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BULIMIA INFAME – IN UN LIBRO AMBRA ANGIOLINI RACCONTA LA SUA LOTTA CONTRO I DISTURBI ALIMENTARI CHE L’HANNO TORMENTATA PER ANNI: “HO SOFFERTO DI BULIMIA E NON ME NE VERGOGNO. SENTIVO "TROPPA ROBA" DENTRO E NON CAPIVO DOVE METTERLA. E POI QUEL GRIDO: "ANCORA!". BISOGNA SMETTERLA CON TUTTE LE STUPIDAGGINI CHE SI DICONO SUL CORPO, SUL PESO, SUL BODY POSITIVE E SULLE MODELLE. ANORESSIA E BULIMIA NON C'ENTRANO NULLA CON L'ESTETICA..." - CON LA PANDEMIA SONO AUMENTATI DEL 30% I CASI DI RAGAZZI MALATI…

Michela Marzano per "la Repubblica"

 

AMBRA ANGIOLINI 9

Ambra è preoccupata. I disturbi del comportamento alimentare sono in costante aumento. Sono sempre più numerose le bambine e le ragazze che si sentono diverse dalle altre, hanno male all' anima, e non trovano altro modo per dirlo se non attraverso il cibo. Per non parlare poi di tutti quei bambini e quei ragazzi che fanno più fatica a riconoscere la propria malattia e che si vergognano ancor più delle proprie coetanee.

 

Michela Marzano. «È per questo che hai scritto InFame ? Hai voluto raccontare la storia della tua bulimia affinché chi ne soffre non si vergogni? L' ho trovato un libro molto coraggioso. Non credo sia stato facile, per una persona di successo come te, raccontare le notti passate a mangiare e vomitare, le ore chiuse in bagno, il reflusso gastrico e la voglia di guarire lasciandoti alle spalle Elettra, "l' altra", come tu chiami nel libro la parte malata di te stessa e di cui cerchi disperatamente di sbarazzarti. Che fine ha fatto oggi Elettra? Te ne sei liberata?».

 

AMBRA

Ambra Angiolini. «Non credo di essere stata così coraggiosa. In fondo, in questo libro, voglio solo dire che sono una tra le tante che si è ammalata, e che non c' è nulla di cui ci si debba vergognare. E poi, anche se racconto tutto, non mi piango mai addosso. Credo che il mio libro sia anche pieno di leggerezza e di ironia».

 

M. «A un certo punto, scrivi che il digiuno di amore ti proteggeva dalle abboffate alimentare. Scrivi: "Meno sento e meno sbaglio, meno mi concedo e meno mi sento in colpa". Di cosa ti sentivi in colpa? Che cos' è che non andava bene?».

A. «C' era quel "troppo" di cui non sapevo cosa fare. Sentivo "troppa roba" dentro e non capivo dove metterla. E poi quel grido: "Ancora!". Anche se è proprio questa voglia di fare che mi ha poi sempre spinto ad andare avanti».

 

AMBRA ANGIOLINI 9

M. « Ma cosa c' era dietro quell' ancora? Un vuoto da riempire?

Un' assenza? Te lo chiedo perché, quando qualcuno mi domanda che cosa c' era all' origine dei miei disturbi alimentari, l' unica risposta che trovo è l' ansia di diventare perfetta, la colpa di non essere esattamente come gli altri avrebbero voluto che io fossi, una severità costante nei miei confronti e l' incapacità, in fondo, di accettare le mie fragilità e le mie contraddizioni.

michela marzano

Per anni, non mi sono mai sentita "abbastanza". Dovevo sempre fare meglio, di più, ancora È stato così anche per te? È per questo che "l' ancora!" smette di perseguitarti durante la tua prima gravidanza?».

A. «Quando ero incinta, ero piena, sazia. Dentro la mia pancia c' era una persona che non diceva mai "ancora!". L' ancora è diventato "amore". Ma adesso basta parlare di me, non è questo che mi interessa».

M. «E che cosa ti interessa?».

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A. «Vorrei che, in Italia, si prendesse consapevolezza di questa macchia nera costante sul futuro. Se i più giovani soffrono, è il futuro del nostro Paese che rischia di essere compromesso. Se penso al domani, penso ai giovani; come faremo domani se non li curiamo oggi?».

M. «E come si dovrebbero curare i giovani?».

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A. «Creando strutture adatte. È quello che sta cercando di fare Simona Tironi, la vice presidente della Commissione Sanità della Regione Lombardia, con la quale collaboro. È lei la prima firmataria di una legge che prevede l' istituzione di una rete regionale per la cura dei Dca (i Disturbi del comportamento alimentare, ndr ), la creazione di una cabina di regia, il rafforzamento di interventi ambulatori per le diagnosi precoci, la creazione, in ogni ospedale, di reparti specializzati. Ti sembra possibile che le persone bulimiche e anoressiche siano ricoverate in centri di salute mentale insieme agli altri pazienti psichiatrici? Questi centri non sono adatti a chi soffre di Dca».

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M . «Il tema della cura è fondamentale, certo. Ma poi c' è anche tutto il capitolo sulla prevenzione, non pensi che ci sia bisogno di un radicale cambiamento culturale? In fondo, anoressia e bulimia sono solo sintomi di un malessere più profondo. Ed è su questo che ci si dovrebbe concentrare».

A. «Purché la si smetta con tutte le stupidaggini che si dicono sul corpo, sul peso, sul body positive e sulle modelle. Basta parlare sempre e solo di corpo! Anoressia e bulimia non sono capricci, non c' entrano nulla con l' estetica. Basta con tutti questi pregiudizi che cancellano le voragini di problemi che i più giovani si portano dentro E poi basta, soprattutto, con le categorie.

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Le categorie sono gabbie. E chi nelle categorie non c' entra, che fa? E se il problema fosse proprio l' esistenza di queste gabbie?».

 

M. «Hai ragione, secondo me, il punto è proprio questo. Spesso,dietro i Dca, c'è l' ansia di non essere esattamente come si dovrebbe;c'è un' ossessione per il dover essere, mentre l' essere si appanna e scompare; c' è il bisogno difarqualcosa di quel"troppo"odiquel"troppo poco "che ci si portadentro.Tanto ognunodinoièdiversodachiunque altro, enonserve a nulla sforzarsi di essere diversi da ciò che si è.

 

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L' importante è accettarsi. E perdonarsi. E circondarsi dipersone che ci amano perquello che siamo, senza chiederci di cambiare, migliorare,diventare "altro". Sono tanti igenitori e gli insegnanti che proiettanosui figli e suglialunni aspettativeefrustrazioni,e questonon li aiutacertoadaccettarsieadamarsi per come sono. Non trovi?»

 

A. «Forse. Anche se io penso che si nasca così. Il mio primo vagito è stato: "Ancora!". Cosa avrebbero potuto fare i miei genitori? L' importante, comunque, è parlare dei Dca. Non vorrei che accadesse la stessa cosa che succede sempre in Italia quando c' è un' urgenza. Adesso che con la pandemia, il lockdown e la Dad sono aumentati del 30% i casi di ragazze e ragazzi malati, l' allarme è alto. Tutti ne parlano, tutti si preoccupano. E poi? C' è il rischio che, col tempo, tutti se ne dimentichino. Esattamente come con il terremoto dell' Aquila?».

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M. «Sì, certo, anche perché si tratta di un problema strutturale della nostra società, non di una moda che passa. Dietro, c' è l' ossessione per la performance, la riuscita, la perfezione. Sai, sono convinta che nessuno di noi nasca malato. Ci si ammala di anoressia e di bulimia quando non si ha la possibilità (o la libertà) di essere se stessi. E allora si pensa che, se qualcosa non va come si vorrebbe, è sempre e solo colpa nostra. Credo che sia da lì che si debba ripartire. Anche grazie a un libro come il tuo».

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