FACCIAMO 4 ZOMBI SULLA GUERRA FREDDA – NONNO KISSINGER PARLA DI BOMBA NUCLEARE E L’EX CANCELLIERE SCHMIDT S’INFIAMMA: “NON ME NE FREGA NIENTE! ANCORA SUL PASSATO MENTRE L’EUROPA RISCHIA LA FINE”

Tonia Mastrobuoni per "La Stampa"

«Vuol sapere se la Nato ci sarà ancora tra dieci anni? Non me ne importa un bel niente!». Helmut Schmidt riesce a strapparsi le cuffie dalle orecchie senza scomporre la caratteristica, drittissima riga nei capelli. È furibondo. Incenerisce con lo sguardo il moderatore, che ha formulato una domanda forse inutile, ma soprattutto indelicata, vista l'età degli interlocutori.

Quattro leggendari leoni della politica mondiale, 370 anni in tutto: Henry Kissinger, Valéry Giscard d'Estaing, Egon Bahr e, appunto, il vecchio cancelliere socialdemocratico. Ci sono anche Ed Milliband e il ministro polacco Sikorski, ma fanno la parte dei bimbi a tavola, quando gli adulti parlano di cose importanti.

Schmidt fino a quel momento è sembrato quasi assopito, seduto nella sedia a rotelle e appoggiato al bastone, avvolto nel fumo delle sue sigarette al mentolo che si porta, notoriamente, fin nel loggione dei teatri. «Questa discussione - ruggisce - non mi è piaciuta, tutta incentrata sugli ultimi 50 anni, invece che sui prossimi. La verità è che se la Ue continua con queste politicucce, nel 2050 forse ci sarà la Nato, ma non l'Europa». È un fiume in piena, «gli europei si sopravvalutano, perciò parlano tanto degli ultimi, gloriosi decenni».

L'ex cancelliere era qui a Monaco proprio mezzo secolo fa, come giovane leader politico locale, alla prima Conferenza sulla sicurezza convocata da una grande figura del dopoguerra tedesco, Ewald von Kleist. Come ufficiale della Wehrmacht, von Kleist aveva aderito alla resistenza e aveva partecipato all'attentato a Hitler del 1944 del colonnello von Stauffenberg. Dopo la guerra era diventato editore e, durante la crisi dei missili a Cuba, aveva deciso di fondare la Conferenza, per consentire a esperti di tutto il mondo di discutere in un contesto indipendente, internazionale, su questioni di sicurezza.

Ma 50 anni dopo, Schmidt è stanco di sentir parlare di Guerra fredda. E i suoi strali sono rivolti anche agli interlocutori precedenti, Kissinger e Egon Bahr, felicissimi, invece, di litigare per la miliardesima volta sulla guerra nucleare, proprio come ai bei vecchi tempi del mondo ordinatamente spaccato in due.

Anche il grande stratega di decenni di politica estera americana era qui già mezzo secolo fa, alla prima Conferenza. Lotta con le cuffie, comincia il suo intervento mantenendole in testa, ascolta le interpreti tradurre le sue parole, poi esclama «come suono profondo, tradotto in tedesco!». Ma le risate in sala si spengono subito.

Egon Bahr - uno dei padri della Ostpolitik, dell'avvicinamento al blocco sovietico e alla Ddr promosso dal cancelliere Willy Brandt alla fine degli Anni 60 - ha appena finito di spiegare che la Guerra fredda si reggeva su un equilibrio perfetto, riassumibile con «chi spara per primo, muore per secondo». Il risultato era «un patto» che manteneva il mondo sospeso sull'orlo dell'abisso, ma senza il rischio reale di caderci.

E questa tesi non piace affatto a Kissinger, stratega di Nixon e Ford, anche nelle pesanti ingerenze americane in Sudamerica, geniale negoziatore con i russi e gli americani. «Se la Germania fosse stata attaccata dai sovietici - replica irritato, con l'inconfondibile accento tedesco - noi americani avremmo attaccato, e ci sarebbe stata la guerra termonucleare».

Kissinger ha anche parole chiare sulla Siria. Dopo aver stroncato le guerre di Bush jr con la «realpolitik» di cui è sempre stato l'emblema - «non si fanno le guerre per il beneficio dell'umanità, ma per interessi nazionali» - avverte le parti in campo a non commettere lo stesso errore: «Se si affronta la questione siriana, bisogna darsi un obiettivo che non può limitarsi alla rimozione di un uomo, bisogna avere in mente uno sbocco istituzionale».

Pur essendo tra i temi più dibattuti a Monaco, la volontà della Germania di contare di più, anche dal punto di vista militare - confermata, dopo la fuga in avanti dei ministri Steinmeier e von der Leyen, anche da Merkel e dal presidente Gauck, non è mai menzionata. Secondo l'ex presidente francese Valéry Giscard d'Estaing, la questione numero uno è un'altra, ben più grossa: «La Russia deve decidere se essere asiatica o essere europea». Bel dilemma, ma la risposta forse c'è già. E certo non piace ai quattro grandi, vecchi leoni degli equilibri atlantici.

 

 

Schmidt Giscard D Estaing Kissinger Bahr Schmidt Giscard D Estaing Kissinger Bahr henry kissinger valery giscard d estaing IL FUNERALE DI NELSON MANDELA IL FUNERALE DI NELSON MANDELA OBAMA E MICHELLE E GEORGE W BUSH Helmut Schmidt Richard von Weizsaecker Henry Kissinger Norman Podhoretz con Kissinger

Ultimi Dagoreport

giampaolo rossi rai report sigfrido ranucci giovanbattista fazzolari francesco lollobrigida filini

DAGOREPORT – GIAMPAOLO ROSSI IERI ALLA CAMERA DEI DEPUTATI NON HA INCONTRATO SOLO I FRATELLINI D’ITALIA, MA TUTTI I PLENIPOTENZIARI PER LA RAI DEI TRE PARTITI DI MAGGIORANZA: GASPARRI (FI), MORELLI (LEGA) E FILINI (FDI). TUTTI SI SONO LAMENTATI CON L’EX FILOSOFO DI COLLE OPPIO, MA IL PIÙ DURO È STATO IL SOTTOTENENTE DI FAZZOLARI. FILINI SPRIZZAVA FIELE PER L’INCHIESTA DI “REPORT” SUI FINANZIAMENTI ALLEGRI DI FRANCESCO LOLLOBRIGIDA ALLA SAGRA DEL FUNGO PORCINO DI LARIANO…

giorgia meloni daria perrotta giancarlo giorgetti

FLASH – GIORGIA MELONI HA DETTO A BRUTTO MUSO AL RAGIONERE GENERALE DELLO STATO, DARIA PERROTTA: “QUESTO È UN ESECUTIVO POLITICO E NON TECNICO”. IL CENTRODESTRA HA GIÀ SILURATO IL DG DEL TESORO, ALESSANDRO RIVERA, HA LIQUIDATO L’EX RAGIONIERE BIAGIO MAZZOTTA E HA ACCOMPAGNATO ALL’USCITA IL DIRETTORE DELLE PARTECIPATE, MARCELLO SALA. ORA SE LA PRENDE ANCHE CON LA FEDELISSIMA DI GIANCARLO GIORGETTI, CHE NON È CERTO UNA PERICOLOSA COMUNISTA, NÉ UNA OSTILE “MANDARINA” IN QUOTA “DEEP STATE”. A DESTRA COSA PRETENDONO DA MEF E RAGIONERIA? CHE SIANO USI A OBBEDIR TACENDO? DAVANTI AI TRISTI NUMERI, NON CI SONO IDEOLOGIE O OPINIONI…

sangiuliano gasdia venezi giuli

SULLA SPOLITICA CULTURALE DELLA “DESTRA MALDESTRA” – ALBERTO MATTIOLI: “CI RENDEMMO SUBITO CONTO CHE DA SANGIULIANO C’ERA NULLA DA ASPETTARSI, A PARTE QUALCHE RISATA: E COSÌ È STATO. GIULI AVEVA COMINCIATO BENE, MOSTRANDO UNA CERTA APERTURA E RIVENDICANDO UN PO’ DI AUTONOMIA, MA MI SEMBRA SIA STATO RAPIDAMENTE RICHIAMATO ALL’ORDINE - CHE LA DESTRA ABBIA PIÙ POLTRONE DA DISTRIBUIRE CHE SEDERI PRESENTABILI DA METTERCI SOPRA, È PERÒ UN FATTO, E PER LA VERITÀ NON LIMITATO AL MONDO CULTURALE - IL PROBLEMA NON È TANTO DI DESTRA O SINISTRA, MA DI COMPETENZA. CHE BEATRICE VENEZI NON ABBIA IL CURRICULUM PER POTER FARE IL DIRETTORE MUSICALE DELLA FENICE È PALESE A CHIUNQUE SIA ENTRATO IN QUALSIASI TEATRO D’OPERA - (PERCHE' SULL’ARENA DI VERONA SOVRINTENDE - BENISSIMO - CECILIA GASDIA, DONNA E DI DESTRA, SENZA CHE NESSUNO FACCIA UN PLISSÉ?)’’

alessandro giuli pietrangelo buttafuoco arianna giorgia meloni beatrice venezi nicola colabianchi nazzareno carusi tiziana rocca giulio base

''L’ESSERE STATI A CASA MELONI O DI LA RUSSA NON PUÒ ESSERE L’UNICO O IL PRIMO REQUISITO RICHIESTO PER LE NOMINE CULTURALI’’ - LETTERA A DAGOSPIA DI PIERLUIGI PANZA: “SONO TRA LE ANIME BELLE CHE QUANDO GIORGIA MELONI HA VINTO LE ELEZIONI HA SPERATO CHE, AL POSTO DEL PLURIDECENNALE AMICHETTISMO ROMANO DI SINISTRA SI AVVIASSE UN METODO, DICIAMO SUPER-PARTES, APERTO (MAGARI ANCHE SOLO PER MANCANZA DI CANDIDATI) E TESO A DELINEARE UNA CULTURA LIBERALE LEGATA AL PRIVATO O ALLE CONFINDUSTRIE DEL NORD… POVERO ILLUSO. IL SISTEMA È RIMASTO LO STESSO, APPLICATO CON FEROCE VERIFICA DELL’APPARTENENZA DEL CANDIDATO ALLA DESTRA, MEGLIO SE ROMANA DI COLLE OPPIO, PER GENEALOGIA O PER ADESIONE, MEGLIO SE CON UNA PRESENZA AD ATREJU E CON UN LIBRO DI TOLKIEN SUL COMODINO - LE NOMINE DI GIULI, BUTTAFUOCO, CRESPI, VENEZI, COLABIANCHI, BASE & ROCCA, IL PIANISTA NAZARENO CARUSI E VIA UNA INFINITÀ DI NOMI NEI CDA, NELLE COMMISSIONI (IN QUELLA PER SCEGLIERE I 14 NUOVI DIRETTORI DEI MUSEI C’È SIMONETTA BARTOLINI, NOTA PER AVER SCRITTO "NEL BOSCO DI TOLKIEN, LA FIABA L’EPICA E LA LINGUA") 

salvini calenda meloni vannacci

DAGOREPORT – LA ''SUGGESTIONE'' DI GIORGIA MELONI SI CHIAMA “SALVIN-EXIT”, ORMAI DIVENTATO IL SUO NEMICO PIU' INTIMO A TEMPO PIENO - IN VISTA DELLE POLITICHE DEL 2027, SOGNA DI LIBERARSI DI CIO' CHE E' RIMASTO DI UNA LEGA ANTI-EU E VANNACCIZZATA PER IMBARCARE AL SUO POSTO AZIONE DI CARLO CALENDA, ORMAI STABILE E FEDELE “FIANCHEGGIATORE” DI PALAZZO CHIGI - IL CAMBIO DI PARTNER PERMETTEREBBE DI ''DEMOCRISTIANIZZARE" FINALMENTE IL GOVERNO MELONI A BRUXELLES, ENTRARE NEL PPE E NELLA STANZA DEI BOTTONI DEL POTERE EUROPEO (POSTI E FINANZIAMENTI) - PRIMA DI BUTTARE FUORI SALVINI, I VOTI DELLE REGIONALI IN VENETO SARANNO DIRIMENTI PER MISURARE IL REALE CONSENSO DELLA LEGA - SE SALVINI DIVENTASSE IRRILEVANTE, ENTRA CALENDA E VIA A ELEZIONI ANTICIPATE NEL 2026, PRENDENDO IN CONTROPIEDE, UN'OPPOSIZIONE CHE SARA' ANCORA A FARSI LA GUERRA SUL CAMPOLARGO - LA NUOVA COALIZIONE DI GOVERNO IN MODALITÀ DEMOCRISTIANA DI MELONI SI PORTEREBBE A CASA UN BOTTINO PIENO (NUOVO CAPO DELLO STATO COMPRESO)....