springsteen

BORN IN THE ITALY! - SPRINGSTEEN SI RACCONTA NELL’AUTOBIOGRAFIA E CONFESSA DI SENTIRSI FIGLIO DEL NOSTRO PAESE (IL NONNO ERA NAPOLETANO): “NOI ITALIANI TENIAMO DURO, NON MOLLIAMO MAI, BALLIAMO, URLIAMO E RIDIAMO FINO ALLA FINE” - IL LIBRO SI CHIUDE CON DUE PREGHIERE

Pasquale Elia per “La Lettura - Corriere della Sera”

 

SPRINGSTEEN 8SPRINGSTEEN 8

D' accordo, Born in the Usa . Sarà anche nato in America, ma il fatto è che lui si sente irrimediabilmente italiano: «Noi italiani tiriamo dritto fino allo stremo delle forze, teniamo duro finché non cedono le ossa, non molliamo la presa finché i muscoli resistono, balliamo, urliamo e ridiamo finché non ce la facciamo più, fino alla fine». È così che si sente Bruce Springsteen.

 

È così che si descrive la «voce operaia» che ha fatto a pezzi il sogno americano mostrando l' altro lato della Luna. È così che si conclude il quarto dei settantanove capitoli della corposa autobiografia ( Born to Run , Mondadori) che esce il 27 settembre in tutto il mondo.

 

Italiano da parte di madre, Adele, che a «novantuno anni lotta contro l' Alzheimer e sprizza un calore e un' esuberanza che il mondo di oggi forse non merita».

Per Bruce, la vitalità della mamma, come quella delle zie Dora e Eda («spudorate novantenni»), resta un mistero: «Cosa c' è sotto? Qual è la fonte di tanta incrollabile energia e ottimismo? Quale potere venne prelevato dalle sfere celesti per essere infuso in quelle minute ossa italiane? Chi è il responsabile?». Il nonno, che si «chiamava Anthony Alexander Andrew Zerilli».

SPRINGSTEEN 4SPRINGSTEEN 4

 

Era «arrivato in America dodicenne all' inizio del Novecento da Vico Equense, a un tiro di schioppo da Napoli». Si era sposato tre volte ed «era un ometto di statura modesta con un vocione da baritono che sapeva incuterti il timore di Dio». Ma Bruce lo vedeva come un gigante, e «aveva un che di grandioso e solenne... Insomma, era una forza della natura napoletana!».

 

Quando andava a fargli visita, il nonno lo chiamava dal fondo della casa: «L' interminabile "br", la "a" intercalata, la "u" prolungata e scivolata e il "ce" appena accennato. "Baaaarrrruuuuuuuuuuuce... Vieni qui!"». Nella famiglia Springsteen «c' era chi lo poteva trovare dispotico», Bruce lo ricorda invece come «un uomo esaltante, spaventoso, melodrammatico, narcisista, vanitoso... insomma, un' autentica rockstar!».

 

Ecco, forse, a chi si deve la nascita del premio Oscar per Streets of Philadelphia . Ipotesi nemmeno tanto azzardata, se è vero, come scrive nell' autobiografia, che «spesso, verso le otto e mezzo di sera, quando le luci si spengono e il sipario si alza... io sento ancora la presenza di Anthony e quell' interminabile "Baaaarrrruuuuuuuuuuuce"».

 

A Freehold, nel New Jersey, gli italiani gli hanno reso l'«infanzia più colorita», ma sono stati gli irlandesi che lo hanno cresciuto. Il ramo paterno della famiglia. Una figura, quella del papà Douglas Springsteen, che ha attraversato la vita di Bruce come un tornado devastandogli un bel po' di anni. Gran bevitore, depresso, e infine in preda a una schizofrenia paranoide. «Di recente, ho chiesto a mia madre perché sia lei sia le mie zie avessero scelto uomini irlandesi. "Gli italiani erano prepotenti" mi ha risposto».

SPRINGSTEEN 2SPRINGSTEEN 2

 

Non sarà stato prepotente, ma una volta il futuro rocker del New Jersey ebbe paura per la madre: «Li sentii litigare violentemente... Non avevo più di nove, dieci anni, ma uscii dalla camera e scesi le scale con la mazza da baseball. Li trovai in cucina, lui di spalle che urlava a squarciagola, lei a pochi centimetri dal suo volto. Gli gridai di smetterla, poi lo colpii con la mazza fra le ampie spalle. Un rumore sordo, quindi il silenzio. Mio padre si girò, il volto rosso da pub, e il tempo si fermò. Alla fine scoppiò a ridere».

 

Oggi, di quell' uomo «stravagante», morto nell' aprile del 1998, Bruce parla con dolcezza, consapevole di aver preso da lui «la rigidità e il narcisismo... L' istinto di isolarmi... Un' attrazione profonda per il silenzio… La malinconia di un' insoddisfazione costante... La misoginia nata dalla paura di tutte le donne forti, pericolose e bellissime». Eredità pesante, compresa la depressione, «qualcosa che studio e combatto da sessantacinque anni», confessa nel libro The Boss (anche se non ama essere chiamato così). «La malinconia non ti salta addosso.

 

SPRINGSTEENSPRINGSTEEN

Arriva strisciando... Sono sotto antidepressivi da ormai dodici, quindici anni... Fra i sessanta e sessantadue ero all' inferno, riemersi per un anno e poi di nuovo a fondo dai sessantatré ai sessantaquattro». Lo salvò la moglie, Patti Scialfa, sposata nel '91, la madre dei suoi tre figli (Evan, Jessica e Sam).

 

È lei che vide «un treno merci carico di nitroglicerina che deraglia rovinosamente» e che lo portò dai medici per convincerlo a prendere le pillole: «Senza quei farmaci non potrei godere della vita che vivo oggi. Funzionano. Mi riportano con i piedi per terra, a casa, dalla mia famiglia». In assenza di terapia, le giornate di Bruce erano scandite da «secchi, oceani di lacrime nere e fredde che mi sgorgavano dagli occhi come le cascate del Niagara a tutte le ore del giorno e della notte». Donna fondamentale, Patti, la sua seconda moglie.

 

SPRINGSTEENSPRINGSTEEN

Che per quegli improvvisi scatti di incoscienza, Bruce ha pure rischiato di perdere: «Volevo distruggere chi mi amava perché non sopportavo di essere amato».

 

E quando si trasferirono in California, ci fu una «lite furibonda con Patti, la quale, stufa delle mie stronzate, aveva gettato il guanto e vuotato il sacco, prendere o lasciare. L' avevo esasperata. Con un piede già fuori dalla porta - quello guidato dai miei istinti peggiori - mi ero fermato a riflettere. "E dove diavolo pensi di andartene?" mi ero domandato con l' ultimo barlume di lucidità che mi rimaneva». Restò lì.

 

Cosa che non fece con la sua precedente moglie, Julianne Phillips, da cui si separò dopo averla tradita proprio con Patti: «All' inizio cercai di convincermi che fosse solo "un' avventura". Mi sbagliavo. Era "la" avventura. La clandestinità non durò a lungo: non appena mi resi conto che con Patti era una cosa seria vuotai il sacco con Julie, ma non c' era un modo indolore o elegante di uscirne. Dovevo ferire una persona alla quale volevo bene... E ancora oggi mi pento di quel mio comportamento».

 

Se Patti lo ha salvato dalla depressione, Elvis Presley da un' esistenza confinata tra «le crepe e le irregolarità del vecchio marciapiede di Randolph Street». Lo scoprì alla tv nel 1956, durante l' Ed Sullivan Show : «Il precursore di un vasto cambiamento culturale, un uomo nuovo e moderno capace di demolire le barriere razziali e sessuali». Nella chitarra di Elvis, Bruce vide il «sacro talismano... La risposta alla mia alienazione... Un motivo per entrare in contatto con gli altri sfigati come me».

BORN TO RUN AUTOBIOGRAFIA SPRINGSTEENBORN TO RUN AUTOBIOGRAFIA SPRINGSTEEN

 

Ma solo fino a quando non arrivò a New York e mise piede alla Columbia Records incantando il leggendario produttore John Hammond con Saint in the City . Purtroppo però il passato di miseria lasciato a Freehold («Benché io non ci pensassi mai, eravamo quasi poveri» e «i nonni vivevano in uno stato di sporcizia e trascuratezza che oggi mi farebbe inorridire») tornò ad azzannarlo nella Grande Mela: «L' anticipo dell' etichetta non era ancora arrivato, ed erano tempi duri, molto duri. Per la prima volta nella mia vita ero completamente al verde, tanto che dovetti mettermi a cercare cibo tra i rifiuti».

 

Viziato dalla nonna paterna, Alice, da bambino non gli era «proibito nulla: per un ragazzino era una libertà spaventosa... A cinque, sei anni andavo a letto alle tre del mattino e mi svegliavo alle tre del pomeriggio». Vita da rocker ante litteram . Destino segnato, lontano però dagli stereotipati eccessi da star: «Lasciarmi andare e "strafarmi" non mi interessava... La sobrietà divenne una sorta di religione personale, tanto che diffidavo di chi desiderava ed esaltava la sua mancanza». Unica eccezione, l' alcol, «in sintonia con il mio carattere, anche se non ho mai alzato il gomito per il piacere di farlo».

 

Altro che genio e sregolatezza, si entusiasmava di più puntando su casa, famiglia, matrimonio che canterà in The River scritto per la sorella Virginia e per suo cognato Mickey.

 

 

SPRINGSTEEN 9SPRINGSTEEN 9

Niente trasgressione, dunque. Piuttosto il controllo. Che aveva imposto pure ai componenti del suo gruppo: «Anche dentro la band fissavo dei paletti». Grazie ai quali, ne è convinto, «che quarantaquattro anni dopo siamo ancora quasi tutti vivi». Quasi. Perché nel giugno del 2011 un ictus si portò via Clarence Clemons. «Prima di Born to Run , Clarence era solo il gigantesco e bravissimo sassofonista nero della mia band». Con la copertina di quel disco diventò Big Man: «Eravamo unici, due come noi non ce n' erano. La cover di Born to Run era carica di un sottile mistero razziale, di un' ironia maliziosa e di una forza che prometteva di sprigionarsi». Quando morì, Bruce si sforzò di «immaginare un mondo senza Clarence... Era una colonna portante della mia vita. Perderlo fu come perdere la pioggia».

 

È simile a una rappresentazione teatrale, l' autobiografia di Bad Scooter (il soprannome che Springsteen assegna a se stesso nel brano Tenth Avenue Freeze-Out ). Ci sono personaggi che entrano ed escono dalle pagine come i protagonisti di uno spettacolo che compaiono in scena e poi spariscono dietro le quinte. In alcuni casi per riapparire. Più o meno la storia di Steven Van Zandt, il chitarrista della E Street Band, meglio conosciuto come Little Steven, che decise di mollare Bruce nel bel mezzo delle registrazioni di Born in the Usa (che «rimane una delle mie opere musicali più grandi e più fraintese»).

SPRINGSTEEN 8SPRINGSTEEN 8

 

Al «compagno rock di lusso», Bruce dedica un capitolo intitolato «Buona fortuna, fratello mio» (nella versione originale del libro il titolo è identico, probabilmente in omaggio alle lontane origini italiane del chitarrista). «Steve reclamò un ruolo maggiore nella nostra partnership creativa, ma io avevo posto limiti precisi all' interno del gruppo», racconta con onestà Springsteen. Che tuttavia azzarda: «Con il senno di poi avremmo potuto evitare che le cose andassero così». E la E Street Band non si sarebbe sciolta.

 

Gruppo indissolubilmente legato al nome di Bruce. Il quale, a dispetto delle sue simpatie politiche, convinto che «la democrazia in musica è una bomba a orologeria», cercava musicisti «per formare un insieme che è superiore alla somma delle parti». Tradotto, per lui 1+1 doveva essere uguale a 3: «È l' equazione essenziale dell' amore, dell' arte, del rock e dei gruppi rock». Formula sentimental-matematica che non garantì la sopravvivenza della E Street Band, almeno per una manciata di anni.

SPRINGSTEEN 1SPRINGSTEEN 1

 

Figlio dell' America non più innocente di Born to Run , ma anche di un cattolicesimo («oggi frequento di rado la religione», ma è «il mondo in cui trovai le radici della mia musica») che non lo ha mai abbandonato. Tanto che il libro si chiude con due preghiere. Il Padre nostro , recitato davanti alla chiesa di St Rose of Lima a Freehold, e una supplica dai contorni laici, ma non per questo meno carica di compassione: «È la lunga e rumorosa preghiera che ti ho offerto, la mia magia, nella speranza che ti travolgesse l' anima».

BRUCE SPRINGSTEEN AL BOLOGNESEBRUCE SPRINGSTEEN AL BOLOGNESEal Circo Massimo per Springsteenal Circo Massimo per SpringsteenBRUCE SPRINGSTEEN AL BOLOGNESE BRUCE SPRINGSTEEN AL BOLOGNESE SPRINGSTEENSPRINGSTEEN

Ultimi Dagoreport

brunello cucinelli giorgia meloni giuseppe tornatore

A PROPOSITO DI…. TORNATORE – CRISI DEL CINEMA? MA QUALE CRISI! E DA REGISTA TAUMATURGO, NOBILITATO DA UN PREMIO OSCAR, CIAK!, È PASSATO A PETTINARE IL CASHMERE DELLE PECORE DEL SARTO-CESAREO CUCINELLI - MICA UN CAROSELLO DA QUATTRO SOLDI IL SUO “BRUNELLO IL VISIONARIO GARBATO”. NO, MEGA PRODUZIONE CON UN BUDGET DI 10 MILIONI, DISTRIBUITO NELLE SALE DA RAI CINEMA, ALLIETATO DAL MINISTERO DELLA CULTURA CON TAX CREDIT DI 4 MILIONCINI (ALLA FINE PAGA SEMPRE PURE PANTALONE) E DA UN PARTY A CINECITTA' BENEDETTO DALLA PRESENZA DI GIORGIA MELONI E MARIO DRAGHI - ET VOILÀ, ECCO A VOI SUI GRANDI SCHERMI IL “QUO VADIS” DELLA PUBBLICITÀ (OCCULTA) SPACCIATO PER FILM D’AUTORE - DAL CINEPANETTONE AL CINESPOTTONE, NASCE UN NUOVO GENERE, E LA CRISI DELLA SETTIMA ARTE NON C’È PIÙ. PER PEPPUCCIO TORNATORE, VECCHIO O NUOVO, È SEMPRE CINEMA PARADISO…

theodore kyriakou la repubblica mario orfeo gedi

FLASH! – PROCEDE A PASSO SPEDITO L’OPERA DEI DUE EMISSARI DEL GRUPPO ANTENNA SPEDITI IN ITALIA A SPULCIARE I BILANCI DEI GIORNALI E RADIO DEL GRUPPO GEDI (IL CLOSING È PREVISTO PER FINE GENNAIO 2026) - INTANTO, CON UN PO’ DI RITARDO, IL MAGNATE GRECO KYRIAKOU HA COMMISSIONATO A UN ISTITUTO DEMOSCOPICO DI CONDURRE UN’INDAGINE SUL BUSINESS DELLA PUBBLICITÀ TRICOLORE E SULLO SPAZIO POLITICO LASCIATO ANCORA PRIVO DI COPERTURA DAI MEDIA ITALIANI – SONO ALTE LE PREVISIONI CHE DANNO, COME SEGNO DI CONTINUITÀ EDITORIALE, MARIO ORFEO SALDO SUL POSTO DI COMANDO DI ‘’REPUBBLICA’’. DEL RESTO, ALTRA VIA NON C’È PER CONTENERE IL MONTANTE ‘’NERVOSISMO’’ DEI GIORNALISTI…

john elkann lingotto fiat juventus gianni agnelli

A PROPOSITO DI… YAKI – CHI OGGI ACCUSA JOHN ELKANN DI ALTO TRADIMENTO NEL METTERE ALL’ASTA GLI ULTIMI TESORI DI FAMIGLIA (“LA STAMPA” E LA JUVENTUS), SONO GLI STESSI STRUZZI CHE, CON LA TESTA SOTTO LA SABBIA, IGNORARONO CHE NEL FEBBRAIO DEL 2019, SETTE MESI DOPO LA SCOMPARSA DI MARCHIONNE, IL NUMERO UNO DI EXOR E STELLANTIS ABBANDONÒ LA STORICA E SIMBOLICA “PALAZZINA FIAT”, LE CUI MURA RACCONTANO LA STORIA DEL GRUPPO AUTOMOBILISTICO. E SOTTO SILENZIO (O QUASI) L’ANNO DOPO C’ERA STATO LO SVUOTAMENTO DEL LINGOTTO, EX FABBRICA EMBLEMA DELLA FIAT – LA PRECISAZIONE: FONTI VICINE ALLA SOCIETÀ BIANCONERA SMENTISCONO QUALSIVOGLIA TRATTATIVA CON SAUDITI...

giorgia meloni matteo salvini

DAGOREPORT – ESSÌ, STAVOLTA BISOGNA AMMETTERLO: SULLA LEGGE DI BILANCIO MATTEO SALVINI HA PIÙ DI QUALCHE SACROSANTA RAGIONE PER IMPEGNARSI A MORTE NEL SUO RUOLO DI IRRIDUCIBILE SFASCIACARROZZE DELLA MARCHESINA DEL COLLE OPPIO (“IL GOVERNO SONO IO E VOI NON SIETE UN CAZZO!’’) - DIETRO UNA FINANZIARIA MAI COSÌ MICRAGNOSA DI 18 MILIARDI, CHE HA AFFOSSATO CONDONI E PENSIONI CARI A SALVINI, L’OBIETTIVO DELLA DUCETTA È DI USCIRE CON UN ANNO IN ANTICIPO DALLA PROCEDURA DI INFRAZIONE PER DEFICIT ECCESSIVO ATTIVATA DALL'EUROPA NEL 2024. COSÌ SARÀ LIBERA E BELLA PER TRAVESTIRSI DA BEFANA PER LA FINANZIARIA 2026 CHE SARÀ RICCA DI DEFICIT, SPESE E "MENO TASSE PER TUTTI!", PROPRIO IN PERFETTA COINCIDENZA CON LE ELEZIONI POLITICHE 2027 – OVVIAMENTE LA “BEFANA MELONI” SI PRENDERÀ TUTTO IL MERITO DELLA CUCCAGNA, ALLA FACCIA DI LEGA E FORZA ITALIA…

moravia mussolini

‘’CARO DUCE TI SCRIVO...’’, FIRMATO ALBERTO MORAVIA - “AMMIRO L'OPERA DEL REGIME IN TUTTI I VARI CAMPI IN CUI SI È ESPLICATA E IN PARTICOLARE IN QUELLO DELLA CULTURA. DEBBO SOGGIUNGERE CHE LA PERSONALITÀ INTELLETTUALE E MORALE DELLA ECCELLENZA VOSTRA, MI HA SEMPRE SINGOLARMENTE COLPITO PER IL FATTO DI AVERE NEL GIRO DI POCHI ANNI SAPUTO TRASFORMARE E IMPRONTARE DI SÉ LA VITA DEL POPOLO ITALIANO” (1938) - LE 998 PAGINE DEI “TACCUINI” DI LEONETTA CECCHI PIERACCINI SONO UNA PREZIOSISSIMA MEMORIA, PRIVA DI MORALISMO E DI SENTIMENTALISMO, PER FICCARE IL NASO NEL COSTUME DELL’ITALIA LETTERARIA E ARTISTICA FINITA SOTTO IL TALLONE DELLA DITTATURA FASCISTA - DAL DIARIO DI LEONETTA PIERACCINI, SPICCANO LA VITA E LE OPERE E LA SERVILE E UMILIANTE LETTERA A MUSSOLINI DEL “SEMI-EBREO” ALBERTO PINCHERLE, IN ARTE MORAVIA – ALTRA NOTA: “SIMPATIA DI MORAVIA PER HITLER. EGLI DICE CHE DEGLI UOMINI POLITICI DEL MOMENTO È QUELLO CHE PIÙ GLI PIACE PERCHÉ GLI PARE NON SIA MOSSO DA AMBIZIONE PERSONALE PER QUELLO CHE FA...”

leonardo maria del vecchio - gabriele benedetto - andrea riffeser monti - marco talarico - luigi giacomo mascellaro

DAGOREPORT - ELKANN NON FA IN TEMPO A USCIRE DALLA SCENA CHE, ZAC!, ENTRA DEL VECCHIO JR: DAVVERO, NON SI PUÒ MAI STARE TRANQUILLI IN QUESTO DISGRAZIATO PAESE - GIÀ L’ACQUISIZIONE DEL 30% DE ‘’IL GIORNALE’’ DA PARTE DEL VIVACISSIMO LEONARDINO DEL VECCHIO, ANTICIPATA IERI DA DAGOSPIA, HA SUSCITATO “OH” DI SORPRESA. BUM! BUM! STAMATTINA SONO SALTATI I BULBI OCULARI DELLA FINANZA E DELLA POLITICA ALL’ANNUNCIO DELL'EREDE DELL VECCHIO DI VOLER ACQUISIRE IL TERZO POLO ITALIANO DELL’INFORMAZIONE, IN MANO ALLA FAMIGLIA RIFFESER MONTI: “LA NAZIONE” (FIRENZE), “IL RESTO DEL CARLINO” (BOLOGNA) E “IL GIORNO” (MILANO) - IN POCHI ANNI DI ATTIVITÀ, LMDV DI DEL VECCHIO HA INVESTITO OLTRE 250 MILIONI IN PIÙ DI 40 OPERAZIONI, SOSTENUTE DA UN FINANZIAMENTO DI 350 MILIONI DA INDOSUEZ (GRUPPO CRÉDIT AGRICOLE) - LA LINEA POLITICA CHE FRULLA NELLA TESTA TRICOLOGICAMENTE FOLTA DELL'INDIAVOLATO LMDV, A QUANTO PARE, NON ESISTE - DEL RESTO, TRA I NUOVI IMPRENDITORI SI ASSISTE A UN RITORNO AD ALTO POTENZIALE ALLO "SPIRITO ANIMALE DEL CAPITALISMO", DOVE IL BUSINESS, ANCHE IL PIU' IRRAZIONALE, OCCUPA IL PRIMO POSTO E LA POLITICA E' SOLO UN DINOSAURO DI BUROCRAZIA…