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CALABRESI, IL GIORNALISMO DEL CANE NON MANGIA CANE - BUTTAFUOCO: ''CHI NON HA PADRINATI È SOMMERSO. CI SI SALVA SOLO IN VIRTÙ DELLA RETE, QUELLA DELLE RELAZIONI, E SE NE AVRÀ UNA CONTROPROVA QUANDO MARIO CALABRESI, IL DIRETTORE USCENTE, PUR DOPO IL SUO COCENTE INCIAMPO, SI RITROVERÀ ACCOLTO, E NON CE NE SARÀ DA MERAVIGLIARSI, NELLA RAI DEI POPULISTI, A MEDIASET O ACCASATO IN VIA SOLFERINO, VA DA SÉ''

Pietrangelo Buttafuoco per ''il Fatto Quotidiano''

 

mario calabresi direttore de la repubblica (1)

Improvvisamente è accaduto come con l’invenzione del telaio: gli operai non sono serviti più e così – un’era fa, anche se sono passati pochi anni – è accaduto con l’informazione. I giornalisti, col web, sono superflui e anche quella loro signorile capacità professionale è stata ribaltata al grado zero: chi si guardò, si salvò. Salvato, per fare un esempio, è un Corrado Augias che nella sua squisita nicchia culturale prende molto-mila-assai e fischia euro l’anno dalla Rai.

 

mario calabresi

Lavora beato con un bel conquibus anche per Repubblica, non ci si salva mai per sorteggio – per noblesse – e sommersi, invece, sono tantissimi altri. A cominciare dai precari squillanti di firma. Ce ne sono perfino nei giornaloni, prosciugati nel reddito, tutti sommersi nel mare grande di un mestiere senza più parte e nessuna arte se ai più giovani infine – malgrado la prima pagina tuoni contro il mercato nero e lo sfruttamento – prendano 20 euro lordi, al più, a pezzo. E magari – il contrappasso è in agguato – sono pezzi scritti per difendere lo stipendio di Augias.

 

pietrangelo buttafuoco

Si salva chi già ben alloggia. Chi non ha padrinati, al contrario, è sommerso. È pur sempre il mestiere di Bel Amì, quello del giornalista, ci si salva in virtù dell’altra rete – quella delle relazioni – e se ne avrà una controprova quando Mario Calabresi, il direttore uscente del giornale fondato da Eugenio Scalfari, pur dopo il suo cocente inciampo, si ritroverà accolto, e non ce ne sarà da meravigliarsi, nella Rai dei populisti, a Mediaset o accasato in via Solferino, va da sé.

 

Chi si salvò, si salva per sempre. Ed è giornalismo. Durante un’intervista di Cesare Lanza a Urbano Cairo nel via vai di un caffè, a Milano, a un certo punto sbuca Giancarlo Aneri. Non era ancora finita la stagione di Calabresi a Repubblica e Aneri, il patron del più inarrivabile dei premi, “È giornalismo”, ha quasi un urto profetico.

urbano cairo foto mezzelani gmt007

 

Aneruccio schiva la bastonata dell’inviato de La Verità (“manco per sbaglio il premio va a un giornalista non dico di destra, ma di…”) si avvinghia all’editore del Corriere – assai silente – e gli intima “Dovresti assumere Calabresi al Corriere, sarebbe un magnifico editorialista!” e siccome due più due fa quattro, lo schema è già descritto: cane non mangia cane, prete non mangia prete…

 

Tutti salvati, madama la marchesa. Ed è sempre troppo in alto l’uva per i sommersi la cui consolazione, nel fallimento, è che l’uva loro negata sia agra, maledettamente agra. La Vita Agra, per dirla con Luciano Bianciardi. E improvvisamente è venuto questo tema del giornalismo perché è stato più facile togliere di mezzo politicamente i Renzi e i Berlusconi che cambiare musica là dove il vapore impartisce alfabeto unico dei giornaloni, dei Fabio Fazio e dell’industria culturale unica del pensiero unico e sempre uno.

fiorello con giancarlo aneri michelle hunziker giorgio gori

 

“Perché i giornali stanno soffrendo” ha scritto Domenico De Masi giovedì scorso per il nostro giornale. I consumi di cultura sono crollati e c’è – sottolineava giustamente De Masi, in punto di analisi – “c’è un problema di testate che si somigliano tutte”.

Parole sante. Cui va ad aggiungersi l’equivoco sulla fatica intellettuale, quel leggere e scrivere – e creare – spacciato per un passatempo il cui tempo consumato è di valore zero.

 

Hunziker Aneri

Si assomigliano tutti i salvati, e così anche i sommersi. Uguali tutti alla volpe.

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