leonard cohen

1. 2016, L’ANNO ORRIBILE DELLA MUSICA: DOPO BOWIE, PRINCE SE NE VA A 82 ANNI LEONARD COHEN 2. TRA I SUOI CAPOLAVORI, “SUZANNE” E “HALLELUJAH'' - ''ROLLING STONE'': “CON LA SUA VOCE BARITONALE CANTAVA DI AMORE E ODIO, ESTASI E DEPRESSIONE", 3. ALLA VIGILIA DELL'USCITA DEL SUO DISCO ''YOU WANT IT DARKER'', AVEVA ANNUNCIATO DI ESSERE PRONTO PER IL TRAPASSO - VIDEO

1. HALLELUJAH - VIDEO

 

 

3. E' MORTO LEONARD COHENLEONARD COHEN 1LEONARD COHEN

Da "ansa.it"

E' morto all'eta' di 82 anni Leonard Cohen. Lo annuncia la sua casa discografica Sony Music Canada sulla pagina Facebook di Cohen scrivendo:''Con profondo dolore comunichiamo che il leggendario poeta, cantautore ed artista Leonard Cohen e' morto''. La notizia viene riportata anche dalla rivista Rolling Stone online. Non viene rivelata la causa della morte.

 

''Abbiamo perso uno dei piu' prolifici visionari. Una commemorazione si terra' a Los Angeles fra qualche giorno. La famiglia richiede privacy nel suo periodo di dolore'', ha proseguito la Sony. Leonard Cohen e' stato una sorta di eminenza grigia in un piccolo nucleo di cantanti e cantautori di grande impatto, in una generazione emersa a cavallo tra gli anni Sessanta e i primi anni Settanta. Solo Bob Dylan e Joan Baez esercitarono probabilmente un'influenza piu' profonda sulla loro generazione, e forse solo la conterranea canadese Joni Mitchell, cantautrice icona della West Coast, fu al suo livello nelle liriche. Leonard Norman Cohen era nato il 21 settembre 1934 a Westmount, nel Quebec.

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L'eminenza grigia in un piccolo pantheon di influenti cantautori degli annni Sessanta e Settanta, Cohen aveva gareggiato con Dylan quanto a influenza sui suoi contemporanei e forse solo Paul Simon e l'altra canadese Joni Mitchell avevano avuto un pari ruolo come autori di poesia in musica. "Con la sua voce baritonale cantava di amore e odio, estasi e depressione" lo ha ricordato Rolling Stone.

 

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Aveva imparato a suonare la chitarra da ragazzo e aveva formato un gruppo folk, i Buckskin Boys. Presto ispirato da Federico Garcia Lorca si era rivolto alla poesia. Dopo la laurea alla McGill University, si era trasferito nell'isola greca di Hydra dove aveva pubblicato le sue prime raccolte di poesie Flowers for Hitler nel 1964 e i racconti The Favourite Game nel 1963 e Beautiful Losers nel 1966. Frustrato dalle scarse vendite e poi dal lavoro in una fabbrica di vestiti a Montreal, visito' New York nel 1966 e si immerse nell'ambiente del folk-rock della citta'.

LEONARD COHENLEONARD COHEN

 

Conobbe la cantante folk Judy Collins, che in quello stesso anno inseri' due canzoni di Cohen nel suo album ''In my life''. Una delle due era il primo celeberrimo successo di Cohen ''Suzanne''. Le sue frequentazioni nella ''Grande Mela'' comprendevano all'epoca Andy Warhol e i Velvet Underground con la loro musa, la mitica cantante tedesca Nico, le cui atmosfere sul filo della depressione ripropose nel suo album del 1967 ''Songs of Leonard Cohen''. E' stato uno dei pochi artisti della sua generazione ad avere successo anche superati gli ottanta anni, e il suo ultimo album ''You Want It Darker'', e' stato pubblicato quest'anno.

 

 

4. SONO PRONTO A MORIRE

Nick Levine per “NME” pubblicato da Dagospia il 12 ottobre 2016

Marianne Ihlen e Leonard Cohen  Marianne Ihlen e Leonard Cohen

Leonard Cohen rivela che “si sente pronto a morire”. In una intervista approfondita al “New Yorker” il leggendario cantautore che a 82 anni, il prossimo 21 ottobre, pubblicherà il disco “You Want It Darker”, ha detto: «Non credo che riuscirò a finire le prossime canzoni. Forse. Chi lo sa? Non mi azzardo a legarmi ad una strategia spirituale. Non oso farlo. Ho del lavoro da fare, devo occuparmi dei miei affari. Sono pronto a morire. Spero che non sia troppo sgradevole».

 

Gli amici confermano che è improbabile che Cohen torni sul palco a fare concerti. Magari una singola performance, un evento, una serie di date ma in un unico posto.

 

 

5. ''IL NOBEL A DYLAN? COME DARE UNA MEDAGLIA ALL’EVEREST PERCHÉ È LA MONTAGNA PIÙ ALTA DEL MONDO”

Giuseppe Videtti per “la Repubblica” pubblicato da Dagospia il 17 ottobre 2016

 

COHEN DYLANCOHEN DYLAN

Lo ascolti come una preghiera, un sermone, un mantra. Ti fai attraversare dalla sua voce torbida e profonda, implacabilmente sensuale. Ogni verso pronunciato da Leonard Cohen è un’allerta che non puoi ignorare, una raffinata, irresistibile opera di seduzione che induce all’abbandono, azzera le difese, costringe alla resa. Ci si perde nel labirinto di quella voce baritonale che arriva chissà da quali recessi del corpo o dell’anima. Cohen non accarezza, abbraccia, stringe forte, e quando ti lascia, sono solo blues.

 

Lo faceva con l’entusiasmo e il tormento dei vent’anni, ancora profumato di beat generation, lo fa con voce persino più prepotente oggi che ha compiuto 82 anni e sta per pubblicare (il 21 ottobre) You want it darker, il quattordicesimo album. Segni di stanchezza? Nessuno. Fragilità senili? Neppure. Cedimenti nella voce? Tutt’altro.

 

Marianne Ihlen e Leonard Cohen  Marianne Ihlen e Leonard Cohen

Cohen ha fatto suo il motto di Jacques Brel — gli adulti sono così stronzi! — e della maturità sfoggia solo la consapevolezza, nessun presagio di esaustione fisica dopo un interminabile, vigoroso tour di tre anni (parla anzi di altri due dischi in cantiere). Non ha una nuova musa da venerare, la sua Marianne (Ihlen) è morta qualche mese fa mentre al capezzale le sussurravano i versi della “loro” canzone, e Suzanne è un enigma che incarna di volta in volta le sembianze della donna amata, il suo odore, il suo sapore, persino l’assenza.

 

You want it darker non è un ostentato tripudio di vitalità, sarebbe insensato da un artista di quest’età, ma le riflessioni di un uomo alla fine dei giorni che con serena autorevolezza costringe angeli e demoni, estasi e tormenti di una vita intera, a stringersi la mano. Nella dimensione poetica di Cohen, dove il profano è divino almeno quanto il sacro, il frequente riferimento ai testi sacri è una sorta di catarsi. «Hineni, hineni», recita in yiddish in You want it darker, «I’m ready my Lord» — Sono qui, mio Signore, sono pronto.

Marianne Ihlen e Leonard Cohen   Marianne Ihlen e Leonard Cohen

 

Le parole di Abramo non rappresentano la capitolazione del cantautore né la ricerca di un estremo conforto tra le braccia della fede, piuttosto una quieta accettazione dell’impermanenza (sul finale, la voce di Gideon Zelermyer, cantore della sinagoga Shaar Hashomayim di Montreal, quella che Leonard frequentava da bambino, aggiunge al brano un pathos straordinario).

 

Subito dopo, in Treaty, Cohen si rivolge direttamente a Dio col suo piglio consueto: «Abbiamo acceso milioni di candele per un aiuto che non è mai arrivato (…) Vorrei ci fosse un armistizio tra il tuo amore e il mio». E in It seemed the better way ribadisce con saggezza laica: «Sembrava la via giusta, quando lo sentii parlare per la prima volta. Ora è davvero troppo tardi/Per porgere l’altra guancia. Sembrava la verità, Ma non è la verità oggi».

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Adam Cohen, chiamato per la prima volta a collaborare con suo padre insieme all’inseparabile Pat Leonard (già produttore di Madonna), ha enfatizzato la dimensione spirituale di You want it darker affidandosi ai cori femminili (in On the level arrivano come voci portate dal vento da chissà quali altre dimensioni), al pianoforte e al violino, che s’insinua malinconico tra i recitativi — struggente come quello di Itzhak Perlman nella scena più toccante di Schildler’s list. 

 

Quando la musica diventa più avvolgente, come in Leaving the table, un sontuoso blues che si scioglie in un valzer, Cohen ci avvita le incertezze della terza età con un’abilità che lascia sbalorditi: «Sto lasciando il tavolo/Sono fuori dai giochi/Non conosco le persone/ Che hai messo in cornice»; non un segno di resa, ma la consapevolezza dei propri limiti. In Traveling light voce e violino raggiungono un effetto sorprendente: Cohen si abbandona ai ricordi e sussurra i suoi versi all’orecchio, tremendamente persuasivo, appassionato, seducente, come quando, ai tempi del Chelsea Hotel, cantava il mistero del corpo femminile e il desiderio che lascia senza difese:

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«Buona notte, buona notte mia stella cadente/Credo tu avessi ragione, l’hai sempre avuta/ Vivi una vita che non avresti mai scelto/E io sono solo un pazzo, un sognatore che ha trascurato di sognare di me e di te». Infine in Steer your way, severo e autorevole, bacchetta l’arroganza dei nostri tempi e invita tutti al «mea culpa che col tempo abbiamo dimenticato».

 

Mentre Bob Dylan tesse le lodi del collega attraverso le pagine del New Yorker, che dedica un profilo monumentale all’illustre canadese, Cohen ha commentato il Nobel che ha diviso il mondo della cultura nel modo più equilibrato: «Come dare una medaglia all’Everest perché è la montagna più alta del mondo».

JONI MITCHELL LEONARD COHENJONI MITCHELL LEONARD COHEN

 

 

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