ANNE FRANK, LA GIOVANE HOLDEN - I DIARI LETTI OLTRE LA MEMORIA STORICO-POLITICA, ETICA, DI DENUNCIA, MA COME INIZIAZIONE ALLA VITA DI UNA ADOLESCENTE

Marco Missiroli per La Lettura - Corriere della Sera

Esistono un giorno e un anno e un'ora in cui una piccola ebrea di quindici anni disarmò il Führer per l'eternità. 4 agosto 1944, undici del mattino. In quel momento una macchina scura si fermò a metà del Prinsengracht, il canale più esteso di Amsterdam. Scesero alcuni uomini in divisa e si diressero al civico 263, un edificio stretto che ospitava la ditta alimentare Gies&Co.

Fecero irruzione e chiesero al personale di condurli al secondo piano, sede degli uffici. Proseguirono da soli verso un pianerottolo che finiva con uno scaffale stipato di schedari. Uno degli uomini in divisa, il sottufficiale delle SS Karl Josef Silberbauer, domandò al titolare della Gies&Co. cosa ci fosse dietro agli schedari. Non ottenne risposta. Chiese ancora, stavolta gridò, nessuno rispose. Andò lui stesso allo scaffale e lo sradicò dalla parete, rivelando l'entrata che collegava l'edificio a una casa sul retro. Era l'Alloggio Segreto che per due anni aveva nascosto otto ebrei, compresa lei: la quindicenne Anne Marie Frank.

Furono tutti arrestati tranne le due segretarie e benefattrici, Miep Gies e Bep Voskuijl, che ebbero il tempo di cambiare la storia. Dopo che gli uomini armati uscirono assieme ai prigionieri, prima del ritorno di altre SS, riuscirono a entrare nell'Alloggio e impossessarsi di un quaderno con la copertina rossa e di altri taccuini che la piccola ebrea aveva scritto in quei mesi di clandestinità.

«Spero di poterti confidare tutto, come non ho mai potuto fare con nessuno, e spero che mi sarai di grande sostegno»: è l'incipit che Anne scelse per iniziare la sua testimonianza, il 12 giugno 1942. Non è ancora nascosta con la famiglia nell'Alloggio, intuisce che qualcosa sta per accadere: frequenta già una scuola per soli ebrei e il clima per le strade di Amsterdam è di terrore e deportazioni.

Il padre è riuscito a salvare la sua ditta alimentare cambiandole nome e intestandola a uomini ariani di fiducia. Soprattutto architettando un marchingegno raffinato di salvezza: l'edifico di Gies&Co. è la metà di un'altra struttura che dà sul retro, invisibile dalla strada. Sarà il rifugio per i Frank e altri quattro perseguitati. I dipendenti della società sono d'accordo e aiuteranno i clandestini portando cibo, confondendo le mosse degli aguzzini, tenendoli legati al mondo.

È una mattina di pioggia quando Anne prende quanto può dalla sua casa e si trasferisce in questa casa di nessuno. Fa il tragitto con il padre e la madre, la sorella è già lì ad aspettarli. Diluvia, per fortuna in strada non c'è anima viva e addosso Anne ha quattro strati di vestiti e il quaderno con la copertina rossa. È fradicia quando arriva a destinazione, e curiosa come sempre. Comincia qui il segreto perfetto.

La segretezza è la prima potenza del Diario che non è solo un diario, ma un romanzo. La possibilità degli otto clandestini di essere scoperti in qualsiasi momento confeziona un giallo al contrario in cui i colpevoli sono già svelati. L'assassino c'è già, puzza di nazista, lo scopo è tenerlo alla larga dalle possibili vittime del 263 di Prinsengracht.

Tra assassino e vittime manca il legame. Il mistero è l'elemento che garantisce la loro separazione, e la salvezza, oltre la suspense: «Allo scoccare delle otto e mezzo non una goccia d'acqua, il gabinetto non si usa, non un passo, silenzio totale». Con questa voce Anne fa entrare il lettore nell'Alloggio Segreto, gli confida le regole, e lo getta nel dramma dell'Olocausto. Ogni lettore adesso è ebreo. Ogni lettore è perseguitato. Ci sono nove rifugiati, non più otto. Così il Diario diventa una fortezza del mistero, un purgatorio esistenziale, la cattedrale che scardina l'orrore umano attraverso piccole vite che ci appartengono. Potrebbe essere il migliore romanzo di Simenon, l'ha scritto un'adolescente coraggiosa.

Nei libri Anne diventa donna. Li legge con una fame prossima all'esaltazione, il regalo più atteso nell'Alloggio Segreto è un giornale dedicato al teatro e al cinema che il prestanome della Gies&Co. le porta ogni lunedì. Anne ritaglia fotografie delle dive e le incolla sul muro dello stanzino che divide con Albert Dussel, un dentista mal sopportato, amico del padre. Alcune di quelle immagini oggi sono ancora appese sulla parete, sanno di sogni mancati e di una vitalità mai arresa.

Finisce tutto nella scrittura di questa ragazzina sorprendente: «Devo avere qualcosa, oltre a un marito e dei figli, a cui dedicarmi! Non voglio fare la fine di gran parte della gente, che non ha vissuto per uno scopo. Voglio essere utile o procurare gioia alle persone, voglio continuare a vivere anche dopo la morte! E per questo sono davvero grata a Dio di avermi fatta nascere dandomi la possibilità di svilupparmi e di scrivere».

Si porta dietro un caratterino mai docile, l'acutezza di chi va oltre le apparenze, una bontà che si lega all'intraprendenza: Anne Frank è uno spirito che è il meno adatto a essere rinchiuso, il più adatto a descrivere quella galera. Come l'Holden di Salinger: è nel posto sbagliato con l'occhio giusto.

Come lui possiede la forza di un'espressività nuova e un pugno di persone su cui concentrarla. Servono un occhio chirurgico e una simpatia che la porta a intrufolarsi nelle vite degli altri senza perdere la sua: c'è madame Van Daan da prendere in giro per la sua vanità, il signor Van Daan da scrutare per il narcisismo spropositato, e poi c'è l'amato padre che legge Dickens e protegge chiunque, e la sorella Margot da ammirare.

C'è il suono della radio che annuncia nuove guerre. C'è soprattutto la madre: «Per me la mamma non è una madre. Io stesso devo essere mia madre. Mi sono staccata da loro, mi gestisco da sola e dove vado a finire». È il manifesto di una libertà a prescindere dai legami di sangue, dalle quattro mura, dai vincoli materiali.

Anne Frank è libera, ecco perché il Diario si avvera. Non può che essere lei la depositaria di una ribellione salvifica: da come gli altri la vorrebbero, docile, e da come il nazismo la vorrebbe, dimenticata. Come l'Holden di Salinger evase dai soprusi con l'inconsapevolezza, così Anne Frank salta il muro della condanna con il dubbio: «Scrivendo mi libero di qualsiasi cosa, mi passa il malumore, mi solleva il morale! Ma il problema fondamentale è: riuscirò mai a scrivere qualcosa di grande, sarò mai una giornalista e scrittrice?».

Il padre è il vero rifugio di Anne. Otto Frank è un uomo mite, premuroso, lettore accanito di Dickens. Nell'Alloggio Segreto si è portato l'Oliver Twist e altri libri dello scrittore inglese. C'è la sua infanzia in quelle storie di miserabili e di grandi speranze. C'è anche il suo istinto più cocciuto: portare in salvo. È lui che muove i fili del grande tranello al nazismo.

Le sue figlie, sua moglie, gli altri inquilini sono gli Oliver da sottrarre al destino dell'ingiustizia. Anne ne è consapevole. Lo chiama Pim, un nomignolo fatato, e con lui sviluppa un codice sentimentale esclusivo. È l'unica a riconoscere la genialità affettiva di quest'uomo che si fa carico di un'impresa insospettabile, evitare la possibile orfananza di un popolo.

Non sette persone, non una famiglia allargata ma: la sua gente. Gli ebrei, di più, gli uomini. Otto Frank è la placenta che conserva la loro giustizia, nell'ultimo momento possibile per rimetterla al mondo. Diventa la madre mancata per Anne, e per la Storia. È l'unico sopravvissuto dell'Alloggio Segreto, il solo che fosse in grado decidere della pubblicazione del Diario .

Quando, il 27 gennaio 1945, i russi liberano il campo di concentramento di Auschwitz, Otto impiegherà più di cinque mesi a ritornare in Olanda. Si riunirà con i benefattori dell'Alloggio Segreto e con loro invocherà il ritorno della moglie e delle figlie. Miep Gies ha il diario di Anne nel cassetto della scrivania, l'ha riposto lì dopo averlo sottratto alle SS. Lo terrà nascosto per rispetto ad Anne anche dopo il ritorno di suo padre. Finché una mattina arriva una lettera indirizzata al signor Frank. Miep è in ufficio con lui quando Otto la apre e legge che sono tutti morti. «È stato allora che gli ho dato il diario».

La figlia torna nelle mani di chi saprà trasformarla. Il cerchio è chiuso. Si completa così il capolavoro di un uomo che è andato oltre alla sopravvivenza della sua bambina. Pim, l'uomo di Dickens, che non è riuscito a salvarla. Che ha saputo renderla eterna.

«Non so proprio come fossi riuscita a trovare il movimento giusto, a ogni modo prima di scendere mi ha dato un bacio (...)», è il 16 aprile 1944. Mancano poco meno di quattro mesi all'irruzione degli uomini in divisa nell'Alloggio Segreto. Tra Anne e Peter è nato qualcosa. Il modo di Anne Frank muta e con esso si dilegua un'infanzia di illusioni. Il bacio trasforma la coscienza della piccola ebrea e dei suoi coinquilini.

Qualcosa affiora assieme a questo amore, è l'odore della fine, benevola o nefasta, che circonda il 263 di Prinsengracht. Tutti sentono l'epilogo. Otto Frank smette di leggere Dickens e si concentra su una cartina in cui segna l'avanzare delle truppe inglesi, sua moglie e gli altri sono con lui. Ogni giorno chiedono notizie ai loro benefattori della Gies&Co., il tempo sembra immobile, Anne lo inganna salendo nella soffitta con il suo spasimante.

Nell'Alloggio Segreto è Giulietta a salire sul balcone di Romeo. Ha da poco avuto le prime mestruazioni e percepisce che qualcosa in lei è cambiato: «Quello che mi sta accadendo lo trovo così meraviglioso, e non solo l'aspetto esterno del mio corpo che si vede, ma anche i cambiamenti interni. (...) A volte di sera a letto avverto il desiderio irrefrenabile di toccarmi il seno e sentire il cuore che batte tranquillo e sicuro».

Anne ce l'ha fatta, è riuscita a innamorarsi prima di vedere Bergen-Belsen. Così la seconda parte del suo diario colleziona l'ultimo sentimento, e porta quest'opera oltre la memoria storico-politica, etica, di denuncia, antropologica. Chi legge il Diario ha tra le mani le complete intermittenze del cuore. Dall'infanzia divisa tra l'attaccamento spasmodico per il padre e l'avversione per la madre, all'insolenza adolescenziale, all'eros innocente, all'indignazione per l'ingiustizia.

Anne arriva alla solitudine più nera e ai suoi antidoti: «Perché in fondo la gioventù è più solitaria della vecchiaia. Noi giovani facciamo il doppio della fatica ad avere le nostre opinioni in un'epoca in cui ogni idealismo viene annientato e distrutto. (...) È molto strano che io non abbia abbandonato tutti i miei sogni perché sembrano assurdi e irrealizzabili. Invece me li tengo stretti, nonostante tutto, perché credo tuttora nell'intima bontà dell'uomo».

Quando le SS entrano nell'Alloggio Segreto, Anne è con la sorella. Si stringono la mano, rimangono vicine mentre vengono portate via assieme agli altri. Passeranno dal carcere di Amsterdam, dal campo di transito per ebrei nei Paesi Bassi, poi ad Auschwitz, infine a Bergen-Belsen. Alcune testimonianze riferiscono che fecero di tutto per rimanere sorridenti anche nei campi di concentramento, aiutando chi era più in difficoltà e cercando di tirare su il morale. A un certo punto furono adibite allo smantellamento delle batterie elettriche, si racconta che diventarono le beniamine di tutta la squadra di lavoro.

Questa è la memoria di Anne Frank e dei suoi rifugiati clandestini. Il Diario le incarna e ha un potere che si differenzia da qualsiasi opera di testimonianza sull'Olocausto: fotografa il prima. Rivela la verginità distrutta. Non è un libro sull'orrore consumato, nemmeno sulla disperazione del mentre. È lo scritto protetto della vigilia. Quando ancora i sogni resistono, e i progetti, e le costruzioni di salvezza vacillano, ma sopravvivono. Quando la mente, e il cuore, rimangono integri alla loro natura: quella del futuro. Il Diario di Anne Frank è messo al mondo con l'idea dell'avvenire, ecco lo scacco al nazismo. Nonostante il sopruso imminente, noi vediamo oltre.

Impossibile ridurre la lettura di quest'opera alle scuole, impossibile sentirsi rispondere «l'ho letto alle medie o alle superiori, non ricordo granché». Impossibile non riprenderlo in mano prima che sia tardi. Se non ora, quando?

 

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