CASALINGHE DISOCCUPATE - DOPO OTTO ANNI E 181 PUNTATE TRA SESSO, ALCOL, INTRIGHI E CRISI DI MEZZ’ETÀ FINISCE “DESPERATE HOUSEWIVES”, LA SERIE CULT CHE HA RINGALLUZZITO LE CASALINGHE DI MEZZO MONDO - DISPERATE VERE: CHE FINE FARANNO SUSAN, LYNETTE, BREE E GABRIELLE? LA HATCHER SI RICICLA IN REGIA, LA HUFFMANN HA LANCIATO UN SITO PER NEO MAMME, MARCIA CROSS FARÀ LA CASALINGA PER DAVVERO ED EVA LONGORIA SI È BUTTATA IN POLITICA A SOSTEGNO DI OBAMA…

1 - CASALINGHE DISOCCUPATE CONCLUSA LA SERIE CULT DELLA TV LE PROTAGONISTE ORA SI DANNO ALLA FAMIGLIA E AI SITI PER BEBÈ
Renato Franco per il "Corriere della Sera"

«Anche la vita più disperata è così meravigliosa». È sempre la voce fuori campo a dare un senso a quello che accade mentre sui marciapiedi appaiono gli spiriti dei morti che hanno abitato a Wisteria Lane, con le sue case tutte perfette, il giardino fuori ben curato in contrasto con le erbacce interiori con cui i protagonisti (e tutti noi) fanno i conti nella vita di tutti i giorni.

Segreti & bugie, rancori & rimorsi, che si nascondono nei cuori di queste persone molto imperfette, dunque vere. Casalinghe sposate (il matrimonio di Renee e Ben), casalinghe invecchiate (Susan diventa nonna), casalinghe decedute (questa volta tocca a Karen McCluskey, morta per davvero anche settimana scorsa).

Finisce così «Desperate Housewives». Ma soprattutto finisce con le quattro amiche che - dopo l'ultimo poker con l'immancabile bicchiere di additivo alcolico in mano - si separano e par di intuire che non si rivedranno più. La vita disperata delle «Casalinghe disperate» termina dopo 181 episodi (ieri gli ultimi due su FoxLife). Sono passati otto anni ma alla fine tutto si riduce a quello che Eraclito aveva capito molto prima di Freud: «Il carattere di un uomo è il suo destino». Il corso delle loro esistenze era già segnato, dunque.

La più disperata è la romantica Susan (Teri Hatcher) che anziché godersi un'allegra vedovanza rimane inconsolabile, costretta a fare i conti con la mezza età quando i ricordi diventano più numerosi dei sogni. La più tenace si rivela ancora Lynette (Felicity Huffman) che si riprende il suo Tom dopo alti e bassi matrimoniali (ci hanno messo del loro, fare cinque figli può avere delle controindicazioni).

La più composta al solito è Bree (Marcia Cross): maniaca della perfezione, sempre attenta alla forma e pronta a rimuovere e nascondere nel lato oscuro della sua testa le peggiori nefandezze di cui è capace, si sposa con il suo avvocato Trip Weston (l'attore Scott Bakula, sceso direttamente dall'Enterprise) e si dà - lei Wasp e ultra-conservatrice - alla politica nelle file dei repubblicani.

La più frivola è l'ex modella Gabrielle (Eva Longoria) che riesce a fare del suo shopping compulsivo un mestiere, in uno scambio di ruoli con il marito che da cinico uomo d'affari diventa uno che si spende per i più deboli (Carlos di Nazareth lo chiama ora Gabrielle). Sempre capace di capace di battute fulminanti, Gabrielle. Quando lui si lamenta che lei non è mai a casa perché lavora troppo, lei gli regala un orologio di diamanti («Anche tu mi compravi gioielli per compensare di essere un pessimo marito e funzionava a meraviglia»).

Casalinghe disoccupate. Ora che faranno? Teri Hatcher debutta alla regia in un episodio della serie tv «Jane by Design», che in Italia dice molto poco. Felicity Huffman si fa raccomandare dal marito, William H. Macy, che l'ha voluta al suo fianco per Rudderless, di cui è regista e attore. Poi vista l'esperienza con i 5 figli fittizi della serie tv (e i 2 avuti nella vita vera) ha lanciato un sito di consigli per le mamme. Marcia Cross si prende una pausa per dedicarsi alle due figlie e alla famiglia (il marito ha avuto un cancro). La divorzista seriale Eva Longoria, due matrimoni alle spalle e tre film in uscita, invece è entrata nella commissione che si sta battendo per la rielezione del presidente Obama.

Termina la serie che ha animato anche il dibattito politico americano quando Laura Bush, moglie di George W., nel corso di una conferenza stampa definì se stessa e Lynne Cheney, moglie di Dick, «casalinghe disperate». Sottovalutando forse l'essenza di una serie che non ha raccontato solo le donne, ma anche il lato casalingo e disperato degli uomini.

2 - LA NARRATIVA A WISTERIA LANE
Aldo Grasso per il "Corriere della Sera"

Finishing the Hat, fine della storia con tanto di happy ending, un lieto fine in perfetta armonia con la svolta decisamente soap delle ultime stagioni. Il grande «mistero» dell'ottava e ultima stagione (l'uccisione del patrigno di Gabrielle, con tanto di occultamento di cadavere) si risolve nel migliore dei modi e un sipario di retorica convenzionale cala su Wisteria Lane, come forse nessuno, otto anni fa, avrebbe immaginato.

È probabile che ragioni industriali abbiano spinto il racconto oltre le sue legittime aspettative e le avventure di Susan Mayer, Lynette Scavo, Bree Van De Kamp e Gabrielle Solis abbiano perso per strada, puntata dopo puntata, smalto e interesse, ma «Desperate Housewives» è stato uno dei punti più stimolanti della narrativa seriale. Fa un certo effetto rileggere le dichiarazioni di Marc Cherry sulla genesi della serie:

«Ero al verde, non riuscivo a ottenere nemmeno un colloquio per una sceneggiatura ed ero seriamente preoccupato per il mio futuro. Avevo appena compiuto quarant'anni e cominciavo a chiedermi se non fossi anch'io uno di quei poveri illusi che si aggirano per Hollywood convinti di essere sceneggiatori di talento quando tutto sta a dimostrare il contrario».

Di lì a poco, «DH» sarebbe diventato uno dei più grandi successi internazionali, il racconto della vita di quattro donne, che devono fare i conti con le proprie scelte e la proprie relative insoddisfazioni, capace di generare discorsi alti e interpretazioni a non finire. «DH» ha raccontato lo smarrimento di chi sospira al ricordo delle proprie ambizioni, delle proprie infatuazioni, della velenosa quiete cui non voleva credere e che, invece, l'avvolge.

La voce fuori campo di Mary Alice, che cadenza il racconto e ridà vita a un artificio retorico del cinema che pareva morto per sempre, parla di un dramma allegorico, sottolinea con ironia i modi con cui si manifesta la disperazione, suggerisce le evidenze attraverso cui gli autori manifestano il proprio punto di vista.

Grazie alla tragedia della quotidianità, ben mascherata dal lindore di Wisteria Lane, le nostre splendide disperate (Bree su tutte) sono diventate portatrici di tormenti e di dubbi di per sé incompatibili con la loro quieta natura di casalinghe. Con una ferrea morale: tutto è diverso da come appare e chi vuol determinare il corso degli eventi (con uno stratagemma femminile, per troppo amore o per troppo calcolo) si trova sempre prigioniero dei medesimi, suo malgrado.

 

 

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