattina con la nausea...Quindi, piuttosto che vivere in quel modo, ho preferito andare allo sbaraglio. Non ho mai avuto quell'avidità... mai volute due macchine e tre ville. Volevo e voglio soddisfare altri desideri, i miei».

 

dago su chi

D. Dagospia è libertà?

R. «Fino a un certo punto. Intanto, quando comincio a fare Dagospia sono ancora un dipendente dell'Espresso, mi lasciano fare il sito perché nel mio contratto su Internet non c'è una parola, non esiste l'esclusiva sul mondo digitale, visto che non esiste. La reazione è: "Poverino, non lo fanno scrivere sui giornali"».

 

D. E dove sta? Con chi sta?

R. «In via Condotti, una stanza, da solo. Mica mi potevo permettere una redazione, però me la cantavo e me la suonavo, mettevo due o tre pezzi al giorno, ora ne mettiamo 120-130».

 

D. L'eterogenesi dei fini?

R. «Sì. Puntavo a fare un sito di costume: nella mia vita avevo conosciuto cani e porci, avendo frequentato salotti, salottini e discoteche. Sapevo raccontare ed essere spiritoso. Così penso: "Ma come mai le storie incredibili che conosco non le racconta nessuno?". L'ho fatto io».

DAGO CON LA REDAZIONE DI DAGOSPIA (LUCA DAMMANDO, ASCANIO MOCCIA, FRANCESCO PERSILI, ALESSANDRO BERRETTONI, RICCARDO PANZETTA, GREGORIO MANNI, FEDERICA MACAGNONE)

 

D. E perché non è stato messo ai margini come Truman Capote?

R. «Perché qui a Roma non c'è il classismo, il razzismo. Truman Capote, ragazzo del Sud, era accettato come giullare. Roma, invece, ha il piacere della "caciara", in ogni salotto romano trovi da Moravia alla marchetta, da Ettore Scola alla comparsa, dalla tr**etta, all'arcivescovo».

 

D. Ok, ma quando inizia a pubblicare cosa succede?

R. «Ah, vabbè, tutti inferociti, il primo mese becco cinque querele».

 

D. Collezionista, sempre.

R. «E ho anche pagato perché certe porte si sono chiuse definitivamente. Ma io provavo un piacere. Vede, la vita è fatta di racconti, tutti i pilastri della cultura, il Decamerone a Occidente, Le mille e una notte a Oriente, sono racconti. 

 

Il giornalismo è un racconto, poi quando ci incontriamo ci raccontiamo le storielle, gli aneddoti, i cascatoni. Ho sempre amato questo, a me dei convenevoli non me ne frega niente: raccontami una storia, la tua».

 

D. Ma come ha fatto a non chiudere il primo mese?

DAGO DJ

R. «I tempi della magistratura sono così lunghi che mi scordavo la ragione della querela...

E poi avevo e ho Anna (Federici, la moglie, ndr), che è mia complice in questa avventura».

 

D. Si arrabbiavano, e si arrabbiano, più per le notizie o per le foto?

R. «Le foto: io voglio sempre la foto più brutta, odio le foto in posa, devono essere senza filtri. Tutti a fare i selfie e io che metto quello che mangia, che si gratta, che si scaccola. Del resto, il successo dei social, soprattutto, nasce dal fatto che ognuno diventa il fanclub di se stesso».

 

D. Ma al costume, alla politica, all'economia, che è successo a un certo punto?

dago con dario salvatori e clemente mimun, gianni boncompagni, renzo arbore

R. «Quando ho iniziato Dagospia non avevo mai letto Il Sole 24 Ore, ma le persone che venivano da me, mi raccontavano di connessioni economiche, politiche... Dagospia stava  diventando una buca delle lettere, mentre sui giornali sparivano le notizie perché i giornali erano stati acquistati dal grandi gruppi e dai grandi imprenditori».

 

D. Torniamo alla famosa libertà?

R. «Rispondo ancora: fino a un certo punto, non possiamo entrare in camera da letto».

 

D. Proprio lei dice così?

R. «Non è che racconto tutto quello che mi dicono, sarebbe impensabile».

 

dago quelli della notte da chi

D. E quanto racconta?

R. «Diciamo che racconto il 50% di quel che so. Bisogna sempre vedere perché uno ti racconta una storia».

 

D. Nel tempo si è fatto furbo?

R. «Ero già furbetto quando ho iniziato, e poi sputtanare qualcuno non vuol dire essere libero».

 

D. Dago si è mai trattenuto per cuore, per buon cuore?

R. «Sempre quando ci vanno di mezzo i figli. E pure quando ci sono persone con cui ho un buon rapporto. Detto questo, se uno ruba, se uno commette un reato non c'è storia, scrivo. Ma un po' di tenerezza verso la debolezza ce l'ho pure io».

dago su chi

 

D. Parliamo di amori segreti, giusto?

R. «Siamo stati tutti traditi e traditori, il problema è solo quando certe debolezze le hanno persone che hanno anche una responsabilità istituzionale... No, non si può fare, anche se il piacere di cambiare il mondo ha fallito e resta solo il piacere».

 

D. Non cominciamo con le frasi fulminanti, oggi ha quasi 77 anni…

R. «E a mia moglie avevo detto: "Ti giuro, Anna, a 60 anni vado in pensione"».

 

D. E che è successo?

R. «Che la mia gioia è ancora chiudere la sera il sito, morire per rinascere la mattina dopo. E sono arrivato a 77 anni, un giorno davanti all'altro. E ora ho messo le basi, le radici perché si continui anche dopo di me, ho una redazione, Riccardo, Alessandro, Francesco, Federica, Luca, Ascanio, Gregorio, che ne ha la voglia e l'energia».

 

D. Dago, perché parla così? Pensa alla morte?

Redazione di Dagospia - Messa di ringraziamento

R. «Quando arrivi alla mia età certo che ci pensi, lo sai che stai all'ultimo giro di giostra, la fine arriverà, ma tutto continua. Restano Caravaggio e il Pantheon e altra gente che li andrà a vedere.

 

Resta la storia con la "S'" maiuscola, e noi romani che abbiamo visto passare Giulio Cesare e Gesù Cristo sappiamo distinguere meglio di altri la Storia dalla cronaca. E mi piacerebbe che rimanesse Dagospia, che comparisse sui computer, sui telefonini... Per me non è la Storia, ma neanche solo cronaca, solo un lavoro fatto in un periodo di vita di un giornalista, per me è un figlio».

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